Effetti e sviluppi delle crociate. Parte II
Per la prima parte, si veda qui.
Miniatura della battaglia di Cresson, tratta da Les Passages fait Outremer di Sébastien Mamerot; Bibliothèque National FR. 5594 Fol. 197 (seconda metà del XV secolo) |
I maestri templari nel contesto delle crociate:
alcune conclusioni
Il fondatore
Hugues de Payns morì nel 1136 e la guida dell’Ordine templare passò a Robert de
Craon, il quale si adoperò per fare espandere il neo-nato ordine militare.
Sotto il suo magistero fu emanata l’Omne
datum optimum da parte di Innocenzo II, che garantì l’autonomia templare,
l’esenzione da tasse e gabelle e il permesso di portare la croce rossa
sull’abito bianco.
Altre due bolle
interessarono l’Ordine in questo periodo: la Milites Templi (1144) di Celestino II, per incentivare le donazioni
a favore del Tempio, e la Militia Dei
(1145) di Eugenio III, che consentiva di prelevare le decime, le tasse
funerarie e di seppellire i morti in cimiteri di loro proprietà. La protezione
del pontefice si estese inoltre alle famiglie dei cavalieri, alle persone alle
loro dipendenze (contadini, artigiani, etc.) e al patrimonio dell’Ordine, come
animali ed edifici.
Sul campo di
battaglia, invece, Robert ebbe meno successo: fu sconfitto da Zangī e sul
fronte iberico organizzò un fallimentare attacco navale contro Lisbona. Everard
des Barres, precettore di Francia, lo sostituì alla sua morte nel 1147.
Accompagnò Luigi VII nel corso della seconda crociata, anticipò a
Costantinopoli l’esercito reale per saggiare la situazione; salvò persino il
sovrano francese nel corso di una battaglia. In stretti rapporti con la corona,
fu posto a salvaguardia del tesoro reale.
Ritornò in
Occidente con Luigi e qualche anno dopo lasciò la carica di maestro per farsi
monaco a Clairvaux. Dal 1151, Bernard de Tremelay organizzò le difese di Gaza,
che divenne una fortezza templare. Nel 1153 i Templari parteciparono
all’assedio di Ascalona, dove Bernard trovò la morte – secondo alcuni – per
essersi spinto troppo oltre contro gli ordini di Baldovino III. André de Montbard,
peraltro zio di Bernardo di Chiaravalle, fu eletto maestro, ma restò in carica
pochi anni.
Più influente la
figura di Bertrand de Blanchefort: egli combatté Norandino insieme a Baldovino
III e fu fatto prigioniero per alcuni anni. Liberato dall’imperatore bizantino
si distinse come riformatore dell’Ordine, dal momento che si occupò di definire
la gerarchia e il ruolo dei cavalieri (il testo formò una prima base degli Statuti). Accompagnò re Amalrico nella
prima spedizione contro l’Egitto, ma a seguito di ingenti perdite, si pose come
mediatore per una pace tra l’Egitto e il regno di Gerusalemme.
Philippe de
Milly nacque in Terra Santa e, prima di divenire maestro, fu vassallo del re di
Gerusalemme. Le disgrazie familiari lo avvicinarono ai Templari e dietro le
pressioni di Amalrico fu eletto maestro: la sua attività in questo ruolo è poco
nota, ma si dimise dalla carica pochi anni dopo.
Oddone di
Saint-Amand fu eletto a sua volta: già maresciallo del regno di Gerusalemme,
Oddone fu uno dei fautori della vittoria di Montgisard (1177). Rafforzò le
strutture difensive del regno e fronteggiò con valore Saladino, ma alla fine
cadde prigioniero e morì in prigione.
Arnau de Torroja
fu eletto in tarda età e si occupò per lo più delle operazioni nella penisola
iberica. Abile diplomatico, si adoperò per appianare le divergenze con gli
Ospitalieri, trattò con Saladino in merito ai disordini provocati da Rinaldo di
Châtillon e partecipò all’ambasceria in Europa che aveva lo scopo di reclutare
nuovi guerrieri. Morì a Verona, mentre svolgeva quest’ultimo incarico.
Il successore,
Gérard de Ridefort, fu maestro per pochi anni, ucciso dall’esercito di Saladino
nell’assedio di Acri (1189). Robert de Sablé fu invece vassallo di Riccardo
Cuor di Leone e partecipò con lui alla terza crociata: era Templare da meno di
un anno, quando con l’appoggio del re inglese fu eletto maestro. Riccardo
vendette all’Ordine l’isola di Cipro, ma Robert – incapace di gestirla – la
cedette a Guido di Lusignano.
Gilbert Hérail
fu un combattente della Reconquista e
alto dignitario nella penisola iberica: eletto maestro, papa Celestino III
confermò ai Templari tutti i benefici nati dalla Omne datum optimum. A livello diplomatico, spinse per mantenere la
tregua con Saladino, ma per gli accordi intessuti con i Saraceni, in una
disputa con gli Ospitalieri Innocenzo III si schierò con questi ultimi. In
realtà, Gilbert si occupò soprattutto del fronte iberico e volle innanzitutto
rafforzare la presenza dell’Ordine in Occidente. Philippe de Plaissis fu eletto
nel 1201: sùbito si accordò con gli Ospitalieri su questioni amministrative
relative ai possedimenti nella contea di Tripoli. Philippe trattò anche con il
Regno armeno di Cilicia, che aveva occupato dei territori templari: ancora una
volta, però, Innocenzo III si schierò contro di loro e l’Ordine perse la
presenza su quei territori. Il pontefice rinnovò ugualmente i privilegi
concessi dai suoi predecessori, ma fu spesso influenzato dalle voci malevole
degli avversari dell’Ordine. Al principio del XIII secolo, un’epidemia di peste
e un terremoto colpirono l’Egitto e la Siria, sospendendo le azioni militari
per la ricostruzione. Philippe si accordò con i mussulmani, ma i Teutonici si
opposero, mentre altri conflitti interni al fronte crociato nacquero dalla
mancata adesione dei Templari ad un’altra tregua condotta dagli Ospitalieri.
Guillaume de
Chartres entrò in carica nel 1209: nel 1217 partecipò alla riunione di Acri,
per progettare un attacco a Damasco; in seguito prese parte alla quinta
crociata, ma morì probabilmente ammalato di peste.
Il successore,
Pierre de Montaigu, oltre ai buoni rapporti con Guillaume ebbe anche un
fratello a capo degli Ospitalieri. Forte del sostegno reciproco dei due ordini
militari, Pierre fu in grado di ottenere diversi successi militari, che
portarono i mussulmani a richiedere una tregua.
Armand de
Périgord fu invece molto meno abile sul campo di battaglia: dopo una serie di
sconfitte, concluse una tregua con il sultano di Damasco, il quale chiese ai
Templari un sostegno nel respingere la minaccia costituita dai Corasmi. Essi si
erano infatti alleati con il sultano d’Egitto al-Ṣāliḥ Ayyūb, erede di al-Kāmil: la coalizione di Damasceni e di
Templari, Ospitalieri e Teutonici fronteggiò il nemico, ma il sultano ne uscì
vincitore nella battaglia di La Forbie (1244). Il maestro perì in quell’occasione
o durante la prigionia.
Richard de Bures
svolse il ruolo di reggente, in assenza di notizie di Armand, finché nel 1247
fu eletto Guillaume de Sonnac. Questi, nel contesto della settima crociata,
preparò con Luigi IX l’intervento in Egitto. Conquistata Damietta, Guillaume e
altri nobili crociati attaccarono i mussulmani senza la maggior parte del
contingente francese e, dopo un primo successo, furono sopraffatti per la
stanchezza e l’inferiorità numerica. Ferito ad un occhio, Guillaume si salvò
con soli due cavalieri. Il maestro ricevette le prime cure mediche, poi riprese
gli scontri per difendere l’accampamento crociato: ferito ulteriormente alla
vista, morì in battaglia. Il successore, Renaud de Vichiers, aveva preso parte
a quella spedizione e per i suoi legami con Luigi IX, riuscì a convincere il re
a restare ancora in Oriente per riorganizzare il fronte crociato.
Thomas Bérard fu
l’unico maestro italiano, che non poté fare molto di fronte all’avanzata di
Baybars, che costrinse i cristiani a ritirarsi a san Giovanni d’Acri.
Guillaume de
Beaujeau affrontò un magistero relativamente lungo: imparentato con Luigi IX,
entrò nell’Ordine a vent’anni; si scontrò con Ugo III di Cipro e finì con il
perdere i possedimenti templari sull’isola. D’altra parte, intrattenne buone
relazioni con gli Egiziani e cercò di fare in modo che Mongoli e mussulmani si
combattessero a vicenda. Il sultano d’Egitto di quel periodo, Qalāwūn,
anch’egli un mamelucco della dinastia Bahri, decise però di rompere la tregua
con i cristiani e puntò a conquistare Tripoli: i Templari ne erano stati
informati e avevano avvisato la città, ma i dignitari pensarono ad una manovra
di Guillaume per occupare la città e non presero provvedimenti. Tripoli cadde
così nell’aprile del 1289. Acri doveva essere assediata, ma Qalāwūn morì prima:
il figlio al-Ashraf Khalil riprese l’azione del padre e nell’aprile del 1290
assediò Acri. Durante le operazioni belliche, Guillaume e i suoi cavalieri si
distinsero per la strenua difesa: trecento cavalieri uscirono dalle mura e
attaccarono le armi d’assedio, ma alla fine dovettero rientrare. A maggio i
Saraceni riuscirono ad aprire una breccia nelle mura e Guillaume guidò una
sortita disperata, che gli costò la vita. Acri fu conquistata: dopo la resa, i
cristiani rimasti furono comunque massacrati, ricollegandosi all’analogo
massacro che un secolo prima aveva perpetrato ad Acri Riccardo Cuor di Leone:
È mirabile a
notarsi che Iddio altissimo fece conquistar Acri nello stesso giorno e nella
stessa ora in cui l’avevano presa i Franchi; essi si impadronirono di Acri il
venerdì diciassette giumada secondo all’ora terza del giorno, dettero sicurtà
ai Musulmani che vi si trovavano, e poi li uccisero a tradimento; e così Iddio
dette in sorte ai Musulmani di riconquistarla questa volta il venerdì all’ora
terza del giorno diciassette di giumada secondo, e il Sultano dette sicurtà ai
Franchi e poi li fece uccidere, così come i Franchi avevan fatto coi Musulmani;
onde Iddio altissimo trasse vendetta sui loro discendenti. [1]
Thibaud Gaudin,
tesoriere del Tempio durante l’assedio di Acri, riparò a Sidone, dopo aver
partecipato alla difesa della città. Eletto maestro, ma impossibilitato a
difendere la città, si imbarcò per Cipro. L’avanzata dei Mamelucchi fu
inarrestabile e fu così che l’esperienza crociata in Terra Santa ebbe fine. Ad
ottobre del 1291, a Cipro, Thibaud nominò i nuovi dignitari e Jacques de Molay
ricoprì la carica di maresciallo: il maestro tentò di riorganizzare l’Ordine,
ma morì nel 1292. L’ultimo maestro del Tempio, lo stesso Jacques de Molay,
ereditò questo pesante fardello.
Caduto l’ultimo
baluardo del Regno latino, quale fu l’eredità della crociata? Si ha spesso
un’immagine idealizzata di questo fenomeno e la sua storia è raccontata
attraverso battaglie, tradimenti e divisioni in entrambi i fronti. Eppure non
si trattò di una guerra totale e d’altronde sarebbe stato impossibile
proseguire per circa due secoli gli scontri armati. Soprattutto nel XIII
secolo, le tregue incominciarono a prevalere sulle azioni militari, sebbene
queste ultime si fecero a poco a poco molto più violente anche nei confronti
della popolazione civile. Oriente e Occidente ebbero quindi modo di conoscersi
e di comprendere almeno in parte il reciproco pregiudizio.
Non mancarono i
confronti e molta parte ebbe la nascita degli Ordini mendicanti: Francescani,
Domenicani, Trinitari, etc. Essi, anziché combattere gli infedeli, si fecero
promotori di una nuova ondata di pacifica predicazione, con l’intento di fare
ciò che nessuno prima di loro aveva voluto tentare: la conversione dei mussulmani.
Il maestro generale dei Domenicani, Umberto di Romans, si dichiarò contrario
alla crociata: Cristo non avrebbe mai versato il sangue altrui e Dio si era più
volte dimostrato contrario (con la morte del Barbarossa, con la prigionia di
Luigi IX).
Il missionario
ed erudito Ramon Llull, in pieno XIII secolo, si preoccupò di conoscere la
civiltà araba e propose una discussione tra i saggi di entrambe le fedi:
certamente ritenne di poter convertire i mussulmani, ma se non altro il suo
intento fu pacifico e fondato anche sull’ascolto.
Francesco
d’Assisi, invece, si spinse oltre: nel 1219, nel corso della quinta crociata,
raggiunse Damietta e con il permesso del legato Pelagio si diresse
all’accampamento di al-Kāmil. Fiorirono le leggende su questo
incontro, che pur non portando alla conversione del sultano accrebbero l’aura
di santità di Francesco. Più tardi – ma qui il contatto pacifico ebbe precedenti
storici importanti – anche l’imperatore Manuele II Paleologo non si fece
problemi a discutere di teologia con i mussulmani.
Nonostante il
differente approccio, tuttavia, due elementi mantennero separate le due fedi:
innanzitutto un conflitto ormai plurisecolare che aveva ridotto gli spazi del
confronto; poi lo stesso spirito missionario, che aveva comunque la connaturata
tendenza ad esprimere una superiorità dell’Occidente che infastidiva i mussulmani.
«Uno dei risultati più chiari delle Crociate prima, e degli slanci missionari
poi, fu di inasprire le posizioni e aggravare le ignoranze e i malintesi» [2].
Se l’incontro
religioso fu marginale a livello istituzionale, le uniche connessioni destinate
a fiorire furono di tipo commerciale e culturale, soprattutto nel meridione
d’Italia, dove le comunità mussulmane erano una realtà di fatto e le vicende
storiche avevano contribuito a creare un certo multiculturalismo. Ed è
impensabile che in circa due secoli di contatto diretto in Medio Oriente,
Franchi e Saraceni non si influenzassero a vicenda. Vi fu p. es. una differenza
tra Templari residenti in Terra Santa – quindi consapevoli del contesto – e
crociati che provenivano da Occidente e che non avevano alcun rispetto per le
diverse culture.
Quando Federico
II si mostrò interessato alla civiltà mediorientale fece un ulteriore passo
avanti nella direzione di un superamento dello stato di ignoranza. Il mussulmano
era stato per lungo tempo il nemico fisico e metafisico di una società; il
barbaro, il pagano, l’infedele: egli fu il Nemico per eccellenza. E tanto meno
si conosceva la sua vera natura, tanto più poteva fungere da “contenitore
polifunzionale”. Quando però la prima occupazione fu conclusa, ci si accorse
che quel nemico era essenziale nell’economia locale e che i coloni non
avrebbero mai potuto sostituirlo: ne seguì una regolarizzazione dei rapporti.
Se a un livello medio-alto questo si tradusse in esempi di cavalleria, nello
scambio tecnico-scientifico e nell’assunzione reciproca di piccoli o grandi
elementi culturali, a un livello più basso, a stretto contatto gli uni con gli
altri, cristiani e mussulmani dovettero imparare a conoscersi decisamente
meglio.
Certamente, la
storia ci riporta di rado esempi di queste connessioni, tanto da apparirci
fugaci e forse persino inesistenti. Eppure la storia stessa dimostra che oltre
a scienza, filosofia e religione, anche l’arte, l’artigianato, la cucina, le
conoscenze tecniche in àmbito agrario e molto altro caratterizzarono questo
avvicinamento, che riguardò tutte le realtà sociali. E così Federico II portò
alle estreme conseguenze un incontro capillare tra diverse culture che si era
già svolto ed era ancora in corso. Allora il mussulmano perse molto del suo
carattere metafisico e nella sua esclusiva fisicità fu più semplice
considerarlo come partner commerciale piuttosto che per il suo carattere di
erudito, ben al di là della fede di riferimento.
In poche parole,
il contatto, il dialogo e persino lo scontro stavano portando ad un approccio
laico della società, in parallelo ad altri fenomeni occidentali che ebbero
comunque un rapporto stretto con l’età delle crociate, che non fu
caratterizzata esclusivamente dall’opposizione armata.
L’altro elemento
da considerare, per un quadro più completo della situazione, è relativo alla
natura stessa del Regno latino. Non si trattò di un territorio sotto il diretto
controllo della Chiesa, che alla lunga preferì non compromettersi troppo con le
disfatte e gli intrighi di potere d’Oriente. Non fu nemmeno una vera unità
politica, dal momento che esistevano diverse unità territoriali e che queste
erano spesso in conflitto: il sostegno reciproco fu saltuario, mosso quasi
sempre da opportunismo e privo di qualunque prospettiva a lungo termine. La
difficoltà stessa nell’individuare di volta in volta i successori privò il
regno di un minimo di stabilità strutturale.
Debole al suo
interno, l’Oriente latino sarebbe crollato molto prima senza il sostegno
occidentale: i singoli individui versarono elemosine volontarie o obbligatorie;
gli Stati e le città raccolsero fondi attraverso le istituzioni laiche ed
ecclesiastiche; infine, gli ordini militari furono i più esposti nella ricerca
di sovvenzioni e di reclute, in quanto erano sorti proprio con il compito di
occuparsi della Terra Santa. Solo gli ordini militari poterono svolgere il
ruolo di forza armata permanente e la loro esperienza sul territorio fu
centrale nella gestione delle rendite e nei rapporti con le comunità locali.
Per raccogliere fondi, i Templari poterono contare su molte esenzioni fiscali e
sulla propria produzione orientale di materie quali olio e zucchero, che in
Europa avevano molto mercato.
Ma per
confermare ancora una volta la particolarità dell’incontro tra cristiani e mussulmani,
se in Occidente il linguaggio della guerra santa ebbe molta fortuna, oltremare
si trattò prima di tutto di costituire un esercito per difendere le proprie
case e le proprie famiglie, mentre l’aspetto religioso della questione sembra
decisamente ridotto al confronto. Dalle dispute di potere alla gestione
amministrativa, l’Oriente latino non fu diverso da qualunque altro regno
europeo, con la differenza che in gioco vi era la sopravvivenza. Il nemico, certo,
era il mussulmano, ma quello stesso nemico viveva all’interno dei confini
latini, lavorava con i coloni, partecipava all’amministrazione locale, era il
medico, il cuoco, il pedagogo. E da parte dei coloni cristiani, lo storico
Fulcherio di Chartres (circa 1059-1127), pur nell’esagerazione propagandistica,
affermava:
Ecco che noi,
che fummo occidentali, siamo diventati orientali. L’Italico o il Franco di ieri
è divenuto, una volta trapiantato, un Galileo o un Palestinese. Il cittadino di
Reims o di Chartres si è mutato in Siriaco o in Antiocheno. Abbiamo già
dimenticato i nostri luoghi d’origine: molti dei nostri li ignorano o
addirittura non ne hanno mai sentito parlare. […] tanto l’indigeno quanto il
colono occidentale sono divenuti poliglotti e la reciproca fiducia avvicina le
razze anche più estranee fra loro. Si avvera quanto ha detto la Scrittura: «Il
leone e il bue mangeranno a una medesima mangiatoia» [3]. Il
colono è ormai divenuto quasi un indigeno, l’immigrato si assimila
all’originario abitante. [4]
Alla luce di
questo, le successive crociate furono la scelta migliore per difendere
l’Oriente latino? Da un lato esse non fecero altro che incentivare il conflitto
anche di fronte a situazioni di compromesso, ma d’altra parte il risveglio
arabo non avrebbe comunque tardato a riproporre il ǧihād. Ciò che era nato dal conflitto, religioso ed etnico, non
poteva che risolversi in un conflitto: il perdono non era contemplato; il
compromesso valido fino a un certo punto.
Cahen parla di
due poli per comprendere la natura degli insediamenti latini: la colonia della
Grecia classica, «quando un gruppo di uomini si trasferisce e si organizza da
un punto di vista politico su un territorio straniero più o meno distante dalla
madre-patria», e la colonizzazione europea dell’età moderna, scandita da «una
volontà imperialista legata alla ricerca di vantaggi di natura economica» [5]. La
crociata fu una sorta di intermezzo tra questi due fenomeni: essa rispose al
malessere di una parte della società, stretta dai vincoli feudali; e rispose ad
aspirazioni socio-economiche, in cui la fede giocò il ruolo di catalizzatore,
ad un livello personale oltre che istituzionale. Giusto o sbagliato che fosse
questo movente, tale fu il sentimento di questi crociati e di questi
pellegrini, benché diversa fosse la profondità di coscienza di ognuno di loro.
Non a caso, quando in Europa le condizioni di vita cominciarono a migliorare
sensibilmente, mentre di contro l’Oltremare offriva solo delusioni e incognite,
i sovrani furono i primi a tirarsi indietro e la contrarietà alle crociate
colpì tutti i ceti sociali.
In Europa, il
disincanto arrivò ad un punto tale che alcuni personaggi come, ad esempio,
Geroh di Reichensberg accusarono la Crociata di esser stata istigata da falsi
profeti e dai franchi di Gerusalemme che non avevano bisogno di niente ma
desideravano soltanto arricchirsi di denaro facendovi confluire il maggior
numero di uomini. Erano gli stessi franchi a dare vita agli unici pericoli
esistenti sui confini. [6]
[1] F. Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle Crociate, Einaudi, Torino, 1987, p. 341 (testo di Abu‘l-Maḥāsin).
[2] L. Gardet, L’Islam e i Cristiani. Convergenze e differenze, Einaudi, Torino, 1987, p. 76.
[3] Is 65, 25.
[4] Cit. in F. Cardini, Il movimento crociato, Sansoni, Firenze, 1972, p. 87.
[5] C. Cahen, Oriente e Occidente ai tempi delle Crociate, Il Mulino, Bologna, 1986, p. 269.
[6] Ivi, p. 125.
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