Monografie d'arte. Francesco Borromini
Anonimo ritratto giovanile di Francesco Borromini |
Che cosa
caratterizzò la formazione di Borromini?
Francesco
Borromini nacque a Bissone nel 1599: il padre, della famiglia Castelli, era un
tecnico specializzato in idraulica, al servizio dei conti Visconti Borromeo; la
madre proveniva da famiglia agiata, attiva nel settore dell’edilizia e della
lavorazione lapidea.
A nove anni, il
padre mandò Francesco a fare apprendistato a Milano, allora dominata
dall’impegno di Carlo e Federico Borromeo. Forse l’artista riuscì a studiare
dai manoscritti leonardeschi; apprese certo l’arte scultorea e, forse, fu
influenzato da Domenico Fontana, architetto di Sisto V, nativo di Melide, sulle
sponde del lago di Lugano.
Forte del
contatto con Carlo Maderno, sposato a una figlia di suo cugino, Borromini decise
di spostarsi a Roma intorno al 1620, per trovare maggiori opportunità. Per
distinguersi dai tanti familiari dediti al suo stesso mestiere, Francesco adottò
i patronimici Brumino (da un possedimento paterno) e Borromino (per il legame
con i Visconti Borromeo).
Quasi del tutto
da autodidatta, studiò le antichità da opere quali l’Hypnerotomachia Poliphili (utilizzata anche da Gian Lorenzo Bernini) e da Antichità di Pirro Ligorio. Disegnò
dall’antico, rielaborando le soluzioni stilistiche: egli cominciò a
caratterizzarsi per l’accentuato dinamismo, la ridondanza dei simboli,
l’ascensionalità fiammeggiante, la sublime astrazione della geometria pura. Già
a Milano aveva inoltre studiato Michelangelo, attraverso l’architettura di
Pellegrino Pellegrini. Nella Roma della Controriforma, fu influenzato anche dal
revival neopaleocristiano ispirato dall’oratoriano Filippo Neri, dai due
Borromeo e da tanti altri.
Illustrazioni xilografiche dell'edizione originale (1499) della Hypnerotomachia Poliphili |
Quali furono le
prime commissioni di rilievo?
Nel 1628, il
marchese e mecenate Orazio Falconieri acquistò dai Farnese Villa Falconieri, a Frascati, già ingrandita da papa Paolo III e
ampliata dal cardinale Gian Vincenzo Gonzaga. Il marchese commissionò il
restauro a Borromini e chiese sempre a lui di rinnovare la basilica di san
Giovanni Battista dei Fiorentini e di costruire la cappella funeraria per la
famiglia.
Situato nel rione
Regola, Palazzo Spada era un altro
edificio cinquecentesco, comprato nel 1632 dal cardinale Bernardino Spada, che
incaricò Borromini di aggiornarlo allo stile dell’epoca. La facciata presenta cinquecentesche
decorazioni scultoree in stucco, per poi aprirsi in un androne di accesso al
cortile, dove l’artista creò una falsa prospettiva in trompe-l’œil: una
serie di colonne di altezza decrescente incontra un pavimento che si alza,
offrendo la percezione di una galleria ben più lunga dei suoi effettivi otto
metri. Sul fondo, un giardino che accoglie una scultura di appena sessanta
centimetri, ma che appare a grandezza naturale, completa la galleria
prospettica.
Progettata e
realizzata da Borromini tra il 1633 e il 1634, la scala elicoidale di Palazzo Barberini gareggiava con quella
quadrata di Bernini nello stesso edificio. Il palazzo era stato costruito nel
1625-33, ampliando una struttura appartenuta agli Sforza: la pianta a H è
caratterizzata da un atrio a ninfeo, che anticipa il loggiato d’ingresso e il
giardino sul retro. Borromini coadiuvò nel progetto il più anziano Carlo
Maderno ma, dopo la morte di quest’ultimo, la direzione del cantiere passò nel
1629 a Bernini, con il quale Borromini collaborò.
La famosa scala
borrominiana conduceva dal porticato esterno agli appartamenti del cardinale
Francesco Barberini. La pianta ovale abbraccia un vano ellittico: la scala è
ispirata a quella di Palazzo Farnese di Caprarola, realizzata da Giacomo
Barozzi da Vignola. Borromini la scandisce con colonne doriche binate,
sovrastate da un capitello con piccole api, simbolo araldico dei Barberini. La
luce naturale illumina la struttura attraverso le finestre della facciata e con
un oculo posto al culmine della scalinata.
Ottavio Leoni, Ritratto del cardinale Barberini (1624) |
San Carlo alle Quattro Fontane (1634-44)
Opera situata
nel rione Monti, Roma.
La chiesa –
dedicata a Carlo Borromeo e soprannominata San Carlino – fu realizzata per i
Trinitari scalzi, ordine nato nel 1599 per riscattare i cristiani finiti in
mano turca. Il finanziamento fu garantito dal cardinale Francesco Barberini,
nipote di papa Urbano VIII, per il quale l’architetto – insieme all’anziano
Maderno – aveva già realizzato il vicino palazzo.
Lo spazio è
ispirato a San Pietro, a iniziale croce greca, ridotta eliminando i bracci
rettilinei: le absidi semicircolari sono poco profonde, il vano centrale è
ovato, la decorazione è non convenzionale, con un ordine gigante di tipo
palladiano, modanature e aggetti, giochi di curve e altri elementi decorativi
bizzarri.
La cupola è
costruita in laterizio e presenta lavorazioni insolite a esagono e ottagono, al
cui centro è raffigurato lo Spirito Santo: una lanterna e due finestre
illuminano naturalmente l’interno. La cupola si collega al corpo della chiesa
con quattro pennacchi, poggiati sulla trabeazione. Le pareti sono ondulate, con
continue rientranze, e sono prive di decorazioni, dando l’idea di un organismo
vivente. La facciata è costituita da due ordini: quello inferiore mostra
superfici concave e convesse; quello superiore è arricchito da un’edicola
convessa. La nicchia posta sopra al portale, inquadrata da colonne-cherubini,
ospitò poi la statua di Carlo Borromeo, opera di Antonio Raggi.
Borromini
realizzò anche il chiostro e il convento, mentre gli ulteriori lavori nel
complesso furono proseguiti dal nipote Bernardo, basandosi sui disegni dell’architetto.
Il chiostro è piccolo, a pianta mistilinea derivata da un ottagono: il piano
inferiore è scandito da serliane, convesse agli angoli; quello superiore
presenta una serie di colonne e una balaustra, i cui insoliti pilastri
triangolari sono posizionati sia dritti che al rovescio. Anche a causa dei
pochi finanziamenti a disposizione, Borromini optò per l’impiego di materiali
umili, quali il laterizio, l’intonaco e lo stucco, che rese innovativi per
mezzo della tecnica.
Chiesa di san Carlo alle Quattro Fontane |
Oratorio dei Filippini (1637-67)
Opera situata a
piazza della Chiesa Nuova, Roma.
Nel 1637,
Borromini prese il posto di Paolo Maruscelli, architetto dell’ordine degli
oratoriani, fondato da Filippo Neri. La commissione che sovrintendeva la
fabbrica era gestita da Virgilio Spada, con il quale l’architetto scrisse l’Opus architectonicum, uscito postumo.
La facciata a
pianta concava nasconde il corpo trasversale dell’edificio: cinque livelli di
paraste creano un gioco di convessità e concavità; il timpano genera un
insolito coronamento mistilineo. Borromini impiegò materiale umile come il
laterizio, poiché la chiesa doveva essere più piccola dell’adiacente nuova
chiesa, quella di Santa Maria in Vallicella. L’architetto lo utilizzò però con
intelligenza: scelse mattoni di grande e piccolo formato e con colori diversi,
esaltando la policromia.
Oratorio dei Filippini |
Chiesa di santa Maria dei Sette Dolori (1642-46)
Opera situata
alle pendici del Gianicolo, nel rione Trastevere, Roma.
I lavori furono patrocinati
dalla duchessa di Latera, Camilla Virginia Savelli Farnese, fondatrice delle
oblate agostiniane nel 1640. I lavori furono però interrotti nel 1655, per
mancanza di fondi.
La facciata in
mattoni e stucco è non finita: mobile e inflessa, enfatizza le paraste angolari.
In modo simile all’Oratorio dei Filippini, il corpo è trasversale rispetto alla
facciata e occupa la parte a sinistra della facciata. Una volta entrati, si
trova un vestibolo a pianta centrale mistilinea; il corpo rettangolare della
chiesa ha angoli a smussatura curvilinea, con rientranze semiellittiche a metà
del rettangolo, suggerendo una sorta di transetto. Due volute, infine, coronano
l’altare maggiore.
Chiesa di santa Maria dei Sette Dolori |
Sant’Ivo alla Sapienza (1643-55; 1659-60)
Opera situata
nel rione di Sant’Eustachio, Roma.
La chiesa è
dedicata a sant’Ivo Hélory; Borromini divenne architetto del cantiere nel 1632:
rivide il progetto di Giacomo della Porta e pensò a una chiesa a pianta
centrale, con diverse soluzioni per il cortile e per la definizione delle
geometrie. La costruzione iniziò solo nel 1643; fu poi interrotta e ripresa nel
1659.
Borromini
sovrappose due triangoli equilateri invertiti, a formare una stella di David,
alternando curve e controcurve, sporgenze e rientranze, absidi al centro dei
lati e angoli smussati da linee determinate da cerchi analoghi, costruiti sui
vertici della composizione. Lo spazio che ne risulta è organico: si sviluppa
nella spirale ed esplode come un fiore percosso da un colpo di frusta, fino a
diventare fiamma.
Riguardo alla
cupola, non sussiste corrispondenza tra esterno e interno: infatti, i sei lobi
e il sesto acuto dell’interno non compaiono all’esterno, dove un tamburo e un
tetto a gradinate li nascondono. La lanterna stessa, rotonda all’interno, presenta
fuori sei sezioni concave a doppie colonne, terminanti in pinnacoli slanciati.
Per essa, Borromini si ispirò a diverse fonti, dalla tradizione che
rappresentava la torre di Babele spiraliforme al faro di Alessandria, passando
per le suggestioni del gotico del duomo di Milano. Là dove Bernini lavorava il
marmo con la morbidezza di un dipinto, Borromini trasformò la mole della pietra
in una eterea pennellata.
Chiesa di sant'Ivo alla Sapienza |
Palazzo di Propaganda Fide (1644-67)
Opera situata
nel rione Colonna, affacciata su piazza di Spagna, Roma.
La Sacra
Congregazione per la Propagazione della Fede fu istituita da papa Gregorio XV
Ludovisi nel 1622. Borromini divenne architetto dell’istituzione nel 1646,
sotto il pontificato di Innocenzo X, prendendo il posto di Gian Lorenzo
Bernini, incaricato da Urbano VIII Barberini. Borromini fece tabula rasa della
cappella realizzata da Bernini, che abitava lì vicino.
Egli passò dallo
schema ovale a quello rettangolare con angoli smussati. La facciata si
organizza intorno a imponenti paraste, con una finestra centrale convessa e
finestre laterali concave. Piano nobile e attico sono separati da un
cornicione, concavo al centro. L’ormai maturo lavorio, giocato su linee sinuose,
rende il palazzo uno dei più alti esempi di architettura barocca.
Palazzo di Propaganda Fide |
Restauro della Basilica di San Giovanni in Laterano
(1646-55)
Opera situata
sul colle del Celio, Roma.
Il restauro era
reso necessario dal pericolo di crolli e in vista del giubileo del 1650. Papa
Innocenzo X volle che la struttura originale paleocristiana fosse preservata.
Nella navata
centrale, Borromini giocò sui pieni e i vuoti, impiegando un ordine gigante di
paraste corinzie binate: i lavori di questa parte furono conclusi solo più
tardi, al tempo di Clemente XI, della famiglia Albani. Per quanto riguarda le
navate laterali, le membrature in stucco sono accompagnate da schiere di
cherubini, incastonati tra architravi e stipiti. Borromini restaurò anche la
colossale porta bronzea dell’età di Diocleziano, parte della Curia Iulia: vi
inserì inoltre stelle e ghirlande, riprendendo l’araldica della famiglia Chigi.
I lavori
proseguirono sotto Alessandro VII, che intendeva recuperare la memoria dei
pontefici nella basilica. Così vennero rinvigorite le testimonianze del
passato, come i monumenti sepolcrali dei papi Bonifacio VIII, Sergio IV,
Alessandro III: l’interno doveva rievocare ancora l’archetipo del Tempio di
Gerusalemme, con cherubini e porte sante giubilari che esaltassero la funzione
trionfale della Chiesa.
Basilica di san Giovanni in Laterano |
Rifacimento della
Basilica di Sant’Andrea delle Fratte
(1653-58)
Opera situata
nel rione Colonna, Roma.
La chiesa risale
almeno all’XI secolo, ma assume forme barocche con il progetto di Borromini. Questi
edificò il campanile a due ordini, in cui spiccano, nel secondo ordine, i
capitelli formati da erme di Giano Bifronte. L’architettò rinforzò la cupola
con contrafforti diagonali, che richiamano la croce di sant’Andrea. Il progetto
rimase incompiuto (la facciata fu ultimata addirittura nell’Ottocento), ma la
basilica ispirò artisti successivi, come Filippo Juvarra, che ne rielaborò
alcuni elementi nella costruzione della cupola della basilica di sant’Andrea a
Mantova.
Cupola e campanile della basilica di sant'Andrea delle Fratte |
Quale fu il
rapporto con Bernini?
Alla morte di
Maderno, iniziarono i contrasti tra gli artisti legati a San Pietro, a partire
dal cantiere di palazzo Barberini.
Borromini
privilegiava la materia umile e realizzava dettagliati schizzi geometrici;
Bernini, invece, realizzava schizzi che poi perfezionava in pulito. Borromini
aveva un carattere introverso e solitario, vestiva alla moda spagnola, mentre
Bernini era mondano e vestiva come un principe.
Borromini
distruggeva i modelli e lavorava soprattutto per gli ordini umili come i
trinirari e gli oratoriani; Bernini era l’artista prediletto di pontefici e
cardinali. Questi, insieme a Bellori, criticò Borromini per aver deformato gli
edifici, con angoli, linee distorte, inutili stucchi e sproporzioni, in linea
con quanto diceva la critica del tempo.
Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto (1630-35) |
Come furono gli
ultimi anni di Borromini?
Gli anni
Cinquanta furono pieni di amarezze: il cantiere lateranense si chiuse nella
delusione di un progetto irrisolto per il dissenso del pontefice; con gli
oratoriani nacquero contrasti insanabili; altre attività furono marginali, e
rimase escluso dall’importante commissione pamphiliana di Sant’Agnese in Agone.
Si chiuse in se
stesso, riprendendo i contatti con gli ambienti rigoristi. Tornò a lavorare al
San Carlino, curando la facciata su via Pia. Gli ultimi anni furono densi di
difficoltà. Gettandosi sulla sua spada, morì il giorno seguente per la ferita,
dopo aver fatto testamento e aver ricevuto i conforti religiosi: fu sepolto
vicino alla tomba del maestro Carlo Maderno. Istituì erede universale il nipote
Bernardo, a patto che sposasse una figlia di Maderno.
Anonimo ritratto di Francesco Borromini |
Bibliografia
essenziale
° Borsi S., Borromini, Giunti, Firenze, 2000
° Bösel R.,
Frommel C. L. (a cura di), Borromini e
l’universo barocco, Electa, Milano, 2000
° Portoghesi P.,
Francesco Borromini, Electa, Milano,
1984
° Sedlmayr H., L’architettura di Borromini. La figura e
l’opera, Electa, Milano, 1996
Sitografia
Il Barocco spiegato da Philippe Daverio, disponibile qui.
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