Monografie d'arte. Antonio Canova

 

Thomas Lawrence, Ritratto di Antonio Canova (1815-19)


Come furono i primi anni del giovane Canova?

 

Antonio Canova nacque a Possagno, nel trevigiano, nel 1757. Figlio di uno scalpellino, Pietro, il padre morì quand’era giovane: la madre, Angela Zardo, anch’essa parte di una famiglia benestante di scalpellini, si risposò con Francesco Sartori e Antonio fu affidato al nonno Pasino Canova, del mestiere di famiglia.

Nel 1768, divenne protetto del senatore Giovanni Falier, che notandone il talento lo fece entrare nella bottega dello scultore Giuseppe Bernardi a Pagnano d’Asolo. Si trasferì poi a Venezia, dove frequentò l’Accademia e la Galleria Farsetti.

Nel 1775, aprì un suo studio nel chiostro di Santo Stefano a Venezia e qualche anno dopo lo trasferiva a San Maurizio. Nel 1778 realizzò il gruppo Dedalo e Icaro per Pietro Vettor Pisani, procuratore di San Marco, che fu esposto alla fiera della Sensa, la festa dell’Ascensione di Cristo. Con i cento zecchini guadagnati, poté fare un viaggio a Roma l’anno seguente, passando per Bologna e Firenze.

 

Antonio Canova, Stele funeraria
di Giovanni Falier
 (1805-08)

 

Dedalo e Icaro (1779)

 

Opera conservata al Museo Correr, Venezia.

Il mito racconta che i due personaggi crearono ali di cera per fuggire in volo dal labirinto di Minosse a Creta.

Canova scelse di raffigurare il padre preoccupato e il figlio sorridente, mentre il primo gli fissa una parte dell’ala. Il corpo del vecchio, proteso in avanti, ne sottolinea la senilità; quello del giovane, inarcato sulla schiena, funge da contrappeso e il gruppo risulta così in equilibrio. Le braccia di Dedalo sembrano abbracciare la materia, trattenendola, in quanto le teste e i busti sono indirizzati verso l’esterno, in direzioni opposte. Tra i due si crea comunque un vuoto, con la figura di Icaro al contempo attratta e respingente. Più equilibrate le loro gambe, con un’alternanza di arti contratti e a riposo e la gamba destra di Dedalo che si impone sull’incerta posa di Icaro.

 

Antonio Canova, Dedalo e Icaro (1779)

 

Che cosa accadde nei primi anni romani e come affinò la sua formazione?

 

Canova trovò un nuovo protettore nell’ambasciatore veneto Girolamo Zulian. Nel 1780 viaggiò a Napoli, visitando Pompei, Ercolano e Paestum, e l’anno seguente realizzò Apollo che si incorona per il principe Abbondio Rezzonico, nipote del defunto Clemente XIII. La scultura mostra il dio che si cinge il capo con la corona d’alloro, ispirandosi a statue antiche e all’Apollo del Parnaso di Mengs.

Per Zulian iniziò il gruppo di Teseo sul Minotauro. Mentre lavorava, Canova si faceva spesso leggere opere letterarie collegate al soggetto della scultura: così fu per la lettura dell’Iliade durante il lavoro sui bassorilievi di soggetto omerico, o con le tragedie di Alfieri, ascoltate in occasione della stele in suo onore.

Quando viaggiava, Canova allargava la propria biblioteca: a Firenze ottenne dei volumi del Museo Fiorentino, col consenso del re d’Etruria Ludovico I e in cambio della Venere dei Medici; a Napoli, ebbe i volumi delle Antichità di Ercolano, dopo aver realizzato i ritratti in marmo del re di Napoli, Gioachino Murat, e della regina, Carolina. Non era raro che scambiasse le sue opere con dei libri e la sua biblioteca romana era aperta a studiosi e artisti. Gli interessi di Canova erano molto vari: nella sua biblioteca si trovavano volumi di numismatica, utilizzati per le sue creazioni, trattati di archeologia e testi letterari, filosofici e storici, dagli antichi ai moderni. Tra i trattati settecenteschi, spiccano i nomi di Carlo Lodoli, Johann Joachim Winckelmann (Monumenti antichi inediti; Storia delle Arti del Disegno presso gli antichi) e Francesco Milizia. Numerose le incisioni di Piranesi, Tiepolo, Flaxman, Thorvaldsen, etc. Notevole anche l’attenzione particolare per i costumi popolari e degli antichi, nonché per le lingue: troviamo le Origini delle feste veneziane, un’opera sul dialetto napoletano e le varie grammatiche, oltre al Vocabolario degli Accademici della Crusca (1741).

Nel 1787, i tempi erano maturi: Canova inaugurò il Monumento funerario di Clemente XIV, nella basilica dei Santi Apostoli a Roma. Nel 1792, replicò il successo con la presentazione del Monumento funerario di Clemente XIII in San Pietro. Tornò così a Venezia e a Possagno forte dei traguardi raggiunti.

 

Bertel Thorvaldsen, Venere con mela
(1813-16)


Teseo sul Minotauro (1781-83)

 

Opera conservata al Victoria and Albert Museum, Londra.

Il soggetto è ripreso dalle Metamorfosi del poeta Ovidio: aiutato da Arianna, Teseo riuscì a uccidere il Minotauro nel labirinto di Cnosso.

Si tratta della prima scultura romana, commissionata da Zulian. In un primo tempo, l’idea era di rappresentare lo scontro; poi Canova – su suggerimento di Gavin Hamilton – scelse di ritrarre il momento successivo alla lotta, quando ogni passione è spenta.

L’anima di Teseo, che affiora dal volto determinato, è in armonia con il corpo, che si poggia imponente sul Minotauro, simboleggiando la vittoria della ragione sulla bestiale irrazionalità. Il marmo è trattato come un materiale morbido e la carne pare flessibile: l’eroe ha uno sguardo fermo, ma al contempo sembra provare pietà per il nemico sconfitto, aderendo così all’ideale dell’arte ellenistica letta da Winckelmann come rappresentazione di «nobile semplicità e quieta grandezza.»

 

Antonio Canova, Teseo sul Minotauro (1781-83)
 

Qual era il modus operandi di Canova?

 

In genere, lo scultore abbozzava alcuni disegni, poi passava a un modello in terra (cotta o cruda), in creta o in cera; da lì formava un calco in gesso con l’aiuto degli assistenti, che veniva colato in un modello di argilla, con le répere inserite, ovvero i chiodini di bronzo impiegati per trasferire con il compasso (pantografo) le proporzioni dal modello di gesso alla statua di marmo. Gli allievi poi sbozzavano il marmo; infine, Canova compiva l’opera di propria mano, rendendo il marmo liscio e traslucido.

La bellezza ideale a cui si appellava Canova consisteva nel trovare in sé tale valore, prima ancora che nella natura. Questa teoria era stata rielaborata da uno dei grandi teorici del Neoclassicismo, Winckelmann, rendendo lo scultore non solo un imitatore (all’epoca era di moda commissionare copie di sculture greco-romane), ma un continuatore della tradizione antica.

 

Anton Raphael Mengs, Ritratto di Johann Joachim
Winckelmann
 (1755 ca)

Monumento funerario di Clemente XIV (1783-87)

 

Opera conservata nella Basilica dei Santi Apostoli, Roma.

Teseo sul Minotauro aveva posto Canova al centro dell’attenzione. Il monumento a Clemente XIV fu commissionato da Carlo Giorgi, mercante arricchitosi grazie ai benefici ricevuti dal pontefice.

Per marcare ancora di più il distacco dall’arte barocca e rococò, per questo monumento funebre Canova rifiutò il panneggio tumultuoso, i marmi policromi e la ricca ornamentazione. Il pontefice è rappresentato alla sommità, con il braccio destro in una posa ammonitoria, in un gesto tanto grave e solenne quanto apparentemente stanco. Sotto di lui, lo scultore pose le personificazioni dell’Umiltà, con il capo chino, in malinconica riflessione, e della Temperanza, piegata sul sarcofago con volto quieto, mostrando un pacato rigore formale.

L’opera si snoda nell’orizzontalità, con figure di profilo o frontali paragonabili alla soluzione di Jacques-Louis David nel Giuramento degli Orazi (1784). Le forme geometriche date da Canova al monumento diedero vita a un nuovo modo di intendere questo genere di commissione.

 

Antonio Canova, Monumento funerario
a Clemente XIV
 (1783-87)

Che cosa accadde negli ultimi anni del Settecento?

 

Nel 1793, fece ritornò a Roma, terminando il gruppo Amore e Psiche che si abbracciano e, l’anno successivo, Venere e Adone per il marchese Berio di Salza.

Nel 1798, il pontefice Pio VI fu esiliato e venne proclamata la Repubblica romana. Canova scelse di tornare a Possagno: in questa fase, non disponendo ancora di tutti i suoi strumenti, si dedicò a tele e tempere. Si mosse poi a Vienna, dove ricette la commissione per il Monumento funerario di Maria Cristina d’Austria. In quel periodo, viaggiò tra Praga, Dresda, Berlino e Monaco.

 

Antonio Canova, Autoritratto come scultore (1799)

Amore e Psiche che si abbracciano (1787-93)

 

Opera conservata al Musée du Louvre, a Parigi. Una seconda copia è esposta al Museo Statale Ermitage, a San Pietroburgo.

La commissione provenne dal colonnello John Campbell e la scena è tratta da L’Asino d’oro, poema dello scrittore latino Apuleio. La scultura mostra Amore (o Cupido) un istante prima di baciare Psiche, la quale aveva aperto un vaso donato a Venere da Proserpina, rimanendone stordita. L’attimo rappresentato da Canova è, ancora una volta, successivo all’atto topico, eppure in quest’attimo sospeso è concentrata ogni energia scenica: i corpi che si sfiorano come foglie che cadono, il sottile erotismo, la molteplicità dei punti di vista, con una visione frontale di forte impatto e resa dall’intersecazione di due archi, che formano una X, e dall’intreccio di due cerchi.

Analizzando il bozzetto in creta, è possibile cogliere il primo moto dell’animo dell’artista, desideroso di realizzare una forma ideale, che nel bozzetto appare forse più spontanea e palpitante dell’opera finita. La distinzione può non essere netta e leggersi anzi come una vibrazione su piani espressivi diversi, quello della forma naturale (la creta) e la sua trasposizione ideale (il marmo finito). Ciò arricchisce l’analisi dei diversi livelli di significato: la scultura è prima di tutto una composizione tridimensionale; poi la rappresentazione di un amore giovanile, accentuato dalle membra tenere; infine, è un’immagine superiore del legame tra amore e morte.

Il committente non era in grado si sostenere le spese per il trasporto del gruppo marmoreo in Inghilterra, per questo fu acquistato da Gioacchino Murat, che lo portò al palazzo reale di Compiègne. Quando i suoi beni vennero incamerati dalla corona francese, l’opera finì nelle collezioni del Louvre.

 

Antonio Canova, Amore e Psiche che si abbracciano (1787-93)

 

Venere e Adone (1789-94)

 

Opera conservata al Musée d’Art et d’Histoire, a Ginevra.

Canova iniziò il gruppo senza aver ricevuto una commissione: esso fu acquistato dal patrizio genovese Giovan Domenico Berio di Salza, per poi passare al colonnello Guillaume Favre.

La scena mostrata è l’ultimo saluto tra Venere e Adone, giovane di incredibile bellezza, ucciso da un cinghiale mandato dal geloso Ares.

Nel gruppo, Adone è figura dominante, come un’armoniosa colonna a cui Venere si appoggia. I particolari sono centrali: le labbra socchiuse e i volti reclinati alludono alla dolcezza del loro amore; il drappo e l’accostarsi della dea suggeriscono l’intimità; il dardo stretto nella mano destra dell’uomo mostra l’arma con cui – secondo Canova – Adone aveva affrontato il cinghiale; le sue gambe bilanciano la scultura e il piede sinistro, sporto in avanti, unitamente all’espressione contemplativa sembrano un presagio della triste sorte del giovane.

 

Antonio Canova, Venere e Adone
(1789-94)

Ercole e Lica (1795-1815)

 

Opera conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Roma.

La commissione provenne da Onorato Gaetani dei prìncipi d’Aragona, per l’ammirazione dell’uomo per l’Adone e Venere. La vicenda rappresentata è tratta dal mito greco: Ercole, reso folle dal dolore provocato dalla tunica del centauro Nesso, intrisa di sangue, lancia il giovane Lica, che ignaro gliel’aveva consegnata.

Il gruppo esprime tutta la forza e la ferocia di Ercole, il quale solleva un piede di Lica; questi cerca di aggrapparsi a un altare e alla pelle di leone, ma è già sospeso in aria, pronto a essere scagliato nel mare.

Lo studioso Rudolf Zeitler commentò l’orrore incomprensibile che proviene da quest’opera: uno sfogo e una carica passionale che non lasciano spazio alla catarsi. Canova si era ispirato ai Colossi del Quirinale, all’Ercole Farnese e al gruppo ellenistico del Laocoonte, in Vaticano. Non regge invece la lettura politica, con la metafora della Francia (Ercole) che abbatte la monarchia (Lica), dal momento che Canova – a differenza di David – non era solito inserire riferimenti del genere nei propri lavori.

 

Antonio Canova, Ercole e Lica (1795-1815)
 

Ebe (1796)

 

Opera conservata all’Alte Nationalgalerie, a Berlino. Ne esistono altre tre versioni in marmo.

Questa prima versione della statua fu commissionata dal conte Giuseppe Giacomo Albrizzi; finì poi nelle mani di un collezionista veneziano, che la vendette al re di Prussia Federico Guglielmo III, nel 1830. La seconda fu scolpita per Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone. Le due statue ricevettero aspre critiche per l’impiego del bronzo nel creare la coppa (era il marmo a donare purezza alla composizione) e per la patina rosata che voleva suggerire l’incarnato della dea. Non piacque nemmeno la nuvola che la regge, ritenuta troppo barocca, né l’inespressività del volto: a quest’ultimo punto, rispose lo stesso Canova, affermando che Ebe non fosse una baccante, ma espressione del bello. A ogni modo, una parte delle critiche sortì qualche effetto, dato che nelle due versioni successive la nuvola fu sostituita da un tronco d’albero.

Ebe, figlia di Era e di Zeus, era coppiera delle divinità dell’Olimpo. La dea ha il corpo seminudo, accarezzato dalle vesti, segnate da un forte chiaroscuro ai lati. Si muove con passo lieve, come una danzatrice pompeiana. La grazia è nei dettagli: nel modo in cui viene tenuta la coppa, nell’acconciatura raccolta in un diadema, nel corpo appena slanciato in avanti, ma con il busto che si curva indietro.

 

Antonio Canova, Ebe (1796)

Maddalena penitente (1793-96)

 

Opera conservata a Palazzo Doria-Tursi, a Genova.

Lo scultore aveva creato due bozzetti preparatori, denunciando un’elaborazione combattuta. Maddalena è in ginocchio, poggiata su un masso; il capo è chinato, il volto piangente, mentre ammira un crocifisso di bronzo dorato. Una corda di fortuna le stringe la veste; i capelli lunghi e la carnagione sono coperti da una patina giallognola, che attenua il biancore del marmo. Nella Maddalena canoviana la donna sembra svenuta, abbandonata a se stessa per l’eccessivo dolore: la sua bellezza, pur intuibile, è stata annientata dalla consapevolezza del peccato.

 

Antonio Canova, Maddalena penitente (1793-96)

 

Quale fu il rapporto con Napoleone e con Pio VII?

 

Canova rientrò a Roma solo nel 1800, dove si ricongiunse al fratellastro, l’abate Giovanni Battista Sartori, che divenne suo segretario ed erede. Due anni dopo, Pio VII lo nominò cavaliere dello Speron d’oro e Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa. Ebbe l’onore di veder collocato il suo Perseo trionfante al posto dell’Apollo del Belvedere, portato a Parigi dai francesi. Proprio in quella capitale si recò nel 1802, per modellare il busto di Napoleone. Dopo aver ritratto la famiglia imperiale in innumerevoli busti e sculture a figura intera, nel 1806 terminò l’imponente statua di Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore.

Due anni dopo, al Salon di Parigi, venivano esposte con successo Maddalena penitente, Letizia Ramolino, Ebe e il gruppo di Amore e Psiche stanti. Anche in Italia otteneva grande favore: nel 1810, si recò a Firenze per inaugurare il Stele funeraria di Vittorio Alfieri in Santa Croce. A ottobre era di nuovo a Parigi, per ritrarre l’imperatrice Maria Luisa. Nel frattempo, Pio VII lo nominò Principe dell’Accademia di San Luca a Roma. Di fatto, Canova riuscì a mantenere un delicato equilibrio nel rapporto tra pontefice e imperatore, traendo profitto dal loro interesse nei suoi confronti.

 

Antonio Canova, Perseo trionfante (1797-1801)

Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria (1798-1805)

 

Opera conservata nell’Augustinerkirche, a Vienna.

Il duca Alberto di Sassonia-Teschen commissionò il monumento in onore della defunta moglie Maria Cristina. L’opera è intrisa della poesia sepolcrale, a partire dagli scritti di Foscolo. C’è però una distinzione dal poeta: per Foscolo, la morte era vissuta come un duro sonno, mentre per Canova essa era un sonno dolce ed eterno.

Il modello della piramide provenne forse da quella di Caio Cèstio a Roma. Una lenta processione si svolge di fronte al sepolcro, definito da un grosso architrave e da stipiti appena inclinati, a sottolineare l’oscurità dell’ingresso. Il gruppo marmoreo di sinistra rappresenta la Pietas romana o le tre età dell’Uomo. Il leone rappresenta la Fortezza e la donna che accompagna il cieco è la Pietà o Beneficienza. Il corteo è assistito, più in alto, dalla Felicità, accompagnata da un bambino alato in volo, che regge una palma e un medaglione con l’immagine della defunta. Il medaglione è incorniciato dall’uroboro, il serpente che si morde la coda, simbolo dell’eterno ritorno. Un genio alato, che rappresenta la tenerezza dello sposo, è infine appoggiato sul dorso di un leone, accovacciato e malinconico.

Le allegorie barocche sono state sostituite da simboli, con radici nel reale e sviluppi nel mondo ideale. Il monumento, con tali simboli, è una meditazione sulla morte e sull’affetto dei cari: sul piano della raffigurazione, i due mondi sono legati dal tappeto, che unisce interno ed esterno. Con le parole di Milizia: «la vita del morto sta nella memoria del vivo.»

 

Antonio Canova, Monumento funebre
a Maria Cristina d'Austria
 (1798-1805)

Paolina Borghese (1805-08)

 

Opera conservata nella Galleria Borghese, a Roma.

Il principe romano Camillo II Borghese aveva commissionato la scultura nel 1804, a seguito delle nozze con Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone.

La posa è quella di una Venere vincitrice, con il pomo di Paride in mano e un volto idealizzato, superno, che fa da contraltare a una veste più terrena, che seduce col suo drappo concentrato sul pube. Il busto è nudo, e la veste copre solo la parte inferiore del corpo, semidisteso su un’agrippina, un divano con un unico bracciolo. Tra gli artifici, uno strato di cera rosata restituiva la naturalezza dell’incarnato e la scultura era dotata di un ingranaggio per ruotare.

 

Antonio Canova, Paolina Borghese (1805-08)

Amore e Psiche stanti (1796-1800)

 

Opera conservata al Musée du Louvre, a Parigi.

Anche questa versione di Amore e Psiche fu commissionata dal colonnello Campbell e finì nelle mani di Gioacchino Murat. Nel mito, Amore era stato inviato dalla madre Venere per vendicarsi della bellezza di Psiche, tuttavia Amore, che avrebbe dovuto legarla a un uomo brutto, si innamorò di lei.

Canova rappresenta i due in piedi, mentre Psiche dona al dio una farfalla, simbolo della sua anima: il modello è l’Adone coronato da Venere. Il rapporto intenso tra i due non esclude affatto l’attrazione erotica, ma essa è resa secondaria rispetto al purismo lineare e volumetrico dei corpi, che allude a un legame ideale.

 

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti
(1796-1800)

 

Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore (1803-06)

 

Opera conservata alla Apsley House, a Londra.

Lo scultore fu convocato a Parigi nel 1802: Napoleone si sottopose a cinque sedute di posa, da cui Canova trasse un bozzetto in argilla del busto.

L’intera composizione è sorretta da un tronco d’albero. Napoleone è in piedi, nudo, tranne per la clamide militare appoggiata alla spalla sinistra: il braccio sinistro si solleva per tenere l’asta, mentre quello destro regge un globo dorato, sormontato da una Vittoria alata.

L’idealizzazione del condottiero francese, raffigurato all’antica, piacque più nella Penisola che in Francia, dove si preferiva rappresentare le personalità illustri in abiti contemporanei. Sembra che lo stesso Napoleone lo definisse troppo atletico: la statua trovò comunque una collocazione nel Musée Napoléon (come era stato ribattezzato il Louvre). Fu poi venduta dal governo borbonico alla corona d’Inghilterra, che la donò al duca di Wellington, Arthur Wellesley, vincitore di Waterloo.

 

Antonio Canova, Napoleone Bonaparte
come Marte pacificatore
 (1803-06)

 

Stele funeraria di Vittorio Alfieri (1806-10)

 

Opera conservata nella basilica di Santa Croce, a Firenze.

Vittorio Alfieri morì nel 1803 e la contessa d’Albany, Louise Stolberg, sua erede e compagna, commissionò a Canova un monumento in sua memoria. Dopo anni di progetti e ritrattazioni con la committenza, l’opera fu inaugurata a Firenze.

Il sarcofago si erge sopra un alto basamento ovale, decorato da festoni e da un’epigrafe. Una figura femminile, allegoria dell’Italia, è in piedi sulla destra, visibilmente afflitta: la veste presenta un fitto panneggio e la testa è sormontata da una corona turrita. Il defunto è rappresentato di profilo, in un cammeo che ne rimarca la distanza fisica; la figura piangente è invece la sintesi del dolore dei vivi, di un intero popolo. Lo stile complessivo è grave e maestoso.

 

Antonio Canova, Stele funeraria
di Vittorio Alfieri
 (1806-10)

Che ruolo svolse dopo la caduta di Napoleone?

 

Nel 1815, Canova fu nominato da Pio VII capo della delegazione della Santa Sede al Congresso di Parigi: negoziò e ottenne la restituzione delle opere d’arte che i francesi avevano requisito dopo il Trattato di Tolentino (1797). Per l’artista, le opere antiche formavano «catena e collezione», ovvero avevano più senso nel loro contesto, anziché per il singolo valore artistico.

A ottobre, volle trasferirsi a Londra, dove vide i marmi del Partenone acquistati da Lord Elgin.

Come ringraziamento per l’operazione parigina, Pio VII lo nominò marchese d’Ischia, assegnandogli un importante rendita (1816). Terminò allora la prima versione delle Tre Grazie.

 

Antonio Canova, Autoritratto (1792)

 

Tre Grazie (1812-17)

 

Opera conservata al Museo Statale Ermitage, a San Pietroburgo. Una replica si trova al Victoria and Albert Museum.

Giuseppina Beauharnais commissionò il gruppo, ma non vide nemmeno un disegno preparatorio, poiché Canova concluse il lavoro nel 1817, tre anni dopo la morte della donna.

Le Grazie erano divinità minori venerate a Paros con i fiori e nel silenzio: figlie di Zeus ed Eurinome, esse diffondono splendore (Aglaia), serenità (Eufrosine) e prosperità (Talìa).

La scultura è leggibile su più livelli. È innanzitutto un momento di unione tra sorelle, innocente per loro, ma attraente per uno spettatore. Un velo le cinge, celandone in parte le nudità e unendole nell’incontro. Le braccia formano come un nodo e la figura centrale è posta in maniera frontale: le tre figure sono poste in maniera tale da non dare mai del tutto le spalle allo spettatore.

Su ciò che rappresentino e simbolizzino ci sono varie interpretazioni, alcune sovrapponibili: in sintesi, le Grazie rappresentano il donare-ricevere-ricambiare, così come ornamento-gioia-abbondanza.

 

Antonio Canova, Tre Grazie (1812-17)

Venere italica e Venere che esce dal bagno (1819)

 

Opere conservate rispettivamente alla Galeria Palatina e alla Galleria Pitti, entrambe a Firenze.

La prima fu realizzata per sostituire la Venere de’ Medici, razziata dai francesi. Canova si ispirò a quell’opera per la posa, che esprime il tema classico della Venus pudica, e ne esaltò il senso del pudore e la vulnerabilità.

La seconda fu una commissione del banchiere e collezionista Thomas Hope: Canova rielaborò il modello della Venere italica. Lo scultore modificò la posizione delle braccia, semplificò la capigliatura, ridusse la lunghezza del drappo tenuto nella mano destra, avvicinando la figura alla Venere de’ Medici.

Confrontando le due sculture di Canova, la Venere che esce dal bagno è dotata di una maggiore carica erotica, amplificata dalla mano sinistra che sfiora con delicatezza il pube, ma è anche dotata di una maggiore grazia, con il suo dolce sorriso. A confronto, la sensualità della Venere italica risulta quasi repressa, come ben rimarcato dalle pieghe del drappo.

 

Antonio Canova, Venere italica (1819)

 

Come furono gli ultimi anni e che cosa realizzò a Possagno?

 

Nel 1819, fece ritorno a Possagno, per la posa della prima pietra del Tempio a lui dedicato, che doveva svolgere la funzione di chiesa parrocchiale. Terminò Teseo in lotta col Centauro e il Monumento equestre di Carlo III di Borbone.

Si spense infine nel 1822, a Venezia: furono celebrati funerali grandiosi e si avvertì, con la sua morte, la fine di un’epoca. Il Tempio fu concluso nel 1832, sotto l’occhio attento del fratellastro, che morì più tardi, nel 1858. Posto sul Col Draga, l’edificio si distingue per un colonnato dorico disposto in una doppia fila di otto colonne, che rimanda al Partenone di Atene. L’atrio è un vero e proprio pronao, con le colonne che sostengono un architrave di ordine attico: il fregio presenta sette mètope create da allievi di Canova. Il corpo centrale richiama invece il Pantheon romano e l’excursus storico-artistico si conclude nell’abside dell’altare maggiore, rievocazione delle antiche basiliche cristiane. All’interno, si trovano le tombe dei due fratellastri, un autoritratto dello scultore in marmo, ed elementi religiosi con mètope che rappresentano scene della Bibbia e la Pala dell’Altare maggiore dedicata alla Trinità.

A Possagno è situata anche la Gipsoteca, la raccolta di gessi che è il primo museo pubblico veneto a essere stato aperto. L’ala basilicale è ottocentesca; dell’ala scarpiana ho parlato qui, ed è questa a condurre alla pinacoteca, nelle stanze della casa natale. La Casa ha una parte centrale (dominicale) e un portico: Canova volle mantenere l’aspetto rurale, pur arricchendola di notevoli oggetti da collezione. In una torretta dell’edificio si dedicò alla pittura, nelle fasi 1789-92 e 1798-99, che furono una fase di ricerca. Oltre a ritratti e autoritratti, con figure a mezzo busto su sfondi scuri monocromi, egli dipinse anche soggetti pompeiani quali danzatrici, suonatori, animali mitologici. Nella serie delle danzatrici, vediamo cembali, corone, veli, amorini e ninfe, i cui piedi sembrano spiccare il volo, come nella Danzatrice con le mani sui fianchi. Lo sfondo nero è come un pensiero che si forma nella mente, nel buio, ed emerge negli elementi che sono essenziali a quel pensiero.

A Possagno, Canova si dedicava anche alle incisioni, che inviava all’accademico Quatremère de Quincy, al veneziano Giannantonio Selva e al critico d’arte Leopoldo Cicognara.

 

Antonio Canova, Venere che esce
dal bagno
 (1819)

 

Teseo in lotta con il Centauro (1805-19)

 

Opera conservata al Kunsthistorisches Museum, a Vienna.

Il gruppo fu commissionato dalla Repubblica Italiana dell’età napoleonica, come dedica a Napoleone. Esposto nello studio romano dell’artista nel marzo 1821, fu acquistato dall’imperatore d’Austria Francesco I per il Theseustempel, nel Volksgarten di Vienna.

La scultura raffigura Teseo pronto a dare il colpo di grazia a Euritone, re dei centauri, che da ubriaco aveva tentato di rapire Ippodamia alle nozze di lei con Piritoo.

Teseo vincitore domina la creatura, premendone la gola con la mano sinistra e il petto con il ginocchio sinistro. Con la destra impugna una clava, pronta a scagliarsi contro il centauro, che tenta invano di rialzarsi sforzando le zampe posteriori. Quelle anteriori sono esauste, prive di forza, e lo sguardo impassibile di Teseo sembra spegnere ogni speranza di sopravvivenza. Lo schema del gruppo è piramidale e un drappo lo attraversa, come un flusso vitale che lega vita e morte.

 

Antonio Canova, Teseo in lotta con il Centauro (1805-19)


Ninfa dormiente (1820-1824)

 

Opera conservata al Victoria and Albert Museum, a Londra.

La statua, terminata dai collaboratori, mostra una ninfa addormentata su un lettino. Canova aveva già realizzato il gesso, quando nel 1821 Lord Lansdowne gli commissionò la versione in marmo. La scultura raffigura un corpo snello, morbidamente adagiato. Il volto è sognante, solcato da un sottile sorriso, e stempera la provocante grazia femminile del resto del corpo.

In opere come questa, Canova ribadiva la propria maestria nell’esprimere l’ideale neoclassico di una purezza trascendente, che non teme la violenza del tempo e dell’uomo, mostrandosi nel suo spontaneo candore.

 

Antonio Canova, Ninfa dormiente (1820-24)

 

Quali sono le tematiche principali in cui poter suddividere l’opera di Canova?

 

La produzione di Canova si può distinguere prima di tutto in figure sacre e profane. Tra quelle profane, si distinguono figure mitologiche – di un sacro perduto nella storia e riattualizzato dall’arte – e figure contemporanee.

Il tema della forza e dell’azione si mescola spesso all’intelligenza e al genio, ma i due aspetti possono rimanere separati. Tra queste opere, ci sono quelle legate all’antichità, come Ercole e Lica e Creugante e Damosseno, e quelle che si riferiscono al genio militare, al condottiero e al politico. Troviamo in tal caso personaggi come il capitano della Serenissima Angelo Emo, George Washington, Napoleone, Paolina Borghese Bonaparte, Maria Luisa, Horatio Nelson e molti altri.

Il tema della fede è ricorrente nella produzione canoviana, anche se non predominante, e si lega al discorso sulla commemorazione funebre: troviamo così le varie stele, i monumenti funebri a Clemente XIII e Clemente XIV e sculture come la Maddalena penitente.

In chiave mitologica, e non senza una valenza sacrale, il tema del rapporto tra amore e morte è centrale: Amore e Psiche giacenti e stanti, Cèfalo e Procri e il Compianto della contessa de Haro di Santa Cruz sono solo alcune delle sculture più rilevanti in tal senso.

Infine, grande rilievo hanno la danza, la musica e il gioco, evocati non solo nella scultura (Ebe, Tre Grazie, etc.), ma anche nei disegni e nei dipinti, di ispirazione pompeiana, come in Le Grazie e Venere danzano davanti a Marte. Canova si rifugiò in questo idillio soprattutto alla fine del Settecento, quando si trovava a Possagno, lontano dagli eventi politici, nei giorni della Repubblica romana: anni dopo, in esilio, Jacques-Louis David seguì una strada analoga, come ricorda il suo testamento artistico, Marte disarmato da Venere e dalle Grazie (1824).

 

Antonio Canova, Le Grazie e Venere danzano davanti a Marte
(1797)

 

Bibliografia essenziale

 

° AA.VV., Antonio Canova. Arte e memoria a Possagno, Vianello, Treviso, 2004

° Androsov S., Guderzo M., Pavanello G., Canova, Skira, Milano, 2003

° Apolloni M. F., Canova, Giunti, Firenze, 1992

° Bassi E., Antonio Canova a Possagno. Catalogo delle opere. Guida alla visita della Gipsoteca, Casa e Tempio, Edizioni Canova, Treviso, 1972

° Cunial G., La Gipsoteca canoviana di Possagno, Fondazione Canova, Asolo, 2003

° De Feo R., Marini P., Mazzocca F., Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia, Electa, Milano, 2017

° Guderzo M., Museo Gypsotecha Antonio Canova, Silvana, Cinisello Balsamo, 2020

° Mario Praz, Gusto neoclassico, Rizzoli, Milano, 1974

° Mazzocca F., Canova e il neoclassicismo, E-ducation, Firenze, 2008

° Pavanello G. (a cura di), Antonio Canova. Disegni e dipinti del Museo civico di Bassano del Grappa e della Gipsoteca di Possagno presentati all’Ermitage, Skira, Milano, 2001

° Id., La biblioteca di Antonio Canova, Cierre, Caselle (Verona), 2008

° Pinelli A., Il Neoclassicismo nell’arte del Settecento, Carocci, Roma, 2005

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