Otto Rahn e la ricerca del Graal al tempo del nazismo
Vi sono figure minori nella storia, che la
attraversano quasi in silenzio, ma che in segreto compiono imprese degne di
nota, di cui forse rimane soltanto un’eco.
Nel 1904, in un piccolo paese tedesco,
Michelstadt, nasce Otto Rahn. Fin da giovane, grazie alla madre, sviluppa un
profondo interesse per la storia e per la letteratura, che culmina in una
laurea in filologia. Il suo pane quotidiano è costituito da miti e leggende,
tra cui quella del Graal, un tema ricorrente della letteratura medievale
europea. Otto studia testi fondamentali come il Parzival di Wolfram von
Eschenbach e La canzone dei Nibelunghi. Un professore universitario, il
barone von Gall, lo ispira a studiare il catarismo, ma il giovane non si
accontenta di fantasticare sulle pagine dei libri: zaino in spalla, intraprende
numerosi viaggi nella Francia meridionale. Con il supporto del mistico e
storico Antonin Gadal, fondatore del neo-albigeismo, cammina tra le rovine e i
castelli dei Catari, i cosiddetti “puri”, annientati da una crociata del XIII
secolo che ne disperse il sapere.
Nel solco della tradizione catara
Otto Rahn agiva come un archeologo non
ortodosso, che riempiva le lacune con interpretazioni audaci. Trovava che vi fossero
analogie tra le credenze dei Catari e quelle dei druidi, gli antichi sacerdoti
celtici. Si convinse che i Troubadours, i poeti itineranti medievali, fossero
Catari in clandestinità, che continuarono a diffondere i loro insegnamenti
esoterici, celandoli sotto l’apparenza di canzoni d’amore. È così che la “donna
dal bel viso” diveniva non tanto una figura terrena, ma il simbolo della Chiesa
d’amore catara, ovvero la Saggezza divina, in maniera analoga a quanto avveniva
nel Nord Italia, con la lode della “signora Sapienza” da parte dei Fedeli
d’amore.
Queste prime ricerche formarono la base
delle sue future pubblicazioni, che lo posero sul radar di figure influenti, tra
cui Karl Maria Wiligut, capo del dipartimento di preistoria e protostoria dell’Ufficio
Centrale per la Razza e le Colonie (RuSHA). Mentre il mondo si avvicinava alla
tempesta della seconda guerra mondiale, Rahn si trovò intrappolato tra le sue indagini
simboliche e le pericolose correnti politiche di quegli anni.
Lo studioso riteneva che i Catari fossero
stati gli ultimi custodi del Graal, una reliquia ereditata dai Templari, i
quali l’avevano tenuta nascosta alle forze opprimenti della Chiesa romana.
Spinto da queste convinzioni, Rahn visitò luoghi come il castello di Montségur,
sede dell’ultimo assedio ai Catari nel 1244. Rahn riteneva la fortezza un
simbolico “faro del catarismo”, emblema della loro resistenza. Oltre alle
costruzioni, egli si scoprì speleologo, esplorando le numerose caverne della
regione, tra cui le grotte di Lombrives e di Ornolac, dove si diceva che i
Catari celebrassero segreti riti religiosi.
Si formarono così le pagine del primo
libro, la Crociata contro il Graal (Kreuzzug gegen den Gral),
pubblicato nel 1934. Il testo mescolava storia, avventura e esoterismo, e
catturò l’attenzione di un ampio pubblico. È qui che iniziarono i problemi.
Il capo delle SS, Heinrich Himmler, noto
per il suo interesse per l’occultismo e per le antiche reliquie, vide in Rahn
non solo un intellettuale, ma uno strumento per fortificare l’ideologia
trascendente nazista. Himmler sostenne finanziariamente le sue ricerche e, nel
1936, gli offrì un ruolo ufficiale nelle SS, sebbene Rahn non fosse nemmeno
iscritto al partito nazista.
L’ascesa nelle SS fu segnata da conflitti
interni. Rahn era omosessuale e aveva alcune posizioni liberali, due aspetti in
aperta antitesi con il regime. Crebbe il malcontento e l’uomo fu sottoposto al
servizio di guardia nel campo di concentramento di Dachau, per “rafforzarne” il
carattere.
L’incompatibilità con l’ideologia nazista
raggiunse il culmine nel febbraio 1939, quando Rahn si dimise dalle SS,
inorridito dalle atrocità che aveva visto. Questo raro gesto di diserzione
segnò la fine della sua carriera e ne preannunciò la tragica fine.
La ricerca continua
La Crociata contro il Graal è
l’opera più nota di Rahn, ma merita attenzione anche il successivo La corte
di Lucifero (Luzifers Hofgesind), uscito nel 1937.
L’Autore estese il campo d’indagine
all’intera Europa, viaggiando attraverso Germania, Francia, Italia e Islanda,
alla ricerca di quelli che chiamò i “portatori di luce”, figure storiche e
mitologiche che rappresenterebbero la conoscenza contrapposta all’oscurantismo
delle autorità statali e ecclesiastiche. In questo periodo, mantenne una
frequente corrispondenza con Himmler, che finanziava gli spostamenti e era già
a conoscenza della sua omosessualità.
Il libro è un resoconto delle avventure,
dei viaggi e delle sue considerazioni spirituali, con un focus particolare sui
luoghi che Rahn collegava al catarismo. L’opera è intrisa di simbolismo
esoterico e necessita di un apparato critico, come nell’edizione di AGA
Editrice.
Non mancano nemmeno elementi di critica
sociale, che riflettono la lotta interiore del ricercatore, tra la sua identità
personale e le pressioni dei nazisti. Secondo lo studioso René Nelli, è
evidente la commissione di Himmler, il quale intendeva provare l’ascendenza
nordico-aria di quei francesi che si erano ribellati a Roma.
Vi è poi la questione aperta dei
riferimenti razzisti e antisemiti, non presente nella Crociata contro il
Graal, un particolare che ha fatto pensare a una forzatura da parte di Rahn
per venire incontro al suo finanziatore. D’altra parte, non ci sono elementi
biografici o documentali sufficienti a dirimere la questione dell’adesione o
meno di Rahn a tali idee. Se è vero che stili e contenuti delle due principali
opere differiscano in merito al tema del razzismo, nulla esclude che il
pensiero dell’Autore fosse effettivamente cambiato negli anni, in una fase precedente
al suo arrivo a Dachau.
La corte di Lucifero è meno noto del
suo predecessore, ma offre uno sguardo più intimo e personale sulle convinzioni
di Rahn. In apertura, egli afferma di aver messo insieme gli appunti nel suo
piccolo villaggio dell’Alta Assia, un espediente narrativo che lo porta a
ripercorrere le sue origini, fino a concludere con orgoglio che i suoi antenati
erano pagani e i suoi avi eretici.
Lo studioso torna sui Pirenei, convinto
che il Montsalvatsche del Parzival corrisponda alla foresta selvaggia su
cui si erge il castello di Montségur. Proseguendo il viaggio, si confronta con
una figura misteriosa, indicata come M. Rives, che gli fornisce informazioni sul
legame tra trovatori provenzali, Fedeli d’amore e spiritualità germanica. Rives
sostiene che i riti catari della Manisola e del Consolamentum sarebbero
identici al costume germanico del “bere all’amore” (il Minnetrinken), una
pratica di inizio primavera derivata dalle feste di maggio che celebravano
l’amore.
Nel capitolo intitolato Carcassonne,
Rahn fa il punto della situazione sulle sue scoperte. Afferma che Perceval – il
cercatore del Graal – sarebbe “colui che attraversa nel mezzo”, stando
all’etimologia del nome. Lui e la madre, Adelaide, rinnegano la croce come
emblema di salvezza e dedicano la loro fede al solo Graal, lasciato sulla Terra
dai Puri, i Catari. I due erano imparentati con la contessa Esclarmonda di
Foix, feudataria del castello di Montségur, che nel Parzival è colei che
sola può portare il Graal.
Questo sapere venne trasmesso dal poeta
provenzale Guyot de Provins a Wolfram von Eschenbach, quando i due si conobbero
nel corso dei festeggiamenti di Magonza, indetti da Federico Barbarossa. Tali
informazioni frammentarie sul Graal, rielaborate in area tedesca, sono quanto
sopravvisse alla distruzione dei Catari operata da Roma.
Al capitolo intitolato Mirepoix, Rahn
approfondisce in che cosa consista l’eresia catara. Citando il trovatore Peire
Vidal, afferma che il dio Amore appariva soltanto in primavera e che bisognasse
cercarlo nella sua dimora, la Natura. Esso ha l’aspetto di un giovane cavaliere
dai capelli biondi; ha un cavallo metà bianco e metà nero e la scorta è
costituita da un paladino di nome Fedeltà.
Secondo alcuni indizi raccolti nelle
pagine precedenti, Rahn sostiene che il dio d’Amore sia assimilabile a
Lucifero. Definisce Amore e Apollo divinità della primavera e Apollo, in
particolare, è colui che riporta la Luce, secondo la tradizione greca. Poiché nell’Apocalisse
di Giovanni, Apollo è assimilato al Diavolo, si comprende perché la Chiesa
romana accusasse i Catari di esserne servitori.
Nelle pagine successive, Rahn lascia il
sud della Francia per muoversi a settentrione. Cita la figura del geografo Pitea
di Marsiglia, che intorno al 334 a.C. navigò nel paese degli Iperborei, all’estremo
nord. Secondo lo studioso, Pitea non era ispirato soltanto dall’esplorazione di
terre ignote, ma era convinto che il nord fosse apollineo, in quanto lì il dio
trovava riposo, secondo la tradizione, prima di mostrarsi in primavera al
popolo di Delfi, che nei mesi freddi lo pregava, componendo peana in suo onore.
Prima di raggiungere le vette d’Europa,
Rahn si sposta in Tirolo, attraversa il Brennero e raggiunge Ginevra. In quel
periodo, riflette sul Torneo della Wartburg, in cui Wolfram von Eschenbach si confrontò
in versi con mastro Klingsor di Ungheria. In quella occasione, venne citato il
cavaliere del cigno, Lohengrin, che si dice provenisse non da Montsalvatge, ma
da una remota montagna in cui viveva Artù con la sua corte. Lì si troverebbe la
pietra Aget, in ambra o magnetite, che si staccò dalla corona di Lucifero. Rahn
collega la figura di Artù al re sofferente Amfortas, presente nel Parzival,
e lo rende guardiano della pietra sacra. Cerca dunque di ricondurre a un’unica
narrativa i cicli provenzali, germanici e arturiani.
Rahn sostiene che ciò che gli eretici
medievali cantavano come “montagna del Graal”, “Giardino delle rose” e “Tavola
Rotonda” corrispondesse al regno degli dèi, Asgard, il luogo al di sopra delle
nuvole che Lucifero tentò invano di raggiungere, poiché Yahweh lo fece
precipitare. Allora il nord venne a indicare il luogo della dannazione, gli
inferi.
Nel capitolo intitolato Amorbach, estende
le analogie ben oltre l’Europa e trova connessioni tra il personaggio di
Parzival e il mondo centrasiatico (poiché Parsiwal significherebbe in persiano
“fiore puro”) e persino con il popolo messicano dei Toltechi, i cui antenati –
si narra – sarebbero giunti dal paese nordico di Tulla, o Thule, secondo Rahn.
In questi passaggi del libro, lo studioso
è sempre meno storico e, ammaliato dalla miriade di possibili combinazioni,
conclude che il “Polus arcticus”, nominato da Wolfram nel Torneo dei Cantori
della Wartburg, rappresenterebbe il punto esclusivo che un tempo univa la
grande “Potenza Aria”.
A conclusione del capitolo, Rahn
trasfigura il Graal, da pietra luciferina a simbolo della salvezza per gli Arii
dispersi nel mondo: «Dei contadini pirenaici mi dissero che il Graal si
allontanava dagli uomini via via che questi divenivano più indegni di lui.
Questa leggenda va intesa anche in senso contrario: il Graal si avvicinerà agli
uomini via via che essi ne diventeranno più degni.»
Il declino e la scomparsa
Alienatosi il favore delle SS, Otto Rahn
precipitò in una spirale di declino, che culminò nel rinvenimento del suo corpo
il 13 marzo 1939, in una gola nei pressi di Söll, in Austria. Il decesso venne considerato
un suicidio, mentre Himmler lo presentò come un incidente di alpinismo. Accanto
al cadavere, rinvenuto da bambini del luogo, furono trovate due bottiglie
vuote, suggerendo l’ipotesi del suicidio per avvelenamento.
La sua morte ha comunque alimentato varie
teorie e speculazioni. Alcuni sostengono che potrebbe essere stato assassinato,
sia per i dissidi con i nazisti, sia perché non divulgasse informazioni
compromettenti, ottenute in servizio. Altri ritengono che sia morto in una fuga
disperata.
In seguito, la figura di Otto Rahn ha
suscitato un certo interesse nel campo accademico e nella cultura popolare. Per
esempio, il regista Richard Stanley ne ha esplorato la biografia nel
documentario The Secret Glory del 2001, presentandolo come un uomo
diviso tra la sua passione e il coinvolgimento con le SS. Otto Rahn è stato
persino definito “il vero Indiana Jones”, con l’unica e sostanziale differenza
che Indy combatte i nazisti e Rahn, invece, era finanziato da loro.
Per quanto non esistano prove concrete, gli
appassionati di esoterismo e di storia delle SS dibattono sul fatto che egli
abbia effettivamente trovato la reliquia. Queste narrazioni, più speculative
che storiche, influenzano oggi la percezione su di lui. La sua eredità mostra
anche con quanta facilità l’individuo rischi di rimanere invischiato nelle maglie
di un’ideologia il cui scopo non è indagare la verità, ma confermare una tesi
pregiudiziale. Otto Rahn ha avuto la sfortuna di vivere in un tempo in cui le
leggende e i miti erano stati piegati al nazionalismo, esaurendone la carica
vitale in nome della giustificazione di un potere repressivo.
Bibliografia e sitografia
° Graddon N., Otto Rahn and the Quest for
the Holy Grail, Adventures Unlimited, Kempton (Illinois), 2008
Il testo completo, in inglese, è fruibile gratuitamente su Internet Archive
° Rahn O., Crociata contro il Graal,
AGA Editrice, Cusano Milanino, 2014
Il testo completo, in inglese, è fruibile gratuitamente su Internet Archive
° Rahn O., La corte di Lucifero,
AGA Editrice, Cusano Milanino, 2020
° Stanley R., The Secret Glory, 2001
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