Arthur Conan Doyle, spiritismo e occulto con Argyros Singh
Sesto appuntamento psicologico-letterario a cui partecipo sul canale Il bar della psicologia, gestito dal dottor Adriano Grazioli, che potete trovare sui vari social. La rubrica in cui mi inserisco è il Podcast letterario, all’episodio 43. Di seguito, trovate il video su YouTube e qui il link a Spotify: segue una selezione scritta di alcuni interventi centrali.
Per un ulteriore approfondimento su A. C. D., rimando ad altri post di questo blog: la biografia, Sherlock Holmes, il professor Challenger, lo spiritismo.
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AS: Arthur Conan
Doyle è stato soverchiato dal rilievo del suo personaggio più famoso. Mi è
venuto in mente quanto successo in queste settimane. Penso ad Angela Lansbury:
nei telegiornali continuavano a dire «è morta la
signora in giallo», oppure «è morto Hagrid», riferendosi a Robbie Coltrane. Con Doyle è
accaduto qualcosa di simile: sembra quasi che il personaggio Holmes abbia
scritto lo scrittore.
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AG: Mi viene da
pensare a che cosa possa fare di buono o meno la fanbase. Il fatto che per
necessità tu debba riesumare un personaggio che avevi fatto morire è un grande
smacco. Se tu pensi che l’avventura di un tuo personaggio sia finita, è una
violenza pensare di riportarlo in scena.
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AS: Due sono le
strade che puoi percorrere: o uccidi il tuo personaggio, oppure lo stravolgi. E
tu che sei il suo creatore, lo puoi fare: è in tuo potere; l’hai ideato e puoi
farne ciò che vuoi. Diverso il discorso quando si interpreta il personaggio di
altri autori, stravolgendolo in maniera indebita (ne ho parlato qui, in
riferimento al film Blonde e non
solo). […] Con Sherlock Holmes, Doyle tentò la via dell’uccisione; con il
dottor Challenger scelse di stravolgere la comfort zone del personaggio a
partire dalla terza storia, Nel paese delle nebbie. In entrambi i casi tornò sui suoi passi, “resuscitando” Holmes e
raccontando dei prequel di The Land of
Mist per Challenger.
Per quanto mi
riguarda, prendo una terza via: non creo personaggi a cui le persone possano
affezionarsi, almeno non troppo a lungo. Non sono fan delle lunghe epopee, se
non nell’epica. Tendo invece a dare ai personaggi un valore di simbolo, più che
di caratterizzazione a trecentosessanta gradi. Sono meno psicologo e più
caratterista, in merito a determinati aspetti psicologici.
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AG: Siamo in
un’epoca in cui ci sono persone che hanno la volontà di scrivere quintalate di
pagine, non necessariamente di qualità [vedi George R.R. Martin]. Specialmente
nel fantasy, con la necessità diffusa di dover spiegare ogni cosa e il
desiderio di allargare un mondo che sembra fin troppo vasto.
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AS: Quando metti
mano a un’opera considerata “sacra” – per quanto possa essere sacra un’opera
pop – c’è comunque una dignità da preservare. Proprio perché è arrivata a
tutti, può non esserci solo un aspetto commerciale dietro, ma anche un movente
profondo, se non universale, che ha smosso l’interesse del pubblico. Se lo fai
nei termini di una fanfiction (e non mi diventi After) va benissimo. Se però vuoi fare una cosa seria, devi andarci
veramente con i guanti: e ci riescono in pochi, solo chi ha la competenza, come
Stanley Kubrick con Shining.
Interiorizzò quelle pagine, le rilesse con la sua lente e ne fece un grande
classico, che – non a caso – non piacque a Stephen King. […] Un altro esempio è
la trilogia dell’Apocalisse di John Carpenter, ispirata a H. P. Lovecraft. […]
C’è poi da dire che un’opera “riuscita” non è per forza “bella”, ma possiede
una propria dignità.
*
AG: A me è
piaciuta la versione cinematografica di Sherlock interpretata da Robert Downey
Junior. È un personaggio solo, fuori dal tempo. È un buon pugile, uno
schermidore, ha molte abilità settorializzate. Sembra avere una semi sindrome
autistica, perché è talmente incentrato sul proprio mondo, che il resto gli
appare poco appetibile. Per questo l’ho trovato interessante: è un sensation seeker; vuole prendere quelle
due o tre cose ed essere il “ragazzo fantastico”.
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AS: Nella
seconda metà dell’Ottocento nacquero molteplici gruppi spiritistici, con teorie
molto diverse al loro interno. L’unica cosa su cui quasi tutti andavano
d’accordo era l’atto fondativo: il 1848. In un certo senso, dopo la morte, a Doyle non è
andata tanto bene: quasi nessuno era interessato alla sua storia dello
spiritismo in due volumi – opera con cui voleva essere ricordato tra i posteri
– e fu pure manipolato in una serie di sedute medianiche, realizzate da Grace
Cooke, che sfruttavano il nome di Doyle per veicolare un guazzabuglio di
filosofie orientali, di esoterismo e di teosofia.
*
AG: Il passaggio
tra Ottocento e Novecento è stato carico di cambiamenti: tra la venuta di
Freud, gli sviluppi della psichiatria, le scoperte antropologiche, le influenze
culturali furono molteplici. […] Quando il cristianesimo prese il posto di
altre spiritualità, molta simbologia venne meno: ma nel momento in cui gli
europei tornavano a casa, portavano con sé oggetti mai visti prima dalle tribù
conquistate. Questo mosse la curiosità degli Occidentali, dato che il
cristianesimo era povero di ritualità rispetto a quelle religioni. Non a caso esso
riprese molti simboli dalle spiritualità precedenti.
*
AS: Il
cristianesimo è un sintetizzatore di simbologie, come nel simbolo della croce,
a cui l’esoterista René Guénon dedicò un intero saggio. La croce è uno dei più
antichi simboli del genere umano, a partire dalle incisioni nelle grotte.
L’apogeo del cristianesimo si è avuto a cavallo tra Trecento e Quattrocento, al
massimo della metafisica cristiana. Poi avviene un decadimento, dovuto in gran
parte alla Riforma. Quando questa entra in campo, si sviluppa un pensiero –
come ricorda Max Weber – che andava a braccetto con il materialismo. Lo vediamo
nell’Ottocento, secolo in cui le grandi civiltà protestanti dominavano il
mondo, imponendo un pensiero religioso e filosofico intriso di materialismo,
sensismo e pragmatismo. Questa filosofia e il protestantesimo razionalizzavano
ogni fenomeno, anche parte di un altro regno, quello della metafisica. Doyle,
dando credito allo spiritismo, andava in cerca di quelle risposte che la
società iperrazionalistica non era più in grado di dargli. Intrise di
materialismo e di individualismo, molte persone si sentivano soffocate. Serviva
una spiritualità che fosse aperta al mondo dell’aldilà; che potesse dare la
certezza su che cosa ci fosse dopo la morte; che potesse dare speranza. D’altra
parte, quando arrivò la PGM, il modello materialista, esemplificato dalla Belle
Époque, andò in frantumi. Le persone cercavano speranza; volevano rivedere i
propri cari defunti. Da un punto di vista umano, questo era molto bello: ci fu
però chi se ne approfittò. Credo che Doyle fosse una persona abbastanza lucida
da non cadere in tranelli, ma la storia dello spiritismo è comprensibile alla
luce di questa storia occidentale, quale esito tragico di un Occidente che
aveva perso (quasi) tutti i suoi tesori spirituali. La PGM ricordò agli
occidentali che la dimensione razionalistica e meccanicistica non poteva
bastare all’essere umano. C’era bisogno della metafisica.
*
AG: La PGM è
stato un momento di profonda rottura. Il Novecento intero è un secolo che
dobbiamo ancora finire di digerire. Con la Grande Guerra cessa la dimensione
umana di controllo. […] Si sgretola anche il positivismo, che aveva garantito
lo sviluppo tecnologico in campo bellico. Prendo un esempio tratto da una serie
tv: Thomas Shelby, in Peaky Blinders,
è uno scettico, che non fa nulla se non ottiene il favore della zia Polly Gray.
Quello è il concetto base del pensiero rituale. […] È pieno di persone, come
gli sportivi, che hanno una loro ritualità. Finché questa non si svolge, viene
meno il senso dell’azione da parte dell’individuo. Come quando si va in chiesa:
fintanto che il prete non pronuncia le parole che tramutano il pane in carne –
la consustanziazione – l’ambiente non viene sacralizzato.
*
AS: Per scrivere
devo entrare in uno specifico “stato”, che non so descriverti. So che quando ci
entro, sto lavorando su un’altra frequenza. Se non ci arrivo, posso continuare
a scrivere, ma non ha lo stesso senso a livello personale. Mi fa sorridere – e
non so come spiegarmelo – che quelle cose che scrivo quando non sono in quella
frequenza sono quelle che vengono apprezzate di più dai lettori. Quelle che
scrivo in frequenza, che ritengo le mie migliori pagine, non vengono percepite
tali dall’esterno. Se prendi dieci testi di poesia, le due meno ispirate
saranno le due selezionate tra le dieci. Probabilmente quando entri nel tuo
mondo, è tuo in quanto è una dimensione che non può essere riprodotta da altri,
a quei livelli minuziosi, pieni di dettagli. Tutti possono scrivere, ma nessuno
può scrivere nel modo in cui lo faccio io, con la mia storia e la mia
motivazione. Questa unicità ci fa credere che quel testo sia più bello.
Poi c’è
l’aspetto dell’ermeticità: a certi livelli di coscienza, il percorso può essere
solo individuale. Non individualistico. E diventa sempre più difficile
comunicarlo. Ed è il motivo per cui, per esempio, in filosofia è più facile
parlare di logica che di metafisica. Lì entri in un regno che non è più quello
dell’analisi, ma dell’intuizione. L’intuizione posso spiegartela o mostrartela,
ma non riprodurla così com’è. L’analisi può essere dimostrabile o meno, ed è un
campo condiviso. Oggi, le scienze, non solo applicate, fioriscono anche grazie
a questo, perché è un luogo in cui pure chi parla lingue differenti può
capirsi. Poi è chiaro che in passato ci fu un eccesso di positivismo e oggi di
scientismo, però è comprensibile, soprattutto a fronte del parallelo
allargamento del gurismo e delle pseudo-spiritualità.
Più che lo
spiritismo, la risposta al positivismo fu data dallo spiritualismo di Bergson,
che distinse appunto tra analisi e intuizione. Nell’ottica di Doyle, invece, lo
spiritismo voleva essere posto come analisi, quindi in termini scientifici: al
contempo era la “nuova rivelazione”, dopo quella di Cristo. Lo spiritualismo di
Bergson fu al contrario un modo per riportare sui binari del dibattito
filosofico la metafisica: non a caso uno dei suoi testi più famosi è l’Introduzione alla metafisica (1903). “Introduzione”
è la parola chiave. Con pensatori come lui si cominciò a smantellare il
positivismo ancora prima della PGM: e vinse il Nobel per la letteratura non a
caso, perché riuscì a comunicare concetti tanto complessi in una prosa chiara e
pregevole (si pensi in parallelo a Winston Churchill con i volumi di storia,
anch’egli premio Nobel per la letteratura).
*
AG: In questo
àmbito si vengono a creare campi di conflitto molto problematici. Il problema è
che non riusciamo a ri-tararci su un principio solido, condiviso, in campo
metafisico. Abbiamo bisogno di due estremi con una fine per poter dialogare.
[…] Quando Freud scrisse L’interpretazione
dei sogni (1899) si imbatté nei sogni premonitori: disse che esistevano, ma
che non potesse indagarli. Sospese il giudizio, non potendo nemmeno negare il
fenomeno.
*
AS: Dopodiché ci
sono fenomeni spiegabili. In Errore dello
spiritismo (1923) di René Guénon, l’Autore riportò il discorso sui binari
del tradizionalismo; ridiscusse in un altro volume anche la metafisica (La metafisica orientale, 1939). Lo
spiritismo faceva un grave danno: prendeva una materia pericolosa e la rendeva
alla portata di tutti. Faccio una premessa: se uno è ateo, non viene toccato da
questo discorso, e nessuna dimostrazione sarà per lui credibile, perché nessuna
dimostrazione di questa materia potrà essere scientifica, quantificabile. Non
stiamo parlando di un “reame” delle cose: la metafisica si chiama così perché
va oltre la fisica, le prove. Non ti posso parlare di metafisica volendotela
spiegare in termini scientifici: è un controsenso logico, a cui Doyle va
incontro. Poniamo però che qualcuno creda nella vita dopo la morte e
nell’esistenza dell’anima. Quello che vedi avvenire nel medium è la
condivisione di uno spazio psichico o animico con un’altra persona presente in
carne e ossa, con la quale entra in contatto. Su un piano sottile, riesce a
“leggere” qualcosa di tuo e lo reinterpreta. Può poi sopraggiungere qualcosa
d’“altro” – dice Guénon – che però non è l’anima individuale, perché essa,
nella concezione degli stati molteplici dell’essere, si trova in un’altra
condizione. Possono al limite rimanere tracce, e puoi semmai entrare in
contatto con esse. Non si tratta però della persona, del parente defunto: è per
esempio un ricordo, rimasto come traccia. Il medium riesce a captarla e a
riproporla. La traccia, entrando in un corpo, entra anche nelle facoltà di quel
corpo e riesce quindi ad appropriarsi delle capacità mentali per comunicare. Il
limite è questo: non puoi entrare in contatto con quella persona, che è su un
altro piano dell’essere. Non è morta, secondo il pensiero tradizionale, e
Guénon sviscera questi temi (e altri) proprio ne La metafisica orientale, Errore
dello spiritismo e Gli stati molteplici
dell’essere (1932). Se poi a qualcuno non interessasse tutto questo, c’è lo
strumento filosofico dato dallo spiritualismo di Bergson: l’importante è non
cadere nelle trappole mentali, psichiche o animiche dei finti guru.
*
AG: Da
psicologo, sono incuriosito da quanto accade intorno a questi fenomeni. Sospendo
il giudizio e cito Alessandro Barbero: quando parliamo di storia, sappiamo che
qualcuno ha scelto di scrivere un evento in un dato modo, per quanto non sia un
narratore onnisciente. È un racconto che può essere imparziale o schierato. Non
credo si sprechino energie quando si cerca collettivamente di compiere qualcosa
di positivo, anche in àmbito spirituale. Il problema sta nelle personalità che
spesso guidano questi fenomeni neospiritualistici: persone con bassa
scolarizzazione, grandi tendenze manipolatorie e tratti di narcisismo. […] Il
problema è l’assenza di un blocco di sbarramento, che dà spazio a personalità
non tanto disturbate, ma che possono fare danni. Alcuni dichiarano di essere
stati, in altre vite, uomini-medicina o altre cose: nessuno può negare
un’affermazione del genere, perché è indimostrabile.
*
AS: C’è un discrimine.
Quando uno ti dice: «Io sono la persona X; sono la reincarnazione del Buddha,
del medicine-man; derivo dal dio Piuma, etc.» Gli devi domandare: «A
quale ramo iniziatico sei stato introdotto? Quale iniziazione ha ricevuto?»
Quando ti dice che non è stato iniziato da nessuno, come tre/quarti di queste
persone, capisci che sono cose farlocche. Perché nella Via tradizionale, a
questo genere di saperi devi essere iniziato. Per cui non diventi medicine-man
perché un giorno decidi di esserlo: da un lato ti deve essere riconosciuto,
dall’altro attribuito. Poi certo, devi avere delle doti, ma non basta:
altrimenti saremmo tutti potenzialmente eroi, come vorrebbe Bowie.
Se invece ti
rispondesse di essere stato iniziato da X, devi capire di che cosa si tratti.
C’è chi segue una reale Via tradizionale e chi è nato come setta l’altro ieri.
Prendi per esempio l’occultismo. Pensiamo che sia una cosa antichissima e
misteriosa, nata millenni fa, ma l’occultismo è nato nella seconda metà
dell’Ottocento: è una storia di centocinquant’anni. Esso prendeva tutto il
pensiero magico millenario della storia umana, nel tentativo – mai riuscito –
di farne una dottrina omogenea. Esoterismo e occultismo sono cose diverse.
Anche la teosofia è nata in questo modo non tradizionale: anch’essa frutto del
XIX secolo, traeva ispirazione dal pensiero di sapienti himalayani non meglio
definiti e da profezie di figure autocertificatesi profeti. Altro pensiero
smontato da Guénon ne La teosofia. Storia
di una pseudo-religione (1921).
*
AG: Freud diceva
che la nostra grandissima paura della morte è qualcosa che non siamo più in
grado di esorcizzare. E questa mancanza ci porta ad avvicinarci a risposte consolatorie,
come con il Dia de Los Muertos in Messico, unione di cristianesimo e
spiritualità precolombiane. Il cristianesimo invece crea un progressivo
allontanamento dalla morte, parlando della resurrezione “che verrà”. La paura
della morte, la sua non accettazione, porta a fenomeni diffusi come la sindrome
di Peter Pan.
*
AS: Nel ciclo di
Challenger, c’è il migliore Doyle, uno dei promotori della fantascienza di
massa. Lo scienziato Challenger permette allo scrittore di introdurre tematiche
non scientifiche in una chiave narrativa inedita, o quasi. Uno dei personaggi
secondari, Malone, è un giornalista in cui possiamo ritrovarci: non può non ascoltare
la scientificità del protagonista, ma non abbandona mai la dimensione
emozionale, né il fascino rispetto alle meraviglie del mondo. Quando il gruppo
di ricerca de Il mondo perduto scopre
i dinosauri, Challenger e l’altro scienziato, il professor Summerlee, iniziano subito
a categorizzare ogni cosa, in chiave aristotelica. Poi però c’è Malone, con
tutto il suo stupore. Con questo Doyle, si può apprezzare la scienza e non
smettere di sognare, in un connubio compiuto.
Nel terzo
scritto del ciclo, Nel paese delle nebbie, quando
si concentra troppo sui dettagli dello spiritismo, lo scrittore diventa pedante,
ma per il resto è godibile. Il fantasma
di Canterville (1887) di Oscar Wilde è uno dei più bei testi letterari a
tema spiritistico. Sia Wilde che Doyle furono peraltro massoni, quindi iniziati
su una Via tradizionale, per quanto Doyle vi uscì e rientrò per ben tre volte. Nell’opera
di Wilde, un tema centrale è quello del perdono e della redenzione e viene
veicolato proprio da una storia di “fantasmi”. Voglio dire che quando lo
spiritismo finisce in letteratura è una grande cosa: porta idee, pensieri,
stranezze che servono. Quando vuole diventare scienza fallisce.
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