Frankenstein, o l'umanità allo specchio

 

Come si fa a dire ancora qualcosa su un classico citato e recensito da chiunque? Non ho una risposta, ma posso dire come una rilettura di Frankenstein abbia generato in me queste tre considerazioni in ordine sparso.

 

1. «Tu sei il creatore, ma io sono il padrone!»

Il romanzo in questione è uno specchio in cui l’umanità si riflette: Frankenstein svela la paura del creatore di fronte alla propria opera, un tema ancora attuale, in un tempo in cui le innovazioni tecnologiche sembrano sfuggire al controllo degli ideatori. Ogni invenzione porta con sé il peso di una responsabilità, più o meno grave a seconda del grado di irreversibilità del cambiamento. Victor afferma di essere «il responsabile di mali irreversibili» e di vivere una sincera angoscia al pensiero che la creatura – che definisce «il mostro» – avrebbe potuto compiere enormi misfatti.

 

2. Il padre di Victor definisce «inutile ciarpame» il trattato di magia De occulta philosophia libri III dell’alchimista Cornelio Agrippa, vissuto tra Quattrocento e Cinquecento, e che fu medico personale di Luisa di Savoia e storiografo di Carlo V.

Il giovane Victor aveva poi letto Paracelso e Alberto Magno; fin dai quindici anni, rimase affascinato dall’elettricità e dal galvanismo, in una metafora dell’aspirazione umana a dominare le forze naturali. Due anni dopo, i genitori lo mandarono a studiare a Ingolstadt, da cui Johan Georg Faust era stato cacciato nel 1528: è così che la vita e la ricerca di Victor tornano a intrecciarsi con gli antichi saperi. Il rifiuto del padre verso certi studiosi simboleggia proprio il conflitto tra la vecchia e la nuova conoscenza, un argomento che oggi ritorna nel dibattito su quali possano o debbano essere i limiti dell’esplorazione scientifica.

 

3. La creatura legge il Paradise Lost di John Milton e, anziché identificarsi con Adamo, si riconosce in Satana, «emblema più giusto per la mia condizione…», conscio tuttavia di essere ancora più solo di lui, che poteva almeno contare sull’ammirazione dei suoi compagni diavoli.

È il tormento interiore di chi si sente escluso dalla società; l’alienazione della creatura rappresenta un’eco delle nostre insicurezze e di quel senso di solitudine che accompagna spesso chi si percepisce diverso o incompreso. Frankenstein stimola considerazioni essenziali: per esempio, su quali basi si fonda l’esclusione? E può l’escluso dirsi autodeterminato nel momento in cui reagisce a un’imposizione?

La creatura trova rifugio presso una casa, mantenendosi celato alla famiglia che la abita. Egli fugge dalle intemperie, ma soprattutto «dalla barbarie dell’uomo». Nel romanzo Il profumo di Patrick Süskind, influenzato da Frankenstein, il personaggio di Grenouille condivide una simile fuga, ma in lui la barbarie è radicalizzata, quasi metafisica, al contrario della creatura di Shelley che mostra un animo socraticamente buono per natura, come egli stesso cerca di dire: «Il mio cuore era fatto per essere sensibile all’amore e alla compassione: quando fu costretto dall’infelicità a seguire la via del male e dell’odio, non sopportò la violenza del cambiamento senza tormentarsi in una maniera che neanche vi immaginate.»

 

Nei riguardi della creatura, Victor agisce con uno schema mentale da Antico Testamento: «Oh! Se potessi, con l’estinzione della tua miserabile esistenza, riportare in vita quelle vittime che hai così diabolicamente ucciso!» La creatura, invece, usa toni più evangelici e patetici: «Tutti gli uomini odiano i disgraziati; quanto, dunque, devo esser odiato io che sono la più disgraziata fra le creature viventi!» E, posto di fronte alla durezza del suo creatore, continua alla Nietzsche: «[…] un legame che può esser sciolto solo con la distruzione di uno di noi.»

Victor esce devastato dal confronto. In una pagina, afferma che non vi era più nessuno che fosse pronto a tendergli la mano e sperimenta così la solitudine della creatura. In un vortice autodistruttivo, in cui si convince di non poter ricominciare a vivere, Victor dichiara che siano gli umani le vere «creature informi, incomplete», se non sono soccorse da qualcuno di più saggio che ne perfezioni la natura. Nelle ultime pagine, dunque, Victor sembra alludere a quella pietà che ha sempre negato alla sua creatura.

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