Effetti e sviluppi delle crociate. Parte I
Miniatura da un manoscritto di David Aubert, rappresentante la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati (1204); BNF Arsenal MS 5090, XV secolo |
Dopo la prima crociata
La seconda
crociata si era conclusa con l’insuccesso, portando lo sconforto tra le fila
dei combattenti cristiani. Zangī, atabeg di Aleppo e Mosul, aveva conquistato
la contea di Edessa (1144), l’unità territoriale cristiana più esposta ai
pericoli di confine. Ma la fortuna del condottiero mussulmano fu breve, poiché
morì assassinato per mano di un eunuco nel 1146. Il secondo genito Nūr al-Dīn
(1118-1174), noto in Occidente come Norandino, ereditò il governo di Aleppo:
riprese la guerra santa iniziata dal padre e attaccò il principato di Antiochia [1].
All’arrivo di
Luigi VII di Francia e di Corrado III di Germania, nel contesto della seconda
crociata, Norandino aveva già intessuto buoni legami con il governatore di
Damasco, Muʿīn al-Dīn Unur, di cui aveva sposato la figlia, tali da rendere
ancora meno efficace l’assedio crociato della città. I legami diplomatici che
Gerusalemme aveva tenuto con Damasco incominciarono a incrinarsi seriamente, mettendo
l’Oriente latino in una posizione scoperta. L’offensiva di Norandino tornò a
concentrarsi su Antiochia: il principe Raimondo di Poitiers perì nella
battaglia d’Inab (29 giugno 1149) e l’avanzata mussulmana fu inarrestabile. Nel
1150 Joscelin II di Edessa, che aveva tentato di riprendere l’offensiva, cadde
prigioniero nelle mani di Norandino e morì accecato ad Aleppo solo nove anni
dopo.
Nel frattempo il
fratello di Norandino era morto e la città di Mosul finì nelle sue mani: con il
desiderio di unificare il fronte islamico, tentò più volte di prendere Damasco
e nel 1154 riuscì nell’impresa, grazie anche al sostegno della popolazione,
ormai stanca della vicinanza della città agli infedeli. Ottimo stratega,
Norandino fu un abile diplomatico: consapevole che i Bizantini avrebbero potuto
minacciare i suoi territori, si alleò con loro, garantendogli nominalmente la
città di Antiochia.
Nel 1162 morì il
re di Gerusalemme Baldovino III, figlio di Melisenda e Folco d’Angiò, forse
avvelenato per desiderio degli stessi Bizantini: Norandino, che rispettava il
sovrano, concesse una breve tregua ai crociati. Il regno di Gerusalemme passò
al fratello di Baldovino, Amalrico, il quale mosse guerra contro l’Egitto,
avendo le mani legate verso Nord. Il re riuscì a varcare i confini senza troppe
resistenze, dal momento che l’Egitto fatimida era in forte crisi, ma poco dopo
l’impresa fallì, poiché i comandanti non previdero la piena del Nilo. Norandino
colse l’occasione per minacciare Antiochia e Tripoli, ne sconfisse gli eserciti,
ma per timore di un intervento bizantino rinunciò a conquistare le due città.
Negli anni
seguenti Amalrico tentò nuovamente di invadere l’Egitto e intrattenne relazioni
diplomatiche tese a questo scopo, ma il tutto si risolse in un nulla di fatto [2]. Nel
frattempo, uno dei generali di Norandino, il curdo Shīrkūh, incominciò ad accrescere il suo
prestigio, tanto che in seguito all’occupazione dell’Egitto (1169), un suo
nipote, Ṣalāḥ
ad-Dīn (Saladino), fu posto come visir e il califfato fatimida (sciita)
fu abolito nel 1171. Negli anni seguenti crebbero i timori di Norandino
riguardo alla lealtà di Saladino, il quale fu abile (o semplicemente sincero?)
a sottomettersi a lui. Norandino morì comunque di tonsillite nel 1174,
lasciando il suo sogno incompiuto: il figlio undicenne lo succedette; Saladino
lo riconobbe come signore, salvo entrare a Damasco nel 1174, nominandosi
reggente. Il nuovo condottiero sconfisse poi gli Zenghidi e sposò la vedova di
Norandino: la Siria fu così in suo potere.
Gli
stravolgimenti avvenuti dalla caduta di Edessa a questo momento ebbero delle
conseguenze anche sulle vie percorse dai crociati: date le tensioni con
Costantinopoli e il pericolo costituito dai mussulmani, le nuove spedizioni
seguirono per lo più le rotte marine, in concomitanza con lo sviluppo del
commercio via mare. Oltre a questo, un’altra conseguenza fu la nascita di un
serio interesse per l’Egitto, che aveva meno a che fare con la fede e più con
motivazioni di ordine economico.
Nel 1174 morì il
re Amalrico e salì sul trono il figlio, Baldovino IV, noto per il suo eroismo
nonostante fosse stato colpito in giovane età dalla lebbra. Al principio del
suo governo restaurò le relazioni con i Bizantini, con l’interesse di colpire
l’Egitto, ma per questioni politiche l’accordò saltò. Saladino colse
l’occasione per muoversi dal Cairo e Baldovino si ritrovò con poche unità a
difendere il regno. Certo della vittoria, Saladino disperse l’esercito in
attesa di uno scontro aperto con i cristiani, ma Baldovino lo colse di
sorpresa, il 25 novembre 1177, battendolo nei pressi della fortezza di
Montgisard. La vittoria accrebbe la fama del re, ma fu poca cosa in rapporto
alla reazione dei mussulmani, i quali ottennero una serie di vittorie che
erosero a poco a poco i confini del Regno latino. Nel 1180, il re si accordò
con Saladino per garantire il libero scambio delle merci, ma Rinaldo di
Châtillon, principe di Antiochia appena uscito dalla prigionia, incominciò ad
attaccare le carovane e persino a massacrare i pellegrini diretti a La Mecca.
Fu in quel periodo che Saladino giurò che lo avrebbe ucciso.
In seguito alle
dispute per la successione, Baldovino designò il figlio della sorella. Nel
1185, a ventiquattro anni, morì il re lebbroso e il giovanissimo Baldovino V fu
a sua volta incoronato. Ebbe però vita breve e scomparve già nel 1186: Guido di
Lusignano ereditò il regno, in quanto marito della sorella di Baldovino IV e un
tempo nella lista dei possibili successori al trono del re lebbroso.
Fu proprio
Guido, per la sua inettitudine, a provocare in gran parte la disfatta di Hattin
(4 luglio 1187). I precedenti si trovavano nei rapporti che Raimondo III di
Saint-Gilles, conte di Tripoli, intesseva con Saladino [3].
Raimondo, infatti, aveva tentato di sposare Sibilla, sorella di Baldovino IV,
per ottenere il regno di Gerusalemme, ma Guido aveva avuto la meglio. Tra i due
erano nate delle tensioni, tanto che Raimondo concluse una tregua con Saladino,
che mise quindi in pericolo Gerusalemme. Guido inviò un’ambasciata per chiedere
aiuto a Raimondo, ma il contingente fu sconfitto da Saladino il 1° maggio 1187,
a Cresson.
La situazione
era talmente critica, che Raimondo accettò di portare il suo aiuto. Quando però
Saladino, invece di assediare Gerusalemme, si diresse verso Tiberiade, Raimondo
consigliò a Guido di non attaccare Saladino in campo aperto, prevedendo il
massacro. Guido non gli diede ascolto e anzi i comandanti cristiani lo
accusarono di disfattismo e cospirazione con il nemico. La realtà, però, gli
dette ragione: Saladino impedì ai nemici di abbeverarsi al lago di Tiberiade e
riuscì a circondarli. Stanchi, assettati e ammutoliti dall’imponente esercito
mussulmano, i cristiani tentarono con diverse cariche di rompere l’accerchiamento,
ma alla fine la sconfitta fu ineludibile. Con la battaglia di Hattin, la
riconquista islamica diventò ormai inevitabile, sebbene richiese ancora poco
più di un secolo.
Guido fu uno di
quei personaggi che – al contrario della diplomazia messa in atto da Baldovino
IV – erano più inclini ad una guerra all’Islām ad ogni costo. In questo senso,
non si può dire che non fu accontentato. Ad Hattin la Vera Croce fu presa da
Saladino e andò poi perduta; molti nobili finirono nelle sue mani, tra cui lo stesso
Guido e Rinaldo di Châtillon. Fedele alla sua promessa di vendicarsi, il
condottiero mussulmano decapitò Rinaldo. Questo il noto racconto dello storico
persiano ‘Imād ad-Dīn al-Isfahānī, testimone oculare:
Saladino invitò
il re a sedere vicino a lui e quando entrò a sua volta Arnāt [Rinaldo] lo fece
sedere al fianco del re e gli ricordò le sue malefatte: «Quante volte tu hai
giurato e poi violato i tuoi giuramenti, quante volte hai firmato degli accordi
che poi non hai rispettato!». Arnāt fece rispondere all’interprete: «Tutti i re
si sono sempre comportati così. Non ho fatto niente di diverso». Nel frattempo,
il re dei Franchi era morente di sete; la sua testa dondolava come se fosse
stato ubriaco e il suo viso tradiva una grande paura. Saladino gli rivolse
parole rassicuranti e gli fece portare dell’acqua fresca. Il re ne bevve e
porse il resto al principe Arnāt, che ne bevve anch’esso. Il Sultano disse
allora a Guy: «Tu non mi hai chiesto il permesso prima di dargli da bere.
Questo non mi obbliga dunque ad accordargli la vita salva». [...] Dopo aver
pronunciato queste parole, il Sultano uscì, montò a cavallo e si allontanò,
lasciando i prigionieri in preda al terrore. Ispezionò le truppe che
rientravano, poi ritornò nella sua tenda. Là fece condurre Arnāt, avanzò verso
di lui tenendo la sciabola in mano e lo colpì tra il collo e la scapola. Quando
Arnāt cadde a terra, gli fu tagliata la testa, poi il suo corpo fu trascinato
per i piedi dinanzi al re, il quale cominciò a tremare. Vedendolo così sconvolto,
il Sultano gli disse con tono rassicurante: «Quest’uomo è stato ucciso a causa
della sua malvagità e della sua perfidia!». [4]
Guido rimase
prigioniero a Damasco; Templari e Ospitalieri furono brutalmente giustiziati,
per la loro fiera reputazione (Saladino li definì «razze impure» [5]) e
perché considerati il vero pericolo armato per l’esercito islamico («giacché
Templari e Ospitalieri costituivano il nerbo dei Franchi» [6]). Gli
altri prigionieri di minore importanza furono venduti come schiavi. Raimondo di
Tripoli, invece, riuscì a fuggire, probabilmente con il consenso di Saladino,
ma morì ugualmente di pleurite pochi mesi dopo.
Come in seguito
alla caduta di Edessa, così la notizia della sconfitta si diffuse in Occidente,
incentivando una terza spedizione. Mentre questa notizia si spargeva, il 2
ottobre 1187 cadeva anche Gerusalemme, difesa eroicamente da Baliano di Ibelin,
che si accordò per una resa: gli assediati dovettero pagare un riscatto per la
loro libera uscita e Baliano spese un’ingente somma per liberare i più poveri.
Lo stesso Saladino pagò per alcuni assediati e concesse comunque ai cristiani
di accedere alla Città Santa come pellegrini, lasciando loro la gestione della
basilica del Santo Sepolcro.
Nel frattempo,
papa Gregorio VIII, ancora ignaro della caduta di Gerusalemme, promulgò la
bolla Audita tremendi; in Francia e
in Inghilterra fu persino istituita una “decima del Saladino”, un’imposta sui
redditi e sui beni mobili, riscossa tra gli altri da Templari e Ospitalieri. Il
meccanismo di reclutamento si era fatto sempre più sottile: la Chiesa poteva
contare non solo sulla sua influenza verso i nobili, ma anche su un braccio
armato ormai ramificato sul territorio. I nobili, inoltre, i cui patrimoni erano
più ingenti, furono in qualche modo “costretti” a partire per l’Oltremare, dato
che il pagamento della decima era cancellato per coloro che sceglievano di
partecipare alla spedizione. La decima in questione ottenne risultati
soprattutto in Inghilterra e meno in Francia, dove il governo centrale aveva
meno controllo, ma in Inghilterra finì per lo più per impinguare il tesoro del
re.
Ad ogni modo, la
terza crociata non partì prima del 1189. Essa fu guidata dal re inglese
Riccardo Cuor di Leone, dal re francese Filippo Augusto e dall’imperatore
Federico Barbarossa, succeduto allo zio Corrado III di Svevia per sua stessa
designazione. L’esercito di quest’ultimo era talmente numeroso, che fu
costretto a passare suo malgrado per l’Ungheria e i Balcani. In territorio
bizantino vi furono diverse tensioni, ma l’esercito proseguì la sua marcia,
vincendo i Turchi nella battaglia di Iconium (18 maggio 1190). Il mese
successivo, tuttavia, Federico morì annegato; il figlio, Federico VI di Svevia,
condusse l’esercito fino ad Antiochia, dove però si disperse. Molti tornarono
in Occidente o morirono di malattia e i superstiti si unirono al resto della
spedizione.
Riccardo Cuor di
Leone, invece, salpò da Marsiglia e raggiunse la Sicilia; da qui mosse verso la
Terra Santa, ma una terribile tempesta affondò diverse navi e lo costrinse a
raggiungere Cipro. L’isola apparteneva ai Bizantini, ma era governata da un
usurpatore: Riccardo trattò con lui, ma alla fine fu costretto a conquistare
l’isola. Guido di Lusignano, nel frattempo, era stato liberato da Saladino, ma
lungi dal voler tornare in Occidente, scelse di assediare Acri, caduta in mano
mussulmana, con l’aiuto di Filippo Augusto e di Riccardo. Il 12 luglio 1191, la
città fu riconquistata e i prigionieri mussulmani trucidati, segnando un
precedente di rilievo per l’evoluzione della guerra santa [7].
Il fronte
crociato si era appena riunito, che subito nacquero discussioni sulla
successione al trono di Gerusalemme: Riccardo appoggiò Guido, mentre Filippo
sostenne Corrado del Monferrato, che aveva strenuamente difeso Tiro
dall’esercito di Saladino. Riccardo ebbe la meglio, ma questo portò Filippo e
Leopoldo V d’Austria (condottiero del rimanente esercito del Barbarossa) a
rientrare in Occidente. Riccardo puntò quindi su Giaffa e il 7 settembre 1191,
grazie all’aiuto di Templari e Ospitalieri, sconfisse Saladino ad Arsuf,
dimostrando che il nemico non era invincibile. Conquistata Giaffa, attuò una
serie di atti politici e diplomatici: Guido di Lusignano divenne signore di
Cipro; Corrado del Monferrato fu assassinato dagli Assassini, probabilmente su
richiesta di Riccardo; Giovanna, sorella del re inglese, fu proposta da
Riccardo stesso come sposa al fratello di Saladino, Safedino, che stava
conducendo le trattative su Gerusalemme.
Nel 1192 si
giunse così a una tregua: i Franchi conservarono il territorio tra Tiro e
Giaffa, ma Gerusalemme rimase mussulmana e Giovanna si rifiutò di sposarsi con
Safedino. Deluso dai risultati delle trattative e intenzionato ad organizzare
una nuova spedizione, Riccardo tornò in Occidente senza accettare l’invito di
Saladino a visitare la Città Santa. Durante il viaggio, fu catturato da
Leopoldo d’Austria e liberato dietro il pagamento di un pesante riscatto. Ad
ogni modo, Riccardo non poté ritentare l’impresa d’Oltremare, poiché morì
ucciso dal dardo di una balestra, mentre era occupato a sedare una ribellione
nei suoi domini francesi.
Il primo genito
del Barbarossa, Enrico VI di Svevia, diventò il nuovo imperatore; organizzò
un’altra spedizione, mossa dalla devozione e dal desiderio di compire l’impresa
tentata dal padre. Il contingente riuscì a raggiungere l’Oriente e a
conquistare Sidone e Beirut: l’imperatore doveva raggiungere l’esercito, quando
morì per le conseguenze di un avvelenamento orchestrato dalla moglie, Costanza
d’Altavilla. Enrico non si era occupato solo della questione orientale, fu anzi
un ottimo stratega in Europa: dopo anni di conflitti e di diplomazia, ottenne
il favore di Genova e di Pisa e conquistò la Sicilia agli Altavilla. Il Sacro
Romano Impero ne risultò ingrandito, ma con la morte dell’imperatore, l’eredità
passò al figlio Federico (1194-1250), sotto la reggenza di Costanza, data la
giovanissima età dell’erede.
In Germania,
tuttavia, vi furono delle tensioni scatenate dal più ampio contesto della lotta
tra guelfi e ghibellini: il regno tedesco finì nelle mani della parte guelfa,
che riconobbe come successore Ottone IV di Brunswick. Il papato, però, che
aveva temuto un accerchiamento imperiale in seguito alla conquista della Sicilia,
accolse con interesse la prospettiva di poter controllare le politiche
imperiali attraverso il giovanissimo Federico. Nel 1209, Ottone si era mosso
sulla penisola per ottenere l’incoronazione imperiale: facendo promesse
territoriali e patrimoniali a papa Innocenzo III riuscì a convincerlo. Ottone chiese poi a Federico
di fare atto di sottomissione per i ducati di Calabria e Puglia, ma questi
rifiutò. Infuriato, ritornò da Innocenzo per chiedere di poter gestire la
nomina dei territori del meridione, in aperto contrasto con il concordato di
Worms, ma Innocenzo lo scomunicò. Ottone non poté più contare nemmeno
sull’appoggio dei Tedeschi, che nominarono Federico re dei Romani e l’anno
seguente dei Germani (1212): costretto ad abdicare, morì pochi anni dopo di
malattia.
Il successore al
trono imperiale prese il nome di Federico II, incoronato prima ad Aquisgrana
nel 1215 e poi a Roma nel 1220. La vita di questo uomo segnò significativamente
la cultura e determinò il passaggio decisivo ad una mentalità laica del potere
politico. Prima di concentrarsi sulla sua figura, tuttavia, è necessario
ricordare una parentesi importante, la quarta crociata, indetta da Innocenzo
III nel 1198.
L’enciclica con
la quale promosse la riconquista di Gerusalemme non incontrò molto sostegno:
l’unità cristiana dell’Europa si stava ormai sfaldando e stavano emergendo
prepotentemente gli interessi materiali di sovrani e città marinare. Uno dei
piani più quotati, suggerito da Riccardo Cuor di Leone, era di invadere
l’Egitto, ma alla morte del sovrano inglese questa proposta fu scartata, anche
dietro le pressioni dei Veneziani, che avevano tutto l’interesse a mantenere
sicuri gli scambi commerciali con l’Egitto [8].
Venezia prese le
redini della spedizione, coordinata dal doge Enrico Dandolo, ma la Serenissima
non era affatto mossa da motivazioni religiose: oltre a concordare una cifra
esorbitante per il trasporto dei crociati, ottennero il 50% dei profitti delle
conquiste, in cambio della copertura sui mari. Il numero dei crociati fu però
ridotto rispetto alle aspettative e Venezia si rifiutò di partire senza la
completa copertura degli investimenti. Dopo alcune trattative tra la città e
Bonifacio I del Monferrato, condottiero dei francesi, Enrico Dandolo accettò di
partire, assumendo il comando della spedizione.
La crociata si
trasformò così nella campagna espansionistica veneziana. I crociati
conquistarono Zara, in Dalmazia, e furono scomunicati da Innocenzo, per aver
attaccato una città cristiana. I Veneziani avevano però ben altri interessi:
Alessio IV, imperatore bizantino detronizzato dal fratello, era entrato in
buoni rapporti con loro, promettendo notevoli guadagni, nonché il sostegno
militare ai crociati. Innocenzo si fece condizionare dalla prospettiva di un
riavvicinamento con la Chiesa ortodossa e ritirò la scomunica. Il papato
assolutistico, giunto al suo apogeo, stava perdendo una battaglia simbolica
contro il potere economico in costante ascesa. Fu così che la quarta crociata
deviò verso Costantinopoli, espugnata nel luglio del 1203. Ma la città non
aveva abbastanza beni per soddisfare le promesse fatte da Alessio IV, il quale
morì nei tumulti scatenati dal cugino, nominato Alessio V. Quest’ultimo cacciò
i crociati, che però si riorganizzarono e rientrarono a Costantinopoli nell’aprile
del 1204: l’orda devastò la città, i luoghi di culto furono depredati, gli
abitanti torturati in cambio delle loro ricchezze. Quando fu ristabilito
l’ordine, si costituì l’Impero latino di Costantinopoli, che sopravvisse nella
decadenza fino al 1261.
La quarta
crociata, lungi dal combattere i Saraceni, fu una guerra portata contro altri cristiani,
che segnò profondamente i rapporti tra la Chiesa latina e quella ortodossa.
Inoltre, se le prime tre spedizioni potevano ancora vantare una certa partecipazione
spirituale dei partecipanti, dalla quarta crociata prevalsero gli aspetti
economici e di potere politico.
Innocenzo progettò
un’altra crociata, alla quale Federico II giurò di partecipare, ma la
situazione politica non era affatto favorevole all’impresa. Un nuovo tentativo,
riuscito, fu quello del successore del pontefice, Onorio III, che nel 1217
indisse la quinta crociata. Nei luoghi consueti di reclutamento la risposta fu
alquanto debole, segno che l’entusiasmo per la guerra in Oriente incominciava
ad affievolirsi. Alla chiamata, però, risposero soprattutto Ungheresi e
Austriaci, guidati rispettivamente dal re Andrea II e dal duca Leopoldo VI
d’Asburgo. Ancora una volta, i Veneziani fornirono le navi per la traversata.
La situazione in
Terra Santa era disperata. Alla morte di Saladino, i figli – come di consueto –
combatterono l’uno contro l’altro, finché suo fratello, Safedino, riunì il
potere nelle sue mani. Un gruppo di crociati della quarta spedizione si era
diretto effettivamente in Terra Santa, ma il loro numero fu insufficiente e il
nuove re di Gerusalemme, Amalrico II, era stato costretto a patteggiare con
Safedino: fu stipulata una tregua pluriennale, tanto più che il ǧihād aveva raggiunto il suo scopo,
riconquistando la Città Santa. Vi furono certamente violazioni della tregua
(una di queste provocata dai Templari nel 1210), ma si riuscì a risolvere le
discordie. Il successore di Amalrico, Giovanni di Brienne, rinnovò a sua volta
la tregua nel 1211.
A conclusione di
questo secondo accordo, la quinta crociata raggiunse l’Oriente. Riunitisi ad
Acri, i crociati attaccarono la Samaria, ma gli avversari si limitarono a
temporeggiare e insoddisfatti molti Ungheresi, tra cui il re, ritornarono in
Occidente. Coloro che erano rimasti furono spinti da Giovanni di Brienne ad
attaccare l’Egitto: egli si era infatti alleato ai Turchi selgiuchidi e insieme
a loro sperava di circondare il sultanato ayyubide da Nord e da Sud. I crociati
minacciarono Damietta, città chiave per controllare i traffici commerciali
all’ingresso del Nilo. Nel frattempo Safedino morì e il figlio al-Malik
al-Kāmil ne prese il posto. Tutto sembrava andare per il meglio per i crociati,
quando Giovanni di Brienne entrò in contrasto con Pelagio, il legato
pontificio, per questioni territoriali e di comando. I mussulmani tentarono di
reagire, ma al-Kāmil era distratto dalla sedizione di un fratello. Rinforzatosi
il contingente cristiano con nuovi soccorsi, il sultano propose di scambiare
Damietta con Gerusalemme (privata allora delle mura) e altri territori. Con
grande meraviglia, Pelagio e i Templari si opposero all’offerta: gli scontri
proseguirono, finché Damietta fu conquistata nel 1219.
Ottenuta la
città, nacquero le dispute per il suo controllo e sul fatto di tenerla come
base commerciale oppure come moneta di scambio per Gerusalemme. I conflitti tra
Pelagio e Giovanni si inasprirono e quest’ultimo preferì lasciare la direzione
al legato. Pelagio stabilì quindi una serie di restrizioni e di regole
all’interno della città, controllando ogni movimento: il suo atteggiamento
intransigente dovette certamente attribuirsi alla volontà papale di non
ripetere l’errore di Costantinopoli. I crociati persero quindi il controllo del
Nilo e i mussulmani ne approfittarono; Pelagio sperò invano nell’arrivo di
Federico II, il quale in realtà aveva ottimi rapporti con al-Kāmil:
commerciali, culturali e persino di amicizia. A luglio del 1221, i crociati
uscirono dalla città, diretti ad al-Manṣūra, così i mussulmani approfittarono
della piena del Nilo per lasciare i nemici impantanati. In agosto al-Kāmil poté
contare su nuove truppe dalla Palestina e sconfisse gli invasori. In cambio
della vita, i crociati lasciarono Damietta e tutto si risolse con un nulla di
fatto. Federico fu additato come responsabile e scomunicato da Gregorio IX per
il suo mancato intervento: nel 1225 fu quindi costretto a prendersi questo
impegno, che concretizzò a suo modo con una sesta “crociata”.
Nel 1227,
Federico mandò in Egitto come diplomatico l’arcivescovo di Palermo, per saggiare
il terreno: al-Kāmil inviò invece a Palermo un suo emissario, l’emiro Fakhr
ad-Din. Federico, nel 1228, raggiunse Acri con un piccolo contingente e
concluse un accordo con al-Kāmil, con il quale aveva stretto una vera e propria
amicizia. I cristiani riottennero Gerusalemme (eccetto alcune sue parti, come
la moschea al-Aqṣā), Betlemme, Nazareth, Sidone e altri territori.
Gerusalemme era
a quel tempo senza mura e l’accesso ai mussulmani fu sempre consentito. Oltre a
ragioni di reciproco rispetto tra Federico e il sultano, è opportuno
considerare questo accordo alla luce della minaccia mongola e della crisi
interna al sultanato [9]. Anni
prima, peraltro, Federico aveva sposato la figlia del re Giovanni di Brienne,
ormai defunta, e con questa giustificazione si autoincoronò re di Gerusalemme
nonostante la scomunica. Federico ebbe una mentalità molto aperta nei confronti
dell’Islām, che non aveva alcuna intenzione di combattere, e un profondo
interesse per le conoscenze del Vicino Oriente.
Riporto due
episodi significativi del soggiorno di Federico a Gerusalemme, che forse
giunsero all’orecchio del papa, giustificando la definizione di “Anticristo”:
Dice l’autore
Giamàl ad-din Ibn Wasil: il cadi Shams ad-din di felice memoria mi raccontò:
quando l’Imperatore re dei Franchi venne a Gerusalemme, gli stetti accanto come
mi aveva ordinato il Sultano Malik al-Kamil ed entrai con lui nel Sacro
Recinto, dove egli osservò i minori santuari. Entrai poi con lui nella Moschea
al-Aqsa, di cui ammirò la costruzione, e così quella del Santuario della Santa
Roccia. Giunto alla nicchia della preghiera, ne ammirò la bellezza, ammirò la
bellezza del pulpito e ne salì i gradini fino al sommo; poi discese, mi prese
per mano, e uscimmo verso al-Aqsa. Lì egli trovò un prete che aveva in mano il
Vangelo e voleva entrare in al-Aqsa. L’Imperatore gli fece un urlaccio e gridò:
«Cosa ti ha condotto qui? Perdio, se uno di voi torna a entrar più qui senza
permesso, gli caverò gli occhi! Noi siamo gli schiavi e i servi del Sultano, il
Malik al-Kamil. Egli ha concesso in grazioso dono a me e a voi queste chiese.
Che nessuno di voi osi esorbitare dal posto che gli spetta!» E il prete se ne
andò tremando di paura. [10]
E ancora:
Ed era evidente
dai suoi discorsi che era un materialista, che del Cristianesimo si faceva
semplice gioco. al-Kamil aveva ordinato al cadi di Nabulus Shams ad-din di dar
istruzioni ai muèzzin affinché per tutta la durata del soggiorno
dell’Imperatore in Gerusalemme non salissero sui minareti e non lanciassero
l’appello alla preghiera nella zona sacra. Il cadi si era scordato di avvertire
i muèzzin, e così il muèzzin ‘Abd al-Karìm quella notte al tempo dell’alba
montò sul minareto, mentre l’Imperatore alloggiava in casa del cadi, e prese a
recitare i versetti coranici sui Cristiani, come «Iddio non si è preso figlio
alcuno» riferentesi a Gesù figlio di Maria, e simili. [11]
Quando la sera
successiva nessuno salì sul minareto per riguardo all’imperatore, la mattina
seguente Federico disse: «Avete fatto male, o cadi, […] volete voi alterare il
vostro rito e la vostra Legge e fede per cagion mia? Se foste voi presso di me
nel mio paese, sospenderei io forse il suono delle campane per cagion vostra?
Perdio, non lo fate; questa è la prima cosa in cui vi troviamo in difetto» [12].
Trascorse due notti, temendo che i Templari volessero assassinarlo, si diresse
a Giaffa. Pochi mesi dopo, tacciato dal papa di essere nientemeno che
l’Anticristo, tornò in Occidente per sedare le rivolte fomentate dai suoi
avversari nell’Impero. Gregorio IX – consapevole di trovarsi di fronte ad un
sovrano incontrollabile – organizzò una sorta di crociata anti-federiciana.
Inutile dire che la chiamata non interessò molto il continente e il papa poté
fare affidamento soprattutto sui comuni lombardi, storici nemici degli
Hohenstaufen.
Il delegittimato
re Giovanni di Brienne guidò la campagna e invece di essere crocesegnati, i
soldati furono definiti “clavisegnati”, poiché portavano come simbolo le chiavi
pontificie. Gregorio sparse anche la voce di una morte improvvisa di Federico
in Terra Santa, che favorì la ribellione dei suoi vassalli. A giugno del 1229,
il sovrano approdò a Brindisi e riorganizzò le truppe rimastegli fedeli: egli
poté contare, tra gli altri, sui cavalieri teutonici e sulle comunità islamiche
presenti nel meridione. L’avanzata di Federico fu inarrestabile e il territorio
rimesso presto in sicurezza. Le trattative per la riconciliazione durarono otto
mesi e il Gran Maestro dei cavalieri teutonici, Hermann von Salza, svolse un
ruolo chiave in qualità di mediatore. Così, nella primavera del 1230, Federico
e Gregorio si incontrarono ad Anagni, dove si concluse il trattato di san
Germano.
In seguito la
situazione non migliorò: con un matrimonio politico, Federico nominò re di
Sardegna suo figlio Enzo; il papa, ancora una volta, lo scomunicò. Federico
giunse armato fino alle porte di Roma, ma la morte di Gregorio lo fece tornare
sui suoi passi, poiché egli combatteva il papa, non la Chiesa. In questo senso,
da Anticristo, la figura di Federico assunse un’altra sfumatura, quella
dell’uomo in grado di salvare la Chiesa governata da corrotti.
Ad ogni modo,
dopo la breve parentesi di Celestino IV, Federico trovò un accordo con
Innocenzo IV. Ma nel 1248, il pontefice tenne un concilio a Lione, che ribadì
la scomunica e provocò la ribellione nell’Impero: Federico morì nel 1250, forse
avvelenato, mentre combatteva i suoi ennesimi avversari nella penisola. Il
figlio Enzo cadde prigioniero e morì a Bologna dopo ventitré anni di prigionia.
Manfredi di Sicilia, figlio illegittimo di Federico, si impose come reggente
del giovane Corradino di Svevia, legittimo erede, ma sconfitto e ucciso nella
battaglia di Benevento (1266) da Carlo d’Angiò, aprì le porte alla conquista
angioina del Regno di Sicilia [13].
La Chiesa aveva
dunque vinto l’ennesima lotta tra papato e impero? Sicuramente riuscì
nell’intento di eliminare un sovrano decisamente scomodo, ma il messaggio
“indipendentista” di Federico II fu un monito per i secoli a venire, e segnò un
passo importante nella direzione di una separazione tra Stato e Chiesa.
Mentre questi
conflitti avevano luogo in Occidente, in Medio Oriente la situazione precipitò
con l’avanzata dei Mongoli, guidati da Gengis Khan (1162-1227) e dai suoi
successori. Il fenomeno mongolo si innestò nel contesto delle lotte interne al
califfato; Gerusalemme fu razziata da predoni mussulmani, i Corasmi, cacciati
dalle proprie terre dagli invasori mongoli e finiti al soldo dei diversi
signori mussulmani. I predoni compirono saccheggi e massacrarono migliaia di cristiani:
la notizia raggiunse l’Occidente.
Scomunicato
Federico, il concilio di Lione del 1245 stabilì di intervenire e il comando fu
affidato al re francese Luigi IX: il reclutamento fu circoscritto soprattutto
al regno di Francia, anche perché Luigi aveva tentato con scarsi risultati di
coinvolgere gli altri sovrani. Egli fu un re particolarmente devoto, che in
seguito ad una grave malattia fece voto di partire per la Terra Santa. I
crociati presero il mare da Marsiglia e Genova, in direzione dell’Egitto, vero
centro politico-economico della dinastia ayyubide. Conquistata Damietta, i
crociati furono fermati ad al-Manṣūra, difesa dall’ufficiale mamelucco Baybars.
Inoltre dalla Siria giunsero rinforzi ai mussulmani, che finirono per
circondare il contingente cristiano. Caduto prigioniero, Luigi fu liberato solo
dietro un ricco riscatto, pagato con reticenza dai Templari. Il re francese
rimase ancora quattro anni in Oriente, senza tuttavia ottenere risultati
significativi [14].
La sua
esperienza da crociato non finì in questo modo: passato poco più di un
decennio, papa Clemente IV convinse Luigi a ritentare l’impresa. Egli partì nel
1267, con la partecipazione del re inglese Enrico III: questa volta,
l’obiettivo fu Tunisi, con lo scopo di convincere i signori locali ad
appoggiare una guerra contro i Mamelucchi. Essi, infatti, avevano preso il
potere a scapito degli Ayyubidi, uccidendo il sultano al-Muazzam Turanshah e
insediando un loro sultano, Aybak, nel 1250. Il vero potere era però in mano a
Baybars, la cui fama era già alta in seguito alla vittoria nella settima
crociata. Il problema restava la Siria, dove molti si erano opposti al dominio
mamelucco.
L’invasione
mongola di Hulagu Khan (nipote di Gengis Khan) mise però in seria difficoltà il
califfato abbaside, che nel 1258 perse la capitale Baghdād; fu poi la volta di
Aleppo e di Damasco [15]. Fu
così che Baybars, con l’allora sultano Qutuz, radunò un esercito e sconfisse
duramente i Mongoli (1260) [16].
Qutuz morì poco dopo, ucciso da Baybars, che diventò a sua volta sultano:
l’Islām era minacciato da Oriente a Occidente; la nuova amministrazione
mamelucca indurì il carattere stesso del mondo islamico e portò ad una guerra
senza quartiere. Baybars si preparò a fronteggiare il ritorno di Luigi IX, ma
in realtà l’ottava crociata ebbe vita brevissima. I crociati assediarono Tunisi
(1270), ma peste e dissenteria decimarono l’esercito, colpendo lo stesso re.
Come era avvenuto per il langravio Ludovico, anche il corpo di Luigi fu bollito
e disossato, e le ossa inviate in Francia. Per la sua sincera devozione e per
aver ridato onore alla figura del nobile crociato, papa Bonifacio VIII, nel
1297, lo canonizzò [17].
La situazione
latina in Oriente, invece, si aggravò ancora di più: Baybars conquistò Château
Pèlerin, Ṣafad, Giaffa, il Krak dei Cavalieri, Antiochia e altre località,
prima di morire a Damasco nel 1277. Le sue capacità guerriere e strategiche lo
resero un eroe dell’Islām: come ulteriore atto di buon senso, accolse al Cairo
un califfo abbaside, che da quel momento giustificò simbolicamente il nuovo
potere mamelucco. Prima di morire, affrontò l’ennesimo tentativo di invasione
cristiano.
La nona e ultima
crociata fu una prosecuzione della precedente. Edoardo I d’Inghilterra,
incoronato re al suo ritorno, giunse tardi a Tunisi, quindi si organizzò con
Carlo d’Angiò, fratello di Luigi e re di Sicilia, e i due raggiunsero Acri nel
1271. Baybars aveva osato andare oltre la riconquista della Terra Santa e aveva
fatto costruire una flotta per attaccare Cipro, sede formale del Regno di
Gerusalemme, retto da Ugo III di Cipro. Il tutto si risolse in un insuccesso
per Baybars e in una tregua di dieci anni con Ugo, ma questo non ne ridusse il
prestigio. Alla spedizione partecipò anche il futuro papa Gregorio X, che
indisse una crociata nel 1274, a Lione, ma rimase inascoltato.
[1] Norandino realizzò un’intensa campagna di propaganda a favore della guerra santa. Fu il primo a dare l’esempio: uomo pio, evitò il lusso e offrì un’immagine autorevole di sé.
[2] Nel 1168, Amalrico invase l’Egitto per la quarta volta: massacrò gli abitanti di Bilbeis, compresi i cristiani di rito copto, costringendo gli abitanti del Cairo ad appiccare un incendio piuttosto che lasciare la città ai Franchi. Anche questa volta, però, i rinforzi mussulmani costrinsero il re alla ritirata.
[3] Secondo lo storico mussulmano Ibn al-Athīr, tra i Franchi di quel periodo non vi era nessuno più coraggioso e saggio del signore di Tripoli. Cfr. A. Maalouf, Le crociate viste dagli Arabi, SEI, Torino, 1989, p. 206.
[4] A. Maalouf, Le crociate…, op. cit., p. 215.
[5] F. Gabrieli, Storici arabi delle Crociate, Einaudi, Torino, 1987, p. 137 (a scrivere è ancora ‘Imād ad-Dīn).
[6] Ivi, p. 118 (qui il testo è di Ibn al-Athīr).
[7] Il problema fu che i Franchi non assunsero mai una politica di lungo periodo in Terra Santa e, quando sembrava che volessero attuarne una (p. es. Raimondo di Tripoli), non riuscirono a metterla in pratica a causa delle divisioni interne.
[8] Nel 1202, Safedino aprì delle trattative con la Repubblica di Venezia: i Veneziani poterono accedere ai porti del delta del Nilo in cambio del mancato sostegno di una futura crociata. I Veneziani non mantennero la parola data, né con i mussulmani né con i cristiani: favorirono infatti la crociata, salvo indirizzarla verso “profitti” più sicuri.
[9] In un certo senso, se i Mongoli avessero conquistato l’indifendibile Gerusalemme, il sultano ne sarebbe uscito in un modo migliore, non avendo il controllo della Città Santa. L’atto provocò comunque molti dissapori, tanto in Oriente quanto in Occidente.
[10] F. Gabrieli (a cura di), Storici arabi…, op. cit., p. 267 (testo di Muhammad ibn Wasil).
[11] Ivi, pp. 270-271 (testo di Sibṭ ibn al-Jawzi).
[12] Ivi, p. 271 (testo di Sibṭ ibn al-Jawzi).
[13] Dopo la morte di Manfredi, Corradino fu chiamato nella penisola dai ghibellini, ma finì tradito dai suoi e poi giustiziato a Napoli (1268). Con la sua morte si estinse la casata degli Hohenstaufen in linea maschile diretta.
[14] Provò persino ad allearsi con i Mongoli, i quali interpretarono la sua benevolenza come un atto di vassallaggio.
[15] A Baghdād, il califfo abbaside fu ucciso, la città martoriata: i cristiani furono invece risparmiati, poiché la moglie di Hulagu era nestoriana. A Damasco entrarono persino tre prìncipi mongoli di fede cristiana.
[16] I discendenti di Hulagu si convertirono infine all’Islām, per consolidare il loro potere.
[17] Il carattere politico di questa decisione, pur presente, non minimizza l’aura di santità che caratterizzò a suo tempo Luigi IX.
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