Gogol' nella lente di Taras Bul'ba
Il'ja Repin, Gogol' brucia il manoscritto della seconda parte de 'Le anime morte' (1909) |
Esistenza da
viandante
Nikolaj
Vasil’evič Gogol’ nacque nel 1809 in un villaggio nell’oblast’ di Poltava, oggi
Ucraina e allora territorio russo. Il padre scriveva commedie in lingua ucraina
e la madre era una fervente donna di fede: la famiglia si sostentava grazie ai
propri terreni. Il giovane Nikolaj si appassionò alla recitazione, per
dedicarsi poi alla scrittura. Conclusi gli studi si trasferì a Pietroburgo,
dove divenne un burocrate. I suoi esordi letterari furono deludenti, segnati
dal rogo di due opere giovanili: decise allora di viaggiare in Germania, per
fare presto ritorno a Pietroburgo per l’incapacità di sostentarsi all’estero.
La conoscenza di
Aleksandr Puškin, nel 1831, offrì nuovi stimoli alla sua scrittura e nello
stesso anno pubblicò Veglie alla fattoria
presso Dikan’ka, che ebbe un buon successo, opera seguita da altri scritti.
In un soggiorno a Mosca conobbe diversi intellettuali, tra cui Timofeevič
Aksakov, che divenne suo amico e sostenitore. Cominciò una carriera accademica,
con la nomina a professore aggiunto di Storia all’Università di Pietroburgo
(1834), ma l’esperienza fu breve e deludente: gli studenti disertavano le
lezioni, ritenute noiose, e lo stesso Gogol’ riconobbe di essere stato ignorato
dall’ambiente accademico. Nel mentre proseguiva l’attività letteraria, con
scritti come Arabeschi, La prospettiva Nevskij e la commedia L’ispettore generale. Nonostante il
discreto successo di quest’ultima opera, apprezzata anche dallo zar, Gogol’
partì per un nuovo viaggio europeo.
Visitò Svezia,
Germania e Svizzera: prima di raggiungere Parigi, scrisse il racconto Il naso; nel 1837 fu in Italia e
soggiornò a Roma. Si dedicò allo studio dell’italiano e frequentò gli
intellettuali russi e romani, tra cui Giuseppe Gioachino Belli. Tornò a Mosca
nel 1839: pochi anni dopo uscì Il
cappotto e iniziò la pubblicazione de Le
anime morte.
Gli anni
successivi lo videro di nuovo a Roma, ma anche a Düsseldorf, Francoforte e
Praga. Gogol’ si muoveva per motivi di salute, alla ricerca di un ambiente più
salubre, ma al contempo la sua vita da viandante testimoniava un più profondo
malcontento interiore. In cerca di ispirazione e di una soluzione ai suoi
dilemmi morali, nel 1848 visitò Malta, Costantinopoli e la Terra Santa, in un
misterioso viaggio spirituale alimentato dall’amico religioso Matvej
Konstantinovskij. Tornato per Odessa, raggiunse ancora Mosca: provato da una
nevrosi, scatenata da una crisi religiosa, nel 1852 lo scrittore bruciò la
seconda parte de Le anime morte. Già
debole per i lunghi periodi di digiuno e di penitenza, morì pochi giorni dopo.
Józef Brandt, Schermaglia tra Cosacchi e Tatari (1890 ca) |
Eroismo, fede,
anarchia
Nelle lettere
alla madre, scritte da Pietroburgo tra il 1829 e il 1831, Gogol’ aveva
richiesto «testimonianze sulla Piccola Russia»: dettagli sui costumi tradizionali,
in vocaboli ucraini; il racconto di leggende, fiabe e anche aneddoti dei
contadini. Ricevute le informazioni, lo scrittore annotò tutto in una sorta di
zibaldone.
Secondo il
critico Andrej Sinjavskij e da quanto si può dedurre da queste note biografiche,
Gogol’ scrisse sull’Ucraina non tanto per la nostalgia della patria
abbandonata, ma per l’interesse pietroburghese verso il mondo ucraino: «Tutto
ciò che è piccolorusso suscita qui un grande interesse», scrive alla madre.
Gogol’ rispondeva a una domanda di mercato, a una moda russa per quell’Ucraina
idealizzata, romantica, terra originaria del popolo slavo con la Rus di Kyïv.
A Pietroburgo e
a Mosca circolavano testi di storia e di tradizioni ucraine, nonché giornali e
riviste in lingua. Tra questi prodotti, ricordo almeno la Istorija Maloj Rossii (1822) di Dmitrij Bantysh-Kamenskij; la
raccolta di racconti popolari di Mykhajlo Maksimovič (1827); la Istorija Rusov (1810 ca) di anonimo, che
fornì a Gogol’ la base storica del terzo capitolo, quando i cosacchi decidono
di attaccare la Polonia. Infine, il giornalista Faddej Bulgarin, a lui
contemporaneo, aveva pubblicato in ucraino il racconto Mazepa (1834), basandosi su uno dei più famosi condottieri
cosacchi.
Ciò che nacque
da queste influenze fu Taras Bul’ba,
un racconto storico in nove capitoli, pubblicato nel 1835 nella raccolta Mirgorod, seguita ad Arabeschi. Il sottotitolo di Mirgorod specifica che la raccolta fosse
una continuazione delle Veglie alla
fattoria presso Dikan’ka. Se nelle Veglie
troviamo un’Ucraina luminosa, a tratti bucolica e vitalistica, in cui anche le
streghe e la morte hanno un ruolo armonico, in Mirgorod entra in scena la rovina fisica e morale, la morte di
un’età contraddistinta dall’affermazione della civiltà moderna.
L’ambientazione
di Taras Bul’ba è l’Ucraina di un
periodo che oscilla, nella realtà storica, tra il XV e il XVII secolo. Si
tratta di un’ambientazione generica e convenzionale, con scarsi dettagli
storici o veri e propri anacronismi, sul modello semplificato del romanzo alla
Walter Scott. Gogol’ evoca la Sič di Zaporož’e, territorio cosacco ortodosso
che combatteva i mussulmani tatari e il governo polacco cattolico, tentando di
rimanere indipendente anche dai moscoviti.
I personaggi
storici sono stereotipati, anche per la figura dell’hetmano, ricalcata sul
personaggio storico di Bohdan Chmel’nyc’kyj, condottiero seicentesco che perse
due figli in battaglia. Manca poi un approfondimento psicologico delle
relazioni tra i personaggi principali, come i due figli di Bul’ba, Ostap e
Andrej, la cui indole viene raccontata dal narratore e le cui azioni
suggeriscono più che definire un carattere.
Il racconto
narra le vicende del condottiero Taras Bul’ba, che assale la città di Dubno con
alcuni capi cosacchi e con i figli: Andrej, valoroso e affascinante guerriero,
si innamora di una polacca, finendo per schierarsi con i nemici; Ostap, fedele
alla causa, viene fatto prigioniero in battaglia ed è poi torturato a morte a
Varsavia.
Il tema della
lotta tra cattolici e ortodossi era ripreso dalle cronache storiche e dai canti
popolari a cui attinse Gogol’: gli ucrainismi si trovano soprattutto nei
dialoghi, ma le fonti russo-ucraine sono accompagnate anche da scritti europei
come il romanzo Old Mortality (I puritani di Scozia, 1816) di Scott,
che tratta appunto di uno scontro confessionale.
Bul’ba aveva
immaginato una prima incursione in Anatolia, contro i mussulmani, ma poi i
cosacchi decidono di volgersi contro i preti cattolici che stavano provando a
convertirli. L’odio si rivolge anche contro gli ebrei, che avevano preso in
appalto le chiese ortodosse trasformandole in bettole. Gli ebrei erano entrati
in possesso di molte ricchezze dei cosacchi, perché questi preferivano
sperperare il denaro nel gioco e nell’alcool. Si scatena allora un pogrom, in
cui Bul’ba salva l’ebreo Jankel’, che gli aveva fornito denaro per riscattare
il fratello, prigioniero dei Turchi.
Non è facile
capire se l’antisemitismo del protagonista corrisponda a quello dell’Autore, ma
c’è una frase pronunciata da Jankel’ che sembra mostrare una sensibilità verso
la condizione degli ebrei: «Perché tutto quel che c’è di male, tutto viene
messo sulle spalle del giudeo; perché ognuno scambia il giudeo per un cane;
perché pensano che non sia un uomo, dato che è un giudeo.»
Se è vero che
Gogol’ descrive la Sič di Zaporož’e attraverso stereotipi, si possono cogliere
alcuni tratti distintivi di taglio storico. Di quelli negativi ho appena
scritto (i debiti, la piaga dell’alcolismo, l’antisemitismo), ma l’insolita
repubblica aveva anche elementi positivi. La Sič era il luogo in cui l’uomo,
nell’accezione cosacca di cacciatore-guerriero, poteva esprimere un proprio
codice d’onore, spuria eredità di un Medioevo mai davvero concluso. Era lo
spazio fisico in cui aprirsi ai grandi ideali dell’eroismo e della fede, e dove
la morte era accolta senza paura, quale naturale conseguenza di una piena
adesione alla vita.
Nelle pagine di
Gogol’, in verità, la fede ortodossa funge più da pretesto per esercitare
l’eroismo che essere un elemento cardine dell’azione cosacca. Nel cuore di
Bul’ba e dei guerrieri ciò che conta è la dedizione alla Sič e la solidarietà
tra compagni. E il protagonista, in nome dell’onore, uccide il figlio Andrej a
sangue freddo, sorta di Abramo profano la cui mano non viene fermata da Dio.
Quello cosacco
non era un esercito effettivo permanente, ma la mobilitazione generale poteva
avvenire in pochi giorni, con forze che nessun reclutamento di leva poteva
raccogliere:
Non si vedevano
da nessuna parte recinzioni o quelle casette con le tettoie su basse colonnine
di legno, come si vedevano nel sobborgo. Un basso bastione e una palizzata, ai
quali non c’era decisamente nessuno a fare la guardia, rivelavano una
spaventosa negligenza. […] Ovunque, per tutto il piano, si scorgevano gruppi
variopinti di persone. Dalle facce brune si vedeva che era tutta gente temprata
nelle battaglie e che aveva sperimentato avversità di ogni sorta. Eccola,
dunque, la Sec! Ecco il nido dal quale
volano fuori tutti quegli uomini fieri e forti come leoni! Ecco da dove si
spandono per tutta l’Ucraina la libertà e lo spirito cosacco!
Gogol’ racconta
che nessuno si occupava di un’attività specifica, né possedeva qualcosa: tutto
finiva nelle mani dell’hetmano del kuren’
(il capo reparto), che veniva quindi chiamato bat’ko (babbo). Forte di tanta virilità guerriera, Bul’ba ritiene
che la società si stia corrompendo, persino quella cosacca, una corruzione che
egli imputa al lassismo e all’educazione. I figli, infatti, avevano studiato da
seminaristi (bursakí) all’Accademia di Kyïv e avrebbero potuto
integrarsi alla società polacca, a cui partecipavano anche nobili ucraini
convertiti. Bul’ba, però, li conduce alla guerra e li allontana dalle cure di
una madre disperata. L’addio, letto con le parole del protagonista, ricorda per
certi versi la personificazione del fucile in un famoso discorso del film Full Metal Jacket (1987, regia di
Stanley Kubrick):
«Eh, ti piace
farti coccolare, vedo!», disse Bul’ba. «Non stare ad ascoltare tua madre,
figliolo: lei è una femmina, non sa nulla. A che vi servono le carezze? Le
vostre carezze sono la pianura sconfinata e un buon cavallo: ecco le vostre
carezze! E vedete questa sciabola? Ecco vostra madre! Tutte sciocchezze quelle
di cui vi imbottiscono la testa; l’accademia, e tutti quei libercoli, gli
abbecedari e la filosofia, sono tutte idiozie, io ci sputo sopra a tutto
questo! […] Faro meglio, anzi, a mandarvi la settimana prossima stessa allo
Zaporož’e. Ecco dov’è la vera scienza. Lì c’è la scuola che fa per voi; lì
soltanto imparerete il buon senso.»
La pianura
sconfinata e un buon cavallo. L’amore per quella “terra oltre le rapide”
(questo il significato di Sič di Zaporož’e) sostituisce gli affetti terreni ed
è forse la vera fede del cosacco, perché quella terra è libertà, o meglio,
anarchia e perenne potenzialità. Le descrizioni paesaggistiche di Gogol’
risentono dello spirito romantico dell’epoca; traggono ispirazione
dall’osservazione del dato reale e lo rielaborano in chiave poetica e quasi
astratta:
La steppa,
quanto più vi si addentravano, tanto più si faceva bella. Allora tutto il
Meridione, tutta quell’estensione che ora costituisce la Nuova Russia, fino al
Mar Nero, era un verde e intatto deserto. Mai l’aratro era passato sulle
sterminate onde di erbe selvagge. Soltanto i cavalli, che sparivano fra esse
come in una foresta, le calpestavano. Non vi poteva essere nella natura nulla
di meglio. Tutta la superficie della terra appariva come un oceano verde-dorato
sprizzato di milioni di colori di ogni genere.
E dopo una
minuziosa descrizione degli elementi naturalistici, l’esclamazione finale: «Che
il diavolo vi porti, steppe, quanto siete belle!...»
La poesia lascia
presto spazio alla cruda realtà della guerra. Gogol’ descrive le battaglie con
una certa immaginazione e un gusto per l’orrido. Troviamo pagine con guerrieri
che si uccidono a vicenda; un cosacco che vendica la morte di un compagno per
finire ucciso a sua volta; un guerriero morto sul campo per avidità. E poi
descrizioni di teste divelte, sciabole infilate tra i denti, arti mutilati.
In uno di questi
sanguinosi scontri, Ostap diviene hetmano del proprio kuren’ per acclamazione,
prendendo il posto di un cosacco morto in battaglia. Il suo destino sarà quello
di qualsiasi “vero” cosacco: la morte violenta. Fatto prigioniero, viene
torturato su una pubblica piazza di Varsavia, e la descrizione rimanda alla
mente il finale di Braveheart (1995,
regia di Mel Gibson), non a caso narrazione della guerra per l’indipendenza dei
guerrieri scozzesi: «Ostap sopportò i tormenti e le torture come un titano.
Nemmeno un grido, nemmeno un lamento si udirono, neppure quando cominciarono a
spezzargli le ossa delle gambe e delle braccia, e il loro terribile scrocchio
venne udito, attraverso la folla come morta, fin dagli spettatori più lontani,
[…].» Il padre osservava e diceva: «Bene, figliolo, bene!» Quando giunsero le
ultime torture, Ostap pregò per vedere «un uomo di carattere, che con una
parola assennata lo rinfrancasse e lo confortasse in punto di morte.» Il
giovane grida invocando il padre e il padre risponde, in un capovolgimento
profano dei Vangeli, prima di dileguarsi per sfuggire ai cavalieri.
Taras Bul’ba
giura vendetta ai polacchi e guida un’insurrezione, nonostante alcuni cosacchi
avessero siglato un accordo di pace. Dopo aver devastato diversi villaggi, il
generale polacco Potocki lo ferma alle porte di Cracovia. Bul’ba viene
catturato per una banalità: con i polacchi alle calcagna, si ferma a
raccogliere la pipa caduta a terra. Il protagonista viene arso sul rogo, e
muore esaltando il popolo cosacco e il ritorno dell’esercito in primavera. In
un altro brano, Gogol’ scrisse queste parole, forse il più autentico lascito
della sua opera alla storia cosacca:
Non perirà
neppure una sola magnanima impresa e non scomparirà, come un minuscolo granello
di polvere dalla canna del fucile, la gloria cosacca. Ci sarà, ci sarà un
bandurista con la barba canuta fino al petto, un vegliardo, forse, ancora pieno
di maturo ardimento, ma col capo bianco, dall’anima profetica, che dirà di loro
la sua profonda, possente parola. E andrà fiera per tutto il mondo fama di
loro, e quanti nasceranno di poi parleranno di loro. Giacché si sparge lontano
la parola possente, essendo simile al rame vibrante delle campane, nel quale il
maestro fonditore ha gettato molto prezioso argento puro, acciocché lontano per
le città, le capanne, i palazzi e i villaggi si sparga il bel suono chiamando
tutti egualmente alla santa preghiera.
Il disprezzo per
la morte da parte dei cosacchi rievoca altre tradizioni guerriere ed è vicino
al concetto di areté caro ai Greci,
mescolato al senso di libertà degli antichi Germani, privi come i cosacchi di
una legge scritta. Gogol’ era un grande amante dell’Iliade e questo si
riscontra nello sguardo onnisciente sui campi avversari, nel destino umano
sottoposto all’ordine divino, ma anche negli epiteti e nel ricorso a elaborate
similitudini di tipo omerico.
In una delle
battaglie di Taras Bul’ba, il
protagonista grida ripetutamente ai kuren’ superstiti una stessa frase, come il
ritornello di una canzone di guerra, a cui i guerrieri rispondono: «Basterà
ancora, bat’ko, la polvere! Sono
ancora buone le sciabole; non è esausta la forza cosacca; non si sono ancora
piegati i cosacchi!» Sembrano Mirmidoni, questi cosacchi, se non per il fatto
che c’è poco di classico in loro; vi è una brutalità barbara in quel modo di
combattere, esito di un popolo vissuto in una terra senza pace, contesa per
millenni da popoli diversi. Forse è per questo che nei cosacchi, all’elemento
antico, si aggiunge un fanatismo religioso che per assurdo li avvicina di più
ai loro acerrimi nemici, i Tatari mussulmani.
Il'ja Repin, I Cosacchi dello Zaporož’e scrivono una lettera al sultano Mehmed IV di Turchia (1880-91) |
Stilemi d’opera e
di vita
Nel 1829, Gogol’
pubblicò il Ganc Kjuchel’garten,
idillio in versi stroncato dalla critica, che lo spinse a recuperare il maggior
numero di copie per darle alle fiamme. Era il secondo rogo di un suo testo,
dopo un primo avvenuto negli anni giovanili, a scuola. Gogol’ fu recensore,
commediografo, romanziere, aspirante storico e persino predicatore. Quando
scrisse Taras Bul’ba, aveva già
abbandonato un primo proposito di scrivere una storia dell’Ucraina e una più
ambiziosa storia universale, coerentemente a quanto stava insegnando in quel
periodo. Quell’ispirazione venne meno, anche a causa della freddezza con cui fu
accolto dai propri studenti e dagli accademici: secondo i contemporanei, Gogol’
sopperiva alla mancanza di un metodo storico con un eloquio magniloquente, ma
che nel concreto suonava vuoto.
Ritornò più
volte a quell’aspirazione, ma trovò una strada più adatta alla sua penna nella
satira dei costumi della società russa, in forma narrativa. Scrisse in russo,
lingua che parlava in casa fin da bambino, per quanto nel suo linguaggio comparissero
polonismi e ucrainismi: lo scrittore percepiva l’orgoglio della propria terra,
aiutato in questo dal clima storico, ma la sua Ucraina era concepita come
Piccola Russia, parte dell’impero zarista. La prima edizione di Taras Bul’ba
fu rivista già nel 1839, in concomitanza con un nuovo interesse storiografico,
e poi ancora nel 1842, quando preparò una ristampa delle sue Opere in
quattro volumi. Scrivendo allo storico Michail Pogodin nel 1839, si era spinto
a dire che forse la sua anima era stata «presa da una chiaroveggenza del
passato.» E nell’edizione del 1842, la vena di nazionalismo ucraino fu
trasformata in fedeltà allo zar, sempre sullo sfondo di un sentimento
antipolacco: la libertà cosacca si sottometteva a quel popolo russo che per
Gogol’ era costituito per metà da impiegati e per metà da schiavi.
Tutto ciò,
comunque, non impedì a Taras Bul’ba di rivestire, a posteriori, la
funzione di testimone letterario di una unicità del popolo ucraino rispetto a
quello russo, unicità ben più evidente nella prima versione del racconto.
Gogol’ è considerato
a ragione uno dei grandi scrittori della letteratura russa, ma forse a torto è
definito un maestro del realismo. Le sue opere traggono la forma più esteriore
della realtà. Troviamo così le situazioni satirico-grottesche, la messa in
scena della meschinità umana e della volgarità (il cosiddetto pošlost’), attraverso la riproduzione di
una narrazione orale (definita skaz),
densa di esclamazioni, imprecazioni e giochi di parole, in una sintassi che non
teme l’impiego caotico di subordinate. Il contenuto, però, rende Gogol’ più
vicino al realismo magico, di cui è un precursore. Lo si capisce nei racconti Il cappotto e Il naso, nell’assurdo accumulo di personaggi de L’ispettore generale, nel paradosso de Le anime morte. E un esempio di non
realismo si trova già nei primi racconti, nell’Ucraina fantastica delle Veglie
e in quella grottesca e romantica di Mirgorod (letteralmente “mondo-città”), un
universo che Antonella D’Amelia definisce «un duplicato del mondo reale, lo
stesso visto alla rovescia.» Quello di Gogol’ può dunque essere definito, al
limite, un realismo descrittivista, non accompagnato dal contenuto, che è
illusione, frammento momentaneamente ordinato di caos.
A un certo punto
della vita di Gogol’, questo approccio parodico non fu più sufficiente. Lo
scrittore era molto credente, sentimento che condivideva con la madre: nelle
loro lettere si vede nascere uno spirito predicatorio, ma anche un crescente
egocentrismo che portò Gogol’ a credere di aver ricevuto un talento da Dio e di
essere destinato a scrivere una grande opera universale. Non si trattava più di
un trattato di storia, ma di una trilogia, sul modello dantesco, di cui Le anime morte che conosciamo dovevano
essere il primo capitolo.
Con il passare
degli anni, il mondo vissuto da Gogol’ si fece più cupo, marcato da un’ironia
che sfiorava punte di sarcasmo. Egli si appellava però a un’umanità interiore,
a una comunità di fede idealizzata, e adottò i vocaboli del convertitore. Si
rivolgeva agli amici con l’aria di un mistico, per ricevere in cambio un
comprensibile scetticismo o un aperto fastidio. Nella prefazione all’edizione
di Taras Bul’ba che cito in nota,
Fausto Malcovati scrive a proposito del pensiero di Gogol’:
La società si
sta corrompendo, la convivenza diventa impossibile: intere vite possono andare
alla deriva in attesa della sentenza di un tribunale per una assoluta idiozia
[è il caso del racconto Storia del
litigio tra Ivàn Ivànovič e Ivàn Nikìforovič]. Questa la morale di Gogol’
congedandosi: il mondo è sempre più volgare, più corrotto, più ignobile, e
l’uomo non fa nulla per raddrizzarlo. Non c’è proprio nessuna speranza? La sua
risposta la troviamo nell’“inferno” di Anime
morte: no.
Assalito da turbamenti
spirituali, lo scrittore diede alle fiamme la seconda parte de Le anime morte, ma non resse al
conflitto interiore di quel gesto, morendo poco dopo.
Il suo corpo non
trovò pace nemmeno dopo la morte: nel 1931, i sovietici demolirono il monastero
di San Danilo, dove era sepolto, traslando i resti in un altro cimitero. Il
cadavere, sdraiato a faccia in giù, diede origine alla storia che lo scrittore
fosse stato sepolto vivo. Nel 1952, la pietra con croce ortodossa fu rimossa
dalla tomba; venne in seguito riutilizzata per la tomba di Michail Bulgakov,
ammiratore di Gogol’, e solo nel 2009 fu ricollocata sul sepolcro di
quest’ultimo con una riproduzione della croce originale.
Più fortunata la
sua eredità letteraria, che si può riassumere nelle parole di Fëdor
Dostoevskij, riferite agli scrittori della sua generazione: «Siamo tutti usciti
dal Cappotto di Gogol’.»
James Ward, A Cossack Horse in a Landscape (1820 ca) |
Bibliografia
essenziale
° D’Amelia A., Introduzione a Gogol’, Laterza, Roma –
Bari, 1995
° Gogol’ N., Le anime morte, Einaudi, Torino, 1994
° Id., Taras Bul’ba e gli altri racconti di
Mirgorod, Garzanti, Milano, 2020
° Nabokov V., Nikolaj Gogol’, Mondadori, Milano, 1972
° Strano G., Gogol’. Ironia, polemica, parodia (1830 –
1836), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004
Per un
approfondimento sulla storia ucraina e della Sič di Zaporož’e, rimando al mio
libro: Ucraina. Storia, geopolitica, attualità (2022), edito da PubMe,
che potete trovare qui.
Per un ulteriore approfondimento su Gogol’, rimando a un altro post di questo blog: qui. Per i miei consigli di lettura sul tema dell'Ucraina, si veda questo post.
Commenti
Posta un commento