Trasformazioni radicali. Chimeriade di Francesco Verso

 


La copertina di Chimeriade (Future Fiction, 2025), ricca di graffiti e con una creatura ibrida, “crisperata”, evoca fin da sùbito l’“anima multifattoriale” dell’ultimo romanzo di Francesco Verso. È un’opera solarpunk di resistenza urbana, capace di unire l’ironia a profonde riflessioni sulla società in cui viviamo e su quella in cui potremmo vivere.

Ambientato nella Roma del 2049, Chimeriade immagina una società stretta nella morsa di un regime tecnologico oppressivo, dove sussiste un monopolio dell’energia solare e un’IA governa la città eterna come un imperatore digitale. In questa Roma high-tech, i droni pattugliano i cieli profilando i cittadini e persino il sole è diventato un bene privato su cui speculare. Eppure, nei vicoli e sui terrazzi, germoglia una resistenza gentile, la speranza di un futuro alternativo che viene letteralmente coltivato da una parte della popolazione.

 

Fin dalle prime pagine, Chimeriade ci catapulta in una metropoli futuribile dove la solarchia – il dominio elitario sull’energia solare – viene contrapposta allo spirito solarpunk delle comunità che rivendicano autonomia energetica e rispetto per tutte le creature. Roma è una città mutante, vivificata da trovate suggestive: alberi fotovoltaici (i “plastani”) che producono elettricità; animali parlanti grazie a una specifica tecnologia di traduzione; ospedali allo stremo che attuano soluzioni tecno-sanitarie solo apparentemente al limite della magia.

Lo scenario, sotto il profilo della sorveglianza centralizzata, ricorda vari incubi letterari (e non) del Novecento, ma Verso ne fa il terreno fertile per un discorso costruttivo in pieno stile solarpunk. La popolazione non accetta più di subire passivamente ciò che viene imposto dall’alto e, di fronte a un’autorità che vuole vendere il sole e circoscrivere l’innovazione a suon di brevetti, l’atto più sovversivo diventa piantare un seme non controllato.

 

Si può dire che al centro di questa resistenza bioetica vi sia la misteriosa Poa, un’umile piantina fluorescente. Il protagonista, Ireneo Pini, tecnico biomedicale e giardiniere clandestino, la coltiva come un gesto di pacifica ribellione. La Poa è una mutazione spontanea, un’erba che brilla di luce propria, senza bisogno di fili o interventi umani, sfidando così il monopolio energetico dell’AImministratore, autentica creatura chimerica di questo libro.

In una città dove la luce artificiale è merce razionata e il sole privatizzato, vedere una pianta emanare luminescenza naturale equivale a un atto sovversivo, parte di una rivoluzione non armata, di velluto, forte di un pragmatismo ragionato e di idee capaci di sconvolgere la realtà con la loro semplice espressione. La Poa non tarda a diffondersi, attraverso serre urbane condivise e audaci azioni di guerrilla gardening. Questo elemento fantascientifico, degno delle migliori utopie ecotecnologiche e per niente nuovo all’Autore, racchiude in sé il rifiuto di manipolare la natura con superbia, proteggendo invece la spontaneità ribelle, tanto in natura quanto in ciò che emerge dai rapporti sociali tra i personaggi.

 

Uno degli aspetti più affascinanti del romanzo è il suo linguaggio ibrido, che alterna registri molto diversi in un equilibrio riuscito. In parte, è come aver costruito una neo-lingua, anzi, una nuova semantica che invece di parlare di coercizione serve a discutere di coabitazione e funge da parte integrante del worldbuilding.

In termini stilistici, Verso adotta uno stile ora ironico e giocoso, ora poetico e viscerale, rispecchiando i due volti del mondo che descrive. Troviamo la satira burocratica ogniqualvolta l’AImministratore e l’apparato amministrativo futuribile parlano con la freddezza ottusa dei regolamenti, e la Roma del romanzo, imbrigliata in surreali procedure digitali, offre spunti comici intelligenti. Spiccano così i dialoghi iniziali tra i condomini di Ireneo e un gruppo di cinghiali urbani che si lanciano in vere e proprie scorribande. Questa scena, che ha quasi un tono da Asterix futuristico, strappa sorrisi genuini: si tratta di un momento paradossale, che oltre a divertire demitizza l’idea dell’essere umano al vertice della creazione.

 

Dall’altro lato, Chimeriade sa farsi serio e toccante quando volge lo sguardo al mondo organico. Il romanzo è attraversato da un autentico lirismo biologico: piante e animali vengono descritti con un rispetto quasi mistico. Verso riesce a dare voce al mondo naturale alternando alle scene ironiche dei brani di pura contemplazione ecologica. Il contrasto tra toni così diversi crea un tessuto narrativo originale, che alimenta il ritmo con una prosa accessibile ma ricca di sfumature, al netto dei molti concetti espressi.

In questo libro non ci troviamo di fronte alla classica storia di ribellione con eroi solitari e cruenti battaglie contro il sistema. Al contrario, l’Autore tratteggia una sorta di utopia simbiotica in divenire, che rifugge tanto la violenza rivoluzionaria quanto il dogma della purezza ideologica. I vari personaggi che animano il romanzo collaborano in modo costante e non violento per trasformare la realtà a partire dal quotidiano. È da notare che le idee sono estreme, radicali, ma le azioni volte alla loro realizzazione sono gesti che non danneggiano il prossimo, che cercano di persuadere con la forza del buonsenso. Il tutto si traduce dapprima in una rivoluzione silenziosa, che si muove sottotraccia e non viene rilevata dai droni; è un cambiamento che si basa sulla solidarietà diffusa, sugli orti comunitari e su piccole (ma significative) disobbedienze civili in risposta alla palese scorrettezza di un procedimento burocratico. Chimeriade evita la retorica dello scontro frontale, preferendo mostrare la paziente costruzione dal basso di un mondo alternativo.

 

In questa prospettiva, non c’è spazio per il mito della purezza incontaminata (spesso presente in certa narrativa eco-utopica e in una delle fazioni che opera nel romanzo), né per derive fanatiche. La nuova società sognata nell’opera coniuga tecnologia e biologia: è un’utopia “impura” nel senso migliore, perché accoglie il compromesso e la complessità della vita reale, rifiutando sia la tentazione di tornare a un passato bucolico, sia l’estremismo tecnocratico che vorrebbe ridurre tutto a efficienza e profitto.

Chimeriade dialoga così in maniera implicita con altre opere recenti. Se l’antologia Teratocene (Zona 42, 2025), che ho avuto modo di leggere di recente, immagina scenari cupi dove il futuro dell’umanità è simbolizzato da un figlio deforme dell’Antropocene, Verso sceglie invece la strada di un’evoluzione armoniosa, che guarda con occhio sapiente all’alterazione. In questo futuro, l’adattamento al cambiamento passa attraverso la capacità di entrare in simbiosi con le infinite varianti del mondo, naturali e artificiali, senza mai perdere la compassione per l’Altro.

 

Uno dei temi più suggestivi di Chimeriade è il superamento dell’antropocentrismo. Grazie alla tecnologia di comunicazione interspecie, gli esseri umani si trovano a dialogare con gli animali che li circondano. Se all’inizio queste interazioni strappano sorrisi, in breve si trasformano in spunti di una riflessione imprescindibile, poiché la possibilità di comprendere bisogni e opinioni degli animali ribalta la prospettiva: da comparse mute essi diventano agenti compartecipi della nuova società.

Mi è venuto spontaneo pensare al film Absolutely Anything (2015), in cui il protagonista scopre di poter parlare con il proprio cane, o a classici come la Guida galattica…, ma qui l’espediente non è magico né meramente comico, bensì scientifico e carico di implicazioni sociali. L’Autore affronta il tema con credibilità, sfruttando l’idea fantascientifica per suggerire che il primo passo verso un futuro più equilibrato è dare voce a chi non l’ha mai avuta.

L’abbattimento delle barriere comunicative tra specie funge da potente metafora del superamento dei confini mentali. Siamo ben lontani dalla concezione dell’animale come macchina istintuale: ogni creatura ha qualcosa da dire e un ruolo da svolgere nell’ecosistema della Roma del 2049. Inoltre, questo espediente narrativo richiama alcune suggestioni attuali, come i progetti di decodifica dei linguaggi animali, sempre più studiati.

 

Senza rivelare nulla della trama, va sottolineato come Chimeriade sembri rinunciare volutamente al momento esplosivo di tante storie che si risolvono in distopia. Ciò non significa però che non vi siano eventi significativi a rimarcare un cambio netto con il passato narrativo. Il finale del romanzo è in anticlimax, ma lo è per una scelta coerente con l’etica della resistenza gentile che trovo permei l’opera. Verso opta per una conclusione sommessa, quasi quotidiana, che però lascia intravedere la solidità del cambiamento in atto. È una chiusura narrativa che privilegia la sostenibilità della trasformazione costruita, piuttosto che l’effimera gloria di un gesto eroico isolato (sebbene vi siano personaggi che si spendano in gesti coraggiosi per la collettività). In tal senso, la catarsi si esplica nella perseveranza e nella coerenza etica, e non nello spettacolo fine a se stesso.

Chiusa l’ultima pagina, mi è rimasta la sensazione di aver assistito a un mutamento lento ma inesorabile, a un evento che, in termini metanarrativi, rappresenta la summa di un discorso sul solarpunk che l’Autore aveva aperto e portato avanti con opere come Ecoluzione (FF, 2024) e la dilogia de I camminatori (FF, 2018; 2019). Non mancano nel testo i riferimenti a queste opere, insieme a molte altre tematiche che sono il frutto di una ricerca durata lungo tempo. Credo che Chimeriade rappresenti un punto di arrivo e di svolta per Francesco Verso e sarà quindi curioso osservare come e se muterà la sua scrittura da qui in avanti.

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