Il libro de "Il pianeta delle scimmie". Intelligenza, coscienza e decolonizzazione in Pierre Boulle
La Planète des singes di
Pierre Boulle uscì nel 1963 e, cinque anni dopo, il primo adattamento
cinematografico diede vita al famoso franchise de Il pianeta delle scimmie.
Per un approfondimento sulle trasposizioni, vi rimando a questo ottimo articolo
a firma di Roberto Recchioni.
La trama del romanzo è molto
semplice: tre esploratori umani, provenienti dalla Terra, visitano un pianeta
in orbita attorno alla stella Betelgeuse, una supergigante rossa. Qui scoprono
che le scimmie sono la specie dominante e dotata di intelligenza, mentre gli
umani si trovano allo stato selvaggio.
L’opera presenta delle affinità
con scritti precedenti, in particolare il romanzo Genus Homo (1944) di
L. Sprague de Camp e P. Schuyler Miller. Altre possibili fonti di ispirazione,
o comunque precedenti letterari, sono i romanzi Ape and Essence (1948)
di Aldous Huxley e Les animaux denatures (1952) di Jean Bruller, e i
racconti No Connection (1948) di Isaac Asimov e Living Fossil
(1939) sempre di Sprague de Camp.
Una società speculare
Il libro di Boulle è suddiviso in
tre parti, per un totale di trentasette capitoli che includono un prologo e un
epilogo.
Il pianeta scoperto dai
viaggiatori viene chiamato Soror, per le sue somiglianze con la Terra, dalla
quale dista trecento anni luce. La temperatura media è di circa 25°C e flora e
fauna assomigliano alle nostre. L’unica sostanziale differenza è che la specie
dominante è la cosiddetta “Simius sapiens”. Le scimmie sono a loro volta
divise in tre caste, per quanto – formalmente – abbiano tutte gli stessi
diritti: i Gorilla esprimono astuzia e forza bruta, gli Orangutan il sapere e
l’ottusità, gli Scimpanzé l’apertura mentale e lo stimolo alla ricerca
scientifica.
Lo sviluppo di questa società
ricorda da vicino quello terrestre della prima metà del Novecento. Vi sono
talmente tante affinità, come la presenza di automobili e macchine
fotografiche, che viene da pensare che il narratore-protagonista stia
raccontando di un brutto sogno, oppure che il lettore sia in presenza di un
universo alternativo.
In termini scientifici, le scimmie
sono interessate soprattutto alla biologia: esse riprendono la teoria
darwiniana dell’evoluzione, capovolta in favore della loro specie. Inoltre, gli
uomini di Soror vengono sottoposti a esperimenti di laboratorio, che includono
quelli famosi di Pavlov.
Alcune scimmie si interessano
anche all’archeologia: in particolare, gli orangutan si ostinano a voler vedere
solo quelle prove che dimostrano la loro teoria secondo cui le scimmie sarebbero
l’unica razza a possedere un’anima; al contrario, gli scimpanzé hanno un
approccio più scientifico e obiettivo, traendo le loro conclusioni dall’analisi
dei reperti rinvenuti.
Nel romanzo, infine, trova spazio
il sapere umano. Il protagonista-narratore ha un nome che dice tutto: Ulysse.
Egli viaggia con altri due compagni, il professor Antelle e Arthur Levain. Si
muovono alla velocità della luce, a cui va sottratto un valore infinitesimale
vicino allo zero: tra la Terra e Soror si crea così una differenza temporale di
diversi secoli, un elemento importante nello sviluppo della trama. Per tutta
l’opera, Ulysse si sforza di trovare punti di incontro tra i saperi dei due
pianeti, passando dalle scienze sociali alla geometria e all’astronomia. Al
netto dell’ottusità degli orangutan, il linguaggio tecnico-scientifico funge
qui da ponte per la comunicazione tra uomini e scimmie.
Una prospettiva capovolta
La biografia dell’autore, Pierre
Boulle, aiuta a comprendere un ulteriore aspetto del romanzo. Ingegnere di
professione, nella seconda guerra mondiale divenne un agente dei servizi
segreti francesi in Asia. In opere come William Conrad (1950) e Il
ponte sul fiume Kwai (1952), ritroviamo situazioni collegate al vasto tema
della decolonizzazione: si tratta di romanzi in cui Boulle propose
ambientazioni che avevano un forte legame con la sua esperienza diretta. Quegli
anni in Malesia, Cina e Birmania, a sostegno dei movimenti di resistenza
locali, dovettero aprirgli gli occhi su certe dinamiche che, dopo secoli di
colonialismo, sfuggivano all’uomo medio occidentale.
La rappresentazione di un mondo
capovolto, come lo troviamo ne Il pianeta delle scimmie, è forse
riconducibile all’influenza de I viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan
Swift. Tuttavia, complice anche il clima culturale dell’epoca, reso
effervescente dalla sfida all’etnocentrismo in àmbito antropologico, Boulle
creò un’opera a più livelli, che spazia dall’antispecismo alla critica del
relativismo morale.
Quando entrano a contatto con gli
umani selvatici di Soror, il protagonista e Levain discutono sulle somiglianze
con alcune popolazioni terrestri. Sùbito pensano ai nativi della Nuova Guinea o
delle foreste africane, che tuttavia, a differenza dei sororiani, possiedono la
parola. Siamo nelle prime pagine, quando gli esploratori adottano ancora uno
schema da conquistatore.
Presto, Ulysse è costretto a
rivedere le sue convinzioni, scientifiche e spirituali. Scopre non solo che le
scimmie hanno sviluppato una civiltà del tutto simile a quella umana sulla
Terra, ma che hanno appianato ogni conflitto, accentrando il potere planetario
in un Consiglio di ministri guidato da un gorilla, un orangutan e uno
scimpanzé. In linea di principio, hanno tutti gli stessi diritti e un
parlamento tricamerale permette la difesa degli interessi di ciascuna classe.
Quella delle scimmie di Soror sembra in tutto e per tutto un’utopia, ma
nasconde qualcosa di terribile.
Ulysse e altri umani vengono
catturati dalle scimmie durante una battuta di caccia degna di un cacciatore
d’avorio dell’Ottocento. È il primo passaggio che smonta la presunzione del
protagonista sulle capacità sovrumane della sua specie: «I gorilla prima si
facevano ritrarre individualmente, in pose ostentate, alcuni posando il piede
con aria di trionfo su una delle loro vittime; poi in gruppo compatto, in cui
ciascuno intrecciava il braccio intorno al collo del proprio vicino. Venne
quindi il turno delle signore, che, di fronte a quel carnaio, assunsero
atteggiamenti vezzosi, mettendo bene in evidenza i loro cappellini
impennacchiati.»
Finito in cattività, Ulysse riesce
a mostrare la sua intelligenza a una scimmia biologa, Zira, e i due si
confrontano sulle rispettive storie. Secondo gli scienziati di Soror, le
scimmie si sarebbero evolute rispetto agli uomini grazie al linguaggio. Alcuni
vedevano in ciò un intervento divino; altri sostenevano che la scimmia aveva
sviluppato una natura spirituale perché in possesso di quattro agili mani. La
civiltà scimmiesca di Soror prevede elettricità, industrie, aerei e satelliti
artificiali, ma, stando alle più antiche testimonianze scritte, non sembrano
esserci stati importanti salti tecnologici rispetto ai secoli passati. In un
primo momento, Ulysse teorizza «un oscuro periodo di ristagno», ma, a seguito
di alcune scoperte archeologiche alle quali assiste sul pianeta, inizia a
supporre che gli uomini abbiano governato Soror prima delle scimmie.
A quel punto, tutto si chiarisce.
La creazione della civiltà sororiana e il suo equilibrio egualitario si basano
su un atto fondativo di autodeterminazione e di violenza. Gli orangutan, che
secondo Zira rappresentano la «scienza ufficiale», conservano l’antico sapere
in maniera ottusa, rifiutando ogni novità proposta dagli scimpanzé, mossi
invece da un autentico spirito di ricerca. In poche parole, gli orangutan, con
il loro sapere “scolpito sulla pietra”, celano il tabù dell’uccisione del
padrone. Pur inconsapevoli, evitano a ogni costo di far emergere quel sommerso
che smantellerebbe le loro convinzioni sull’universo.
Convinzioni che si sgretolano
nella mente di Ulysse. Le scimmie conducono esperimenti sugli umani in modo
quasi ossessivo. Di fronte all’intelligenza di Ulysse, però, gli orangutan
sorridono e attribuiscono le sue capacità all’istinto e a uno spiccato senso
dell’imitazione. Per l’umano diviene frustrante e umiliante, non appena le
scimmie iniziano a condurre studi sui comportamenti sessuali: «Sì, io, il re
della creazione, cominciai a danzare in cerchio intorno alla mia bella. Io,
l’ultimo capolavoro di un’evoluzione millenaria, […] persuaso in questo momento
che esistono più cose sui pianeti e nel cielo di quante ne abbia mai sognate la
filosofia umana, io dico, Ulysse Mérou, iniziavo alla maniera dei pavoni la
danza dell’amore intorno alla meravigliosa Nova.»
Una rinuncia al primato
Non è finita. Nella sezione
encefalica del laboratorio, vengono svolte operazioni al cervello: innesti,
alterazione dei centri nervosi, asportazioni. Il cervello umano è utile alle
scimmie scienziate, bisognose di nuovo materiale per gli esperimenti; uno
studio che finisce per alimentare la spietata caccia all’uomo.
Gli studi portano tuttavia a
risultati inaspettati per le scimmie. Ulysse assiste a un esperimento con il
quale una donna inizia a parlare grazie a un collegamento neurale con una
scimmia. Nell’umana si risveglia la memoria della specie, una sorta di inconscio
collettivo basato sui geni. Emergono ricordi atavici in ordine sparso e la
donna sembra come posseduta. Le scimmie «più insolenti» sono quelle a cui è
stata concessa la libertà, dice una delle sue voci: «Quando ho alzato la mano,
mi ha guardato con un’aria così minacciosa che non ho osato picchiarlo.» Poi la
voce cambia, diviene anche maschile: «Una pigrizia mentale si è impadronita di
noi. Niente più libri; perfino i romanzi polizieschi sono divenuti una fatica
intellettuale troppo grande. Niente più giochi, a malapena qualche solitario.
Nemmeno il cinema per ragazzi ci alletta più. E intanto le scimmie meditano, in
silenzio. Il loro cervello si sviluppa nella riflessione solitaria… e parlano.»
Nei ricordi della cavia umana, la
situazione peggiora: i gorilla domestici frequentano certe riunioni serali e,
infine, cominciano a dare ordini ai padroni, costringendoli alla fuga. Una
domatrice del circo, invece, finisce in gabbia e, facendo eco ai fautori del
tramonto dell’Occidente (qui dell’umanità), abdica a ogni libertà con queste
parole: «Bisogna essere giusti; le scimmie ci trattano bene, ci danno da
mangiare in abbondanza e ci cambiano la paglia del giaciglio quando è troppo
sudicia. […] Non sono infelice. Non ho più preoccupazioni né responsabilità. La
maggior parte di noi si adatta a questa condizione.» A ciò si affianca il
pensiero di Ulysse, che guarda in faccia Cornélius, il compagno di Zira:
«Comprendevo fin troppo bene il suo pensiero: non era forse naturale che
un’umanità così fiacca, così facilmente rassegnata avesse fatto il suo corso
sul pianeta, lasciando il posto a una razza più nobile?»
Tra spirito, coscienza e
biologia
Rileggendo i miei appunti sul
romanzo, mi sono reso conto che Nova, una donna di Soror, sia un esempio
isolato di essere umano che uccide una scimmia, ovvero il domestico e innocuo
Hector, proveniente dalla Terra. Nelle pagine successive, appare impossibile
una tale reazione, che tuttavia è un chiaro indizio al lettore sull’antica
condizione degli umani del pianeta.
Nel romanzo, il narratore
protagonista ragiona spesso sulla coscienza. Riferendosi agli umani, Ulysse
mette in ordine le seguenti espressioni, che sembrano consequenziali: «neppure
un barlume d’intuizione brillò nella loro pupilla»; «privi d’intelligenza» e
«mancanza di inflessione cosciente, assenza di spirito».
Gli esseri umani si sono talmente
allontanati dal loro spirito, per così dire, che ogni cosa fabbricata eccita la
loro collera e la loro paura, portandoli a distruggere tutto in maniera
insensata. Viene da pensare che più che la sopraffazione scimmiesca, abbia
agito qui la totale rinuncia umana a voler gestire la tecnica e le tecnologie.
In altre parole, forse non sono le scimmie ad aver avuto la meglio, ma gli
umani ad aver abdicato. Hanno tratto profitto da questo ritorno alla natura
selvaggia? Non sembrerebbe, perché quella nicchia biologica è stata riempita da
una specie altrettanto dominante e distruttiva, perlomeno verso le altre
specie.
A ogni modo, il rapporto tra
Ulysse e Zira racconta anche qualcosa di più sul tema. Per mezzo della
geometria, mostrata dal protagonista alla scimmia, nasce un’intesa spirituale:
«Ne provavo una soddisfazione quasi sensuale, e sentivo che anche la scimmia
era profondamente turbata.»
E più avanti: «Mi fermo di colpo e
la prendo tra le braccia. È commossa quanto me. Mentre ci teniamo strettamente
abbracciati, vedo scorrere una lacrima sul suo musetto. Ah! Che importa questo
suo orribile involucro materiale? È la sua anima che comunica con la mia.» E
quando i due sono addirittura sul punto di baciarsi, solo allora prevale il
senso dell’orrore, da parte di Zira, che dichiara: «Mio caro, è impossibile. Mi
dispiace, ma non posso, non posso! Sei veramente troppo orribile!». Così Ulysse
finisce i suoi giorni su Soror, come la creatura di Frankenstein, sensibile e
intelligente, ma irrimediabilmente orribile per gli altri esseri.
Boulle sembra suggerire che la
natura spirituale non sia appannaggio di un essere specifico – umano o scimmia
– ma che possa trasferirsi di specie in specie sulla base di fattori evolutivi.
Le scimmie acquisiscono quella scintilla; gli umani l’hanno persa, come il
professor Antelle, ma possono recuperarla, come accade con il figlio di Ulysse
e di Nova.
Quella proposta da Boulle non è
mai una sfida tra bene e male assoluti, tra giusto e sbagliato: si può
interpretare, al limite, come il processo di sviluppo di una coscienza
universale, che, a seconda dell’evoluzione, attraversa le specie.
Un ultimo elemento, sempre
collegato al tema della coscienza, ci trasporta nel nostro presente. Il
protagonista riesce a intervenire a un’assemblea delle scimmie, in cui dimostra
di essere una creatura cosciente. Liberato e introdotto nella società delle
scimmie, Ulysse, complice l’alcool, afferma: «Non potrei definirla meglio che
come un progressivo indebolimento, nel mio spirito, della natura scimmiesca dei
personaggi che mi stavano attorno, grazie alla funzione che esplicavano o al
ruolo che sostenevano nella società. Per esempio, nel direttore d’albergo che
si avvicinò ossequiosamente per accompagnarci verso il nostro tavolo, vidi
solamente il direttore d’albergo, mentre la sua natura di gorilla tendeva ad
annullarsi.»
Leggendo questo passaggio, ho
sùbito pensato a come il discorso si possa estendere agli androidi, con una
differenza che è solo di ordine evolutivo. Il romanzo di Boulle mostra come la
violenza possa scaturire tanto dall’istinto, quale reazione alla paura, quanto
da un crudo calcolo logico. Poste di fronte a una minaccia esistenziale, le
scimmie tentano di cancellare Ulysse e la sua stirpe nascente. In parallelo, mi
sono chiesto: che cosa faranno gli esseri umani, nel giorno in cui, «per
pigrizia», lasceranno gli automi a meditare sul significato dell’esistenza?
Commenti
Posta un commento