Le anomalie della zona. Un libro di Claudio Kulesko

 


Un mondo futuribile attraversato da anomalie spaziotemporali: bizzarri fenomeni che infrangono le leggi della fisica e mettono alla prova la nostra comprensione della realtà. Questa è la cornice nella quale il lettore di Al limite del possibile (Zona 42, 2024) di Claudio Kulesko si ritrova.

Fin dalle prime pagine, un Tecnico si muove in uno scenario dove l’umano convive con l’alterità radicale rappresentata dalle anomalie. La scelta di riferirsi ai protagonisti come al Tecnico e alla Ditta sottolinea un approccio impersonale, in cui l’ignoto è una materia assimilata a un guasto da riparare. Dietro a questa veste burocratica, formale, affiorano però questioni filosofiche profonde. Kulesko inserisce la narrazione nel solco della riflessione sulla coscienza e sui limiti della nostra capacità di comprendere ciò che è davvero altro da noi. Ci spinge a chiederci, con Nagel, che cosa si provi a essere qualcosa di radicalmente altro. Possiamo davvero comprendere un’entità aliena, ed entro quali limiti? E come conviverci qualora restasse al di fuori della nostra portata?

 

Risuona il concetto filosofico degli “oggetti dormienti” privi di relazioni e quindi di qualunque esperienza percepibile. Le anomalie di Kulesko sembrano rientrare in questa categoria: enti enigmatici e isolati, ai margini del reale e impenetrabili alla mente umana. Non sorprende che il protagonista, in un momento cruciale, si paragoni proprio a uno di quegli oggetti silenti. Qui si condensa il sentimento di estraneità cosmica tipico della narrativa weird e dell’orrore cosmico, la percezione simultanea di una singolarità irriducibile e della sua totale insignificanza di fronte a un ignoto più grande (la frase che conclude il libro è emblematica in tal senso).

Le anomalie si inseriscono in un immaginario ben noto nella fantascienza. Vengono sùbito in mente la Zona di Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij e l’universo collaborativo della SCP Foundation: «In genere, è quasi impossibile stabilire se le anomalie siano o meno in grado di pensare. La maggior parte di esse è più simile a un meccanismo o a una crepa, che a un organismo vivente. Alcune – ben poche a dire il vero – sembrerebbero animate da intenti di qualche tipo. Altre sono persino in grado di comunicare, seppur in modo stereotipato; pensate ai fantasmi, ad esempio.»

In maniera analoga al romanzo sovietico, qui il mondo è costellato di fenomeni inspiegabili, frammenti di un “fuori” alieno che irrompe nella quotidianità umana. L’umanità si è adattata come può: esistono tecnici specializzati, protocolli da seguire, una burocrazia dell’assurdo che ricorda il tono di tanti capolavori del Novecento. Il risultato è un paradossale realismo dell’assurdo, in cui l’ignoto viene integrato nei rituali quotidiani e trattato come ordinaria amministrazione.

 

Kulesko adotta un’impostazione familiare a questi esempi, alternando il linguaggio burocratico dei rapporti tecnici alla narrazione per dare verosimiglianza agli eventi più improbabili. Per esempio, il Tecnico impiega un’app cartografica per individuare l’epicentro di un’anomalia e in un passaggio viene descritta in questi termini: «[…] basta affidarsi al navigatore integrato nell’applicazione. Ogni volta che si raggiunge un’anomalia, il sistema assegna un punteggio in base al tempo, alla prossimità e alle deviazioni effettuate per raggiungere la destinazione.» Sembra la relazione di un ingegnere, e tale registro ha una funzione narrativa specifica, amplificando lo straniamento da parte del lettore, sconcertato dalla prosa ordinata da manuale impiegata per narrare ciò che ordinario non è.

Il tono adottato dalla voce narrante è dunque asciutto, punteggiato però anche da dettagli ironici. Il contrasto tra la natura folle delle anomalie e il tono serioso di chi deve affrontarle genera proprio un umorismo sottile, a tratti kafkiano, ma certamente meno oscuro. L’ironia contribuisce anche al ritmo: scene d’azione convulse e situazioni di suspense si alternano a dialoghi surreali e trovate assurde, creando un continuo gioco di tensione e rilascio. In qualche modo, ricorda certi sketch della Guida galattica..., dove l’universo sembra divertirsi alle spalle dei personaggi.

 

Dopotutto la vicenda ruota intorno a un paradosso narrativo: il Tecnico, inviato a riparare una frattura del reale, finisce per imbattersi in un’altra versione di se stesso proveniente da un altro continuum temporale. L’Autore opera così con sdoppiamenti e loop, trasformando un concetto scientifico (il multiverso) nel motore delle azioni. In filigrana, si intravede anche il tema caro a Borges del Giardino dei sentieri che si biforcano (poi raccolto in Finzioni), il labirinto di tutte le possibilità simultanee.

È un espediente narrativo che costringe il lettore a ripensare le nozioni di identità e causalità. L’anonimato del narratore è parte del gioco: il lavoro di contenimento dell’anomalia è affidato a figure – i Tecnici – che sono intercambiabili all’interno di un’organizzazione più grande. L’impersonalità e l’indifferenza generale non scadono però in un pessimismo gratuito.

 

Il Tecnico di Kulesko ha uno sguardo ironico e operativo; l’eroe senza nome lavora, cerca soluzioni, collabora persino con se stesso: «Costruire un modello matematico in grado di descrivere l’anomalia dovrebbe aiutarci a individuare il modo più semplice, sicuro ed efficace per uscire da qui e liquidare il ticket. Non ho tempo da perdere, una settimana fa ho noleggiato Solaris di Tarkovskij per una cifra che non spenderei neppure per cenare e, che siano dannati Minkowski e la sua M se lo lascio scadere.»

Il Tecnico mostra in questi dettagli una sua precipua individualità, e al contempo il suo lavoro si trasforma in metafora dell’essere umano quale manutentore della realtà, chiamato a preservare il filo (i fili) di un discorso, dal momento che un concetto di ordine generale appare ormai fuori dalla sua (nostra) portata: «In realtà non siamo altro che una specie di idraulici cronospaziali. Mettiamo a posto le cose, cercando di farle tornare com’erano prima che l’universo decidesse di incasinarle. Per farlo servono pazienza, lucidità, conoscenze e una gran bella dose di creatività.»

 

Al limite del possibile è un racconto denso di idee. La scrittura è rigorosa; il registro linguistico tecnico e la riflessione filosofica forniscono profondità al testo, mentre l’ironia e il ritmo serrato assicurano intrattenimento e una nota di leggerezza surreale.

A fine lettura, non ho potuto non riflettere su alcuni quesiti: quanto c’è di umano in ciò che sfugge alla nostra comprensione? È sufficiente il rigore metodologico per saper affrontare l’inconcepibile? E in definitiva: qual è il nostro limite ontologico?

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