J. D. Salinger. Holden e la scrittura per la vita

 

Ritratto di Salinger creato da Robert Vickrey
per la copertina di Time


L’autore

 

Per certi versi, la biografia di Jerome David Salinger è ancora più affascinante della sua opera. Nel mio Ānanda (PubMe, 2021), mi sono ispirato alla sua vita nel racconto Lettere di guerra, per la parte relativa agli ultimi anni del protagonista. In merito a questo post, le citazioni provengono dall’Invito alla lettura di Salinger (Mursia, 1999) di Ennio Ranaboldo. Per un ulteriore approfondimento sullo scrittore, rimando a questo post del blog.

Salinger nacque a New York nel 1919: il padre era un commerciante di origini ebraico-lituane; la madre era una casalinga di origini tedesche, scozzesi e irlandesi, convertitasi all’ebraismo. Il giovane Jerome si iscrisse a un’accademia e college militare, in Pennsylvania, per finire poi alla New York University. Lasciò presto gli studi: accettò un lavoro su una nave da crociera e in seguito lavorò per il padre nel commercio di carne a Vienna; in quel periodo, visitò la Polonia, Londra e Parigi, apprendendo francese e tedesco. Aveva iniziato a mandare i suoi racconti alle redazioni delle riviste, abituandosi a veder restituiti i manoscritti.

Nel 1939, frequentò un corso serale di scrittura alla Columbia University, tenuto da Whit Burnett, fondatore e direttore della rivista Story, dove Salinger pubblicò il primo racconto. La pubblicazione di un secondo racconto avvenne sulla rivista University of Kansas City Review.

Nel 1942, partecipò da volontario alla seconda guerra mondiale e fu coinvolto nello sbarco a Utah Beach nel D-Day e nella battaglia delle Ardenne. Nel corso del conflitto aveva pubblicato sulle riviste Esquire e Saturday Evening Post. In Francia, Salinger incontrò Hemingway, allora corrispondente di guerra, il quale sembra avesse apprezzato il suo talento. Salinger fu al servizio del controspionaggio, per la sua conoscenza delle lingue. Vide i campi di concentramento e il trauma lo portò a essere ricoverato per lo stress da combattimento.

Dopo la guerra, si dedicò al processo di denazificazione della Germania e sposò una donna tedesca di nome Sylvia, ma il matrimonio durò pochi mesi.

 

Alla fine degli anni Quaranta, Salinger si avvicinò al Buddhismo Zen, poi all’Induismo. Si interessò agli scritti di Shri Ramakrishna e dell’allievo Vivekananda, che valorizzavano il celibato e il distacco dalle responsabilità umane per raggiungere l’illuminazione. Di mente aperta, esplorò anche altre pratiche quali Dianetics e la Chiesa Scientista, non disdegnando nemmeno lo studio della filosofia antica.

Dal 1948, cominciò a collaborare col The New Yorker, facendosi notare con il racconto A Perfect Day for Bananafish. Cominciò allora il graduale ritiro di Salinger dalla scena pubblica: egli non ricoprì mai incarichi accademici e non era solito partecipare a convegni o seminari. Grande appassionato di cinema, nel 1950 ci fu la prima cinematografica di My Foolish Heart, ispirato al suo racconto Uncle Wiggily in Connecticut, ma lo scritto fu talmente stravolto che Salinger, da allora, negò sempre i diritti per qualsiasi trasposizione delle proprie opere.

L’anno successivo, uscì The Catcher in the Rye (Il giovane Holden), che ebbe sùbito grande successo e fece clamore per i suoi contenuti scabrosi e inconsueti.

 

Nel 1953, si ritirò a Cornish, New Hampshire: sposò la studentessa Claire Douglas (nel 1955, quando lui aveva 36 anni), dalla quale ebbe una femmina e un maschio; continuò a pubblicare racconti, tra cui Franny e Zooey (1961). Nel 1967, ci fu il divorzio.

Conobbe la giovane scrittrice Joyce Maynard, e ne nacque una relazione, che finì quando Salinger si rifiutò di avere figli con lei: la donna lo definì un egoista incapace di amare. Continuò a scrivere per se stesso, senza pubblicare.

Nel 2000, la figlia Margaret e la madre Claire pubblicarono Dream Catcher: A Memoir, un’autobiografia e una biografia di Salinger, secondo cui lo scrittore era rimasto segnato dalla guerra e come congelato in quell’epoca. Il secondo genito, Matt, affermò che quella biografia non corrispondesse alla sua esperienza d’infanzia, rendendo il libro inaffidabile.

 

J. D. Salinger morì a novantuno anni, nel 2010, per un tumore al pancreas. Nella sua lacunosa biografia, sembra che lo scrittore mantenesse vivo l’interesse per le spiritualità orientali, nato all’inizio degli anni Cinquanta. Ci sono tracce delle sue ricerche spirituali, come nel an posto alla fine della raccolta di racconti Nine Stories e ricavato dalla tradizione del Buddhismo Zen, o per il racconto taoista che apre la seconda raccolta di racconti del ciclo della famiglia Glass. Soprattutto, Salinger si era avvicinato allo studio dell’Advaita Vedānta, sistema di dottrine ispirato ai Veda, guidato da Swami Nikhilananda, fondatore del Ramakrishna Vivekananda Certer di New York. Lo scrittore ebbe un rapporto di amicizia con lui e con il suo successore e sembra che frequentasse con continuità le attività del gruppo. Forse non è un caso che il racconto Hapworth 16, 1924 (1965), incentrato proprio sulla spiritualità orientale, fosse il suo ultimo testo pubblicato e mai riedito in vita.

 

Qualcosa in più si può dire in merito all’attività di scrittore. Nel 1974, dopo nove anni di silenzio, comparve un’edizione pirata in due volumi dei suoi primi racconti: Complete Uncollected Stories of J.D. Salinger. L’Autore fece sequestrare le copie illegali, ma i responsabili non furono mai individuati. Salinger commentò l’episodio con Lacey Fosburgh, corrispondente da San Francisco del New York Times: «Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per il mio piacere.» Aggiunse che non era certo che avrebbe pubblicato ancora. In un’altra occasione, secondo quanto riferì la giornalista Betty Eppes dopo un loro incontro, Salinger affermò di scrivere per più di otto ore al giorno. A oggi, non si ha traccia di questa grande mole di scritti, forse andata perduta per sempre.

Nel 1986, Salinger vinse la causa intentata contro i librai di San Francisco che avevano distribuito i due volumi di racconti: nello stesso anno, ottenne dal tribunale un’ingiunzione contro la pubblicazione di una biografia non autorizzata dello scrittore Ian Hamilton, che fu costretto a far uscire un’opera priva del materiale inedito la cui pubblicazione era stata contestata. La causa contro Hamilton aveva costretto Salinger a testimoniare in tribunale. Disse di essere ancora in attività, ma non era certo di aver scritto qualcosa pronto per la pubblicazione: «È molto difficile rispondere. Non scrivo in quel modo. Mi limito a cominciare a scrivere e poi osservo che cosa succede.» Sollecitato dall’avvocato in merito alla natura dei suoi scritti, rispose: «Semplicemente, un’opera di narrativa. Questo è tutto. È la sola descrizione che posso fornire… è quasi impossibile da definire. Lavoro con personaggi, e procedo dal punto in cui questi iniziano a svilupparsi.»

 

The Catcher in the Rye (1951)

 

La copertina della prima edizione

Il titolo è ispirato alla canzone Coming’ Through the Rye di Robert Burns, ed è citato nel romanzo con un passaggio storpiato, quando Holden risponde alla sorella Phoebe che da grande vorrebbe salvare i bambini, afferrandoli un istante prima che cadano nel burrone.

Salinger insistette perché la sua opera presentasse una copertina bianca, così che il libro fosse scelto per il contenuto e le immagini non influenzassero il lettore, ma l’editore Little, Brown and Company scelse di inserire la figura di un cavallo delle giostre.

 

La vicenda è raccontata in prima persona dal giovane Holden Caulfield, prima del Natale del 1949: la storia si svolge nell’arco di un fine settimana, quando un sabato Holden abbandona l’istituto dove studiava e il lunedì successivo visita lo zoo insieme alla sorella. La rievocazione della vicenda avviene alcuni mesi dopo, quando Holden raggiunge i diciassette anni. L’ambientazione cambia da Agerstown, immaginaria cittadina della Pennsylvania, a New York, nell’area metropolitana di Manhattan.

In apertura, il lettore trova il protagonista che assiste a una partita di football da una collina, pronto ad andarsene dalla scuola che lo ha espulso per non aver passato abbastanza esami. Prima, però, Holden fa una visita al professore di storia Spencer, che aveva in simpatia, dal quale viene ripreso: il professore si mostra realmente preoccupato per lui, ma il giovane si sente attaccato e si allontana risentito. Entrato nel dormitorio, incontra due compagni di stanza. Uno di loro, Stradlater, si sta preparando per uscire con l’amica d’infanzia di Holden, della quale questi si dice innamorato: Holden gli tira un pugno e se ne va dall’istituto prima del previsto.

 

Giunto a New York, decide di alloggiare all’albergo Edmond, di infima categoria. Insonne, il giovane entra nel night club annesso all’albergo; inizia a ballare con tre ragazze molto più grandi di lui. Queste lo lasciano solo e Holden si sposta nel locale di un pianista famoso, Ernie, dove incontra un’amica del fratello, che però evita. Tornato all’albergo, l’inserviente Maurice gli propone di divertirsi con una prostituta e il giovane, da ubriaco, accetta, per poi pentirsene e mandare via la donna, Sunny. Maurice ritorna pretendendo altri cinque dollari, ma Holden si oppone e riceve un pugno in pancia: la mattina seguente lascia l’hotel, depositando le sue cose alla stazione.

Chiama allora una vecchia amica, Sally Hayes: i due assistono a uno spettacolo intellettuale, quindi vanno a pattinare sul ghiaccio. Holden la invita a fuggire dalla metropoli insieme a lui; lei gli risponde in modo superficiale e lui, prendendosela, la offende. Holden si allontana: chiama un vecchio amico, Carl Luce, e i due si incontrano al Wicker Bar. Carl ormai è al college e, imbarazzato, chiede a Holden di abbassare la voce nel rievocare i racconti sul sesso degli anni precedenti. L’amico lo lascia presto, consigliando a Holden uno psicanalista: ubriacatosi una seconda volta, il giovane fa ritorno a casa e in segreto entra nella camera della sorella.

 

I due parlano dell’espulsione; poi ballano, ma, all’arrivo dei genitori, Holden esce di nuovo e chiede rifugio al professor Antolini, insegnante di letteratura inglese. Il professore cerca di farlo ravvedere e Holden sembra prestargli ascolto, ma presto si addormenta. Il ragazzo si sveglia con l’uomo che gli accarezza la testa e interpreta il gesto come un approccio sessuale: con il pretesto di andare alla stazione a recuperare le sue cose, esce dall’abitazione.

A quel punto, Holden si decide una volta per tutte a fuggire dalla società. La mattina seguente, organizza un incontro con la sorella, al museo di storia naturale. Holden rimugina sulla propria infanzia; arriva la sorella e i due discutono animatamente sulla sua partenza, per poi riappacificarsi.

Il romanzo si conclude con Holden felice, mentre guarda la sorella sulla giostra dei cavalli, sotto la pioggia. Nelle ultime pagine si accenna alla tubercolosi che lo avrebbe colpito (e di cui si parlava nel primo capitolo) e si intende che sarebbe entrato in analisi, come gli aveva consigliato l’amico Carl.

 

Holden e le altre opere

 

La copertina della prima edizione


Forse lo stesso Salinger non si aspettava il grande successo di The Catcher in the Rye. In un saggio di D.P. Costello, il critico riserva un posto centrale al linguaggio del romanzo: la comicità di Holden è costituita da formule iperboliche; il registro è colorito e talvolta sgrammaticato (doppia negazione, errata coniugazione tra ausiliare e verbo, etc.), ma è alternato a un registro più misurato, quando il protagonista si rivolge al lettore. Secondo Costello, come a suo tempo si studiava The Adventures of Huckleberry Finn tanto come grande opera letteraria, quanto per lo studio del dialetto del 1884, così The Catcher in the Rye sarebbe stato una testimonianza del dialetto adolescenziale degli anni Cinquanta: «Come tale, il libro costituisce la documentazione storicamente significativa di una parlata raramente registrata in forma durevole.»

 

Il valore preminente della parola e del linguaggio in Salinger vale anche per i racconti. Lo scrittore realizza descrizioni che mirano a fornire una forma oggettiva a cose, persone e situazioni. A differenza del romanzo, i racconti spingono il lettore a trovare una personale prospettiva in quel dato: Salinger si limita, in tal senso, a fornire un’abbondanza di immagini, colori, parole inaspettate che forniscano al lettore una moltitudine di possibilità di interazione.

In merito alla parola, il dialogo assume un’importanza centrale, ed è lo strumento con cui Salinger sostituisce l’analisi psicologica del personaggio. Come scrive Ranaboldo, Salinger «crede fondamentalmente nella capacità del linguaggio di decifrare e restituire il senso dell’esperienza, così come nella sua funzione di strumento della memoria. Questo assunto fondamentale non viene mai meno, per quanto negli ultimi racconti Salinger esprima la consapevolezza di una maggiore complessità nei rapporti tra il soggetto, la sua lingua e l’invenzione narrativa e decida quindi di assumere un grado maggiore di rischio.»

 

The Catcher in the Rye è una ricerca (quest) di identità, che non ha nulla da invidiare ad altri grandi classici letterari sul tema. Salinger si fa portavoce della cosiddetta silent generation anche in altre opere: si interessa al contemporaneo, allo spazio cittadino e ai rapporti interpersonali in tale ambiente. Ne nasce una satira sui costumi sociali e l’esigenza di ribellarsi ai costrutti attraverso l’oscenità, il tabù, la provocazione. Il tutto, però, con dei limiti, come denota il fastidio di Holden per chi impieghi ovunque il termine fuck.

Nella scrittura di Salinger, troviamo la descrizione del modo di vivere dei giovani disadattati e il disgusto viscerale per le convenzioni della società borghese. Un tema curioso e ricorrente nelle sue opere è l’effetto che i bambini hanno sugli adolescenti e sugli adulti, nel portarli a riflettere sulla propria condizione esistenziale, in bilico tra nostalgia del tempo vissuto e dissociazione dal presente. Date queste premesse, non stupisce che Salinger divenne uno dei principali ispiratori della Beat Generation.

 

Scomparso dai radar verso la fine degli anni Sessanta, questo dato biografico ricorda per certi versi la “sparizione” di altri artisti come Syd Barrett o, in Italia, l’ultimo Lucio Battisti. Più Salinger si eclissava, più si allargava il successo internazionale della sua opera, attraverso numerose traduzioni e un alone di mistero intorno all’Autore.

Eppure, già dalla metà degli anni Sessanta, l’attenzione della critica stava cominciando a scemare; era soprattutto il pubblico a restargli fedele. Ancora nel 1957, il critico David Stevenson scriveva: «[Salinger] non è mai stato un writer in residence, ospite di qualche università durante un semestre estivo. Non ha mai redatto un saggio in una rivista letteraria sul simbolismo mitico in Faulkner […] Non è il classico uomo di lettere che di tanto in tanto pubblica un racconto o un romanzo; egli, cosa rara tra gli scrittori contemporanei, prende molto sul serio la propria arte, è un vero professionista.»

 

Nei racconti degli esordi, si possono trovare alcuni elementi ricorrenti della sua opera. The Young Folks (1940) è una storia di adolescenti con genitori assenti, basata sul bisogno di accettazione altrui.

The Varioni Brothers (1943) è la vicenda di due fratelli artisti, l’uno romanziere e l’altro cantante: raccontata in prima persona, la storia ha al centro il tema dell’ambizione e dei mali prodotti dal desiderio di affermazione sociale.

The Inverted Forest (1947) è un racconto lungo, con un poeta protagonista che finisce per autosabotarsi una volta raggiunta la fama: è uno di quei testi meno immediati nella sua produzione, costruito su una serie di archetipi.

Last Day of the Last Furlough (1944) è fondato sul rapporto tra il sergente Babe Gladwaller e la sorella più giovane, intelligente e sensibile: un prototipo del rapporto tra Holden e Phoebe. Il sergente nutre una grande amicizia con il commilitone e giovane scrittore Vincent Caulfield, il cui fratello minore è scappato da scuola. Si tratta della prima comparsa del cognome Caulfield per uno dei suoi personaggi. In due racconti successivi, ritornano Babe (A Boy in France, 1945) e Vincent (This Sandwich Has No Mayonnaise, 1945), incentrati sulla perdita dell’innocenza, sulla mancanza degli affetti lontani, sull’incertezza dolorosa che prospetta il futuro. In The Stranger, scopriamo che Vincent è morto e Babe va a trovare l’ex fidanzata dell’amico ucciso in guerra.

Altri due racconti, Slight Rebellion Off Madison (1941) e I’m Crazy (1945) introducono Holden Caulfield: il primo è la narrazione in terza persona dell’incontro con l’amica Sally Hayes; il secondo presenta il confronto con il professor Spencer e il dialogo con Phoebe, nell’appartamento di New York. Con modifiche minori, i due testi confluirono nel romanzo.

 

Nine Stories uscì a New York nell’aprile del 1953: è la raccolta di nove degli oltre trenta racconti già apparsi sui periodici americani. Le storie sono ambientate negli Stati Uniti degli anni Quaranta e Cinquanta: i personaggi, in un intreccio di dubbi interiori, mettono in discussione la propria integrità morale, sviluppando il tema del “risveglio” nella sopita coscienza borghese.

Il successo dei racconti dipende dalla loro efficacia condensata in poco spazio, dai colpi di scena velati da un umorismo a tratti grottesco, dalla progressione emotiva suscitata dai dialoghi. Tra i testi, For Esmé-with Love and Squalor (1950) presenta alcuni dei principali temi salingeriani: le difficoltà dell’adolescenza e dei rapporti interpersonali, lo squallore a cui può portare un amore negato, quando anche la solidarietà umana viene meno.

Per finire, Franny and Zooey (1961) raccoglie due racconti già apparsi sul New Yorker e apre al ciclo della famiglia newyorkese Glass, a cui Salinger dedicò una seconda raccolta, Raise High the Roof Beam, Carpenters and Seymour: An Introduction (1963) e il prequel Hapworth 16, 1924 (1965). Un’epopea familiare scandita in racconti, lontana dall’epicità ottocentesca del genere e interessata a scandagliare il difficile complesso dei rapporti umani.

 

La biografia e gli scritti di Salinger ricordano almeno un altro grande scrittore della letteratura statunitense, Robert Frost. Un grande complimento che si possa fare alla poesia di Frost è di essere inutile, nel senso che non nutre la pretesa o la volontà di imporre una lettura del mondo, né sembra pensata per essere citata da qualche lettore annoiato in cerca di sensazione o di significato. La poesia di Frost sta lì, inutile appunto, autosufficiente, capace di rivitalizzare il lettore che ci si abbandona senza aspettarsi qualcosa in cambio. L’approccio innocente alla vita, che non rimane scalfito nemmeno al sorgere di imprevisti o di sfide, e una certa ironia al contempo infantile e maliziosa, avvicinano i due scrittori.

Dopodiché Salinger è narratore degli ambienti urbani, mentre Frost dell’America indomita e naturale, che subisce con fastidio l’avanzare della civiltà nei propri spazi, per esempio nella forma di un telegrafo. Eppure entrambi raccontano la capacità umana di fare esperienza in un dato ambiente, entrandoci in simbiosi, scoprendo qualcosa di nuovo su se stessi e non rinunciando all’ironia per smarcarsi dalla banale crudeltà del quotidiano.

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