Il pellegrinaggio nel Medioevo. Parte I
Cattedrale di Santiago de Compostela |
«Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio».
Sal 83 (84), 6
Il crucesignatus
e il culto delle reliquie
Uno dei motivi che portò a realizzare la prima crociata fu la presunta terribile condizione dei pellegrini. Presunta perché la corte papale amplificò con astuzia il dato proveniente da Costantinopoli e dalla Terra Santa. Si parlava dei cristiani massacrati dai briganti [1]; della distruzione del Santo Sepolcro nel 1009 (poi ricostruito dai Bizantini); della pesante tassazione e delle malversazioni.
Tutto questo era certamente vero, ma al principio della prima crociata non vi fu un peggioramento significativo della condizione dei pellegrini, che peraltro partivano già con la consapevolezza che il loro sarebbe stato un viaggio doloroso, di penitenza appunto, e che forse Dio avrebbe potuto chiamarli a sé durante il tragitto. Una lunga serie di testamenti conferma questo dato, e il loro aumento durante le crociate testimonia non solo l’incremento del numero dei pellegrini e, forse, una maggiore coscienza giuridica, ma anche il fatto che nonostante l’arrivo dei cristiani la pericolosità del pellegrinaggio non era stata cancellata.
Continuarono infatti ad esserci ladroni, approfittatori, gabelle (anche nei
territori cristiani), nonché una ricca schiera di mali spesso inevitabili,
quali malattie e calamità naturali. Se non fosse stato così, forse i Templari
non avrebbero avuto origine, poiché a distanza di un ventennio Hugues de Payns
fondò la confraternita con il precipuo intento di difendere coloro che si
recavano nei Luoghi Santi e che evidentemente erano ancora in pericolo.
Peraltro,
l’idealizzazione di Gerusalemme, sia terrena che celeste, contribuì a spingere
nuove masse di fedeli oltremare. Non a caso Tyerman afferma: «L’eredità più
diretta dell’occupazione cristiana della Città Santa fu il pellegrinaggio, non
la guerra santa» [2].
E ricorda re Eric I di Danimarca e re Sigurd di Norvegia, che all’inizio del
XII secolo giunsero in Oriente come pellegrini-guerrieri, dove il primo termine
del binomio è non a caso al primo posto. Eric morì a Cipro, senza essere giunto
in Terra Santa; re Sigurd partecipò all’assedio di Sidone e dopo essere stato a
Gerusalemme tornò in Occidente. I re del Nord Europa non erano estranei ad interventi
armati in Medio Oriente, quali “mercenari” dei Bizantini; oltretutto, avere
«legami con Gerusalemme dava rispettabilità in patria ai signori, in
particolare ai re» [3].
Esisteva poi un cerimoniale per i cosiddetti “crocesegnati”, ovvero quelle persone che sceglievano di prendere la croce, in questo caso armati, per raggiungere il sepolcro di Cristo. La ritualità andò consolidandosi e arricchendosi intorno all’ultimo quarto del XII secolo: la Chiesa stava realizzando il proprio esercito (o meglio, esso era l’esercito di Dio) e i crociati finirono con l’identificarsi come veri e propri pellegrini. In quest’ultimo caso, durante la cerimonia, il sacerdote consegnava il bastone e la bisaccia, poi invocava la protezione di un angelo, solitamente Raffaele.
Il Libro di Tobia ne spiega il motivo: Tobi era stato deportato in Assiria con la sua famiglia (722 a.C.); era una persona caritatevole, ma finì con il perdere il suo patrimonio e la vista. Sentendo l’approssimarsi della fine, decise di mandare il figlio Tobia presso un parente in Media, per riscuotere una quota di denaro che vi aveva depositato. Pregò il Signore, che mandò l’Arcangelo Raffaele sotto le spoglie di una guida esperta. Giunti al Tigri, Tobia fu assalito da un pesce, ma Raffaele spronò Tobia, che uccise l’animale e ne estrasse il fiele, il cuore e il fegato. Ad Ecbatana sposò Sara, un’indemoniata, che con il consiglio di Raffaele riuscì a liberare, utilizzando ciò che aveva estratto dal pesce. Prelevato il denaro, al suo ritorno il figlio guarì il padre dalla cecità grazie al fiele; solo a quel punto l’Arcangelo Raffaele rivelò la sua vera identità.
Allo stesso modo, durante la cerimonia
medievale, vi erano continui riferimenti a questo libro e agli archetipi del
pellegrino:
Prendi questo
bastone nel tuo viaggio nel nome di nostro Signore. Gesù Cristo ha dato come
guida e compagno di viaggio al suo servo Tobia il santo angelo Raffaele; così
egli possa inviare anche a te l’angelo della pace che ti accompagni al luogo
che cerchi di visitare in penitenza dei delitti che hai commesso. […] Prendete
degnamente queste bisacce come rivestimento di pellegrini nel nome del nostro
Signore Gesù Cristo. Possiate giungere castigati, guariti e migliorati al
sepolcro del Signore […]. O Dio onnipotente ed eterno, che hai creato e
rinnovato il genere umano, che hai detto al tuo servo Abramo di lasciare la sua
patria e di andare verso la terra della promessa e hai condotto con grandi
prodigi il popolo di Israele attraverso il deserto, perché ti adorasse, noi ti
preghiamo: […] O Signore, manda il tuo angelo, assegnato a Tobia, tuo servo,
come suo accompagnatore, affinché essi abbiano in lui durante il loro viaggio
una difesa contro le insidie di tutti i nemici visibili e invisibili. [4]
Quale complemento del pellegrinaggio, il culto delle reliquie – sviluppatosi con forza dal IV secolo – incentivò lo spostamento dei fedeli, che oltre alla salvezza dell’anima speravano anche in una guarigione o in una grazia che ne migliorasse le condizioni di vita. Le prime reliquie riguardarono i resti dei martiri o di quei santi che già in vita avevano compiuto miracoli; anche le tombe dei Padri del Deserto furono tra le prime mete di pellegrinaggio.
La predicazione stessa delle crociate si servì delle reliquie per dare forza alla chiamata alle armi: per predicare la seconda crociata, il patriarca Guglielmo di Gerusalemme diede a Bernardo di Chiaravalle un frammento della Vera Croce e alla sua morte il santo fu seppellito con una reliquia di san Taddeo. A Roma, invece, al palazzo del Laterano, vi era una ricca collezione di reliquie: «il cordone ombelicale e il prepuzio di Cristo, più una piccola quantità del suo sangue, frammenti della croce, numerosi oggetti associati al ministero e alla Passione di Gesù (per esempio un pane e tredici fagioli provenienti dall’ultima cena), reliquie di santi della Terrasanta e numerosi campioni naturali, tra cui rocce provenienti da Betlemme, dal monte degli Ulivi, dal fiume Giordano, dal Calvario e dallo stesso Santo Sepolcro» [5].
La
croce stessa fu l’emblema per eccellenza del crociato e «simbolo mistico: in
parte reliquia, in parte totem, in parte uniforme» [6]. Al
di là del significato della croce, l’elenco delle reliquie lateranensi fa oggi
sorridere. D’altronde, la mentalità medievale era come divisa in due estremità:
da un lato una fede incrollabile, mistica, le cui vette esplorative sono ancor
oggi valide per chi affronta un cammino spirituale, non per forza cristiano;
dall’altro, l’esigenza di toccare,
ovvero di fare esperienza diretta, sensibile,
di quanto era legato alla fede. E in quest’ultimo caso si finì spesso
nell’assurdo e un grande scrittore come Boccaccio (1313-1375) lo mise in
evidenza. Per esempio, nella X novella della VI giornata del Decameron, raccontò la storia di frate
Cipolla: egli aveva promesso di mostrare ai contadini una penna dell’angelo
Gabriele (in realtà una piuma di pappagallo), ma due suoi conoscenti
scambiarono la penna con dei carboni; il frate però non si perse d’animo e
affermò che quelli fossero i carboni che avevano arrostito san Lorenzo!
Nonostante gli scetticismi, il culto delle reliquie ebbe vasta fortuna soprattutto nel Basso Medioevo, collegandosi al fenomeno delle crociate. Tale culto infatti divenne “internazionale” e al santo/martire locale si preferirono i resti provenienti dall’Oriente.
Nel corso delle crociate gli spostamenti di reliquie furono incalcolabili: conquistati molti dei Luoghi Santi del Cristianesimo, aumentò anche il business dei sacri resti e chi entrava a Gerusalemme poteva trovarsi di fronte a una schiera di commercianti, simili a quelli che oggi vendono souvenirs (e forse solo più invadenti di quest’ultimi) [7]. Ma il commercio di reliquie passava anche per vie istituzionali, per cui potevano esserci donazioni o scambi tra monasteri, chiese, vescovadi, ma anche vere e proprie rapine: molte furono infatti le città e i comuni che si contesero e rubarono reliquie a vicenda. La giustificazione per un tale atto era che il santo era trattato male dagli abitanti locali ed era poco venerato: dopotutto, se non fosse stato d’accordo, il santo avrebbe potuto utilizzare i suoi poteri e impedire il trasferimento.
Tale era l’attaccamento al corpo dei santi, che questo interesse poté trasferirsi anche su personaggi contemporanei ai pellegrini medievali, che avevano fama di santità: è il caso, per esempio, di Ludovico IV, langravio di Turingia, che nel 1227 partì per la sesta crociata, ma morì di febbre ad Otranto. Per riportare a casa il corpo questo fu il trattamento: «La salma fu smembrata e bollita finché la carne non si staccò dalle ossa. Le parti molli furono sepolte sul posto, il cuore riposto eventualmente [sic] in un degno luogo, per esempio una chiesa. Le ossa di Ludovico furono collocate in un prezioso scrigno, deposto su un carro trainato da animali e vegliate di notte in chiesa, recitando preghiere; al mattino si celebrava una messa e si facevano offerte; poi il drappello continuava il suo viaggio verso casa» [8]. Il popolo tedesco lo acclamò santo, per quanto la Chiesa non lo avesse canonizzato.
La moglie, Elisabetta d’Ungheria, si distinse per essere una donna
estremamente devota e dopo la morte del marito divenne terziaria francescana,
dedicandosi ad opere di carità che le valsero la canonizzazione da parte di
Gregorio IX, nel 1235. Elisabetta curò i lebbrosi, avvicinandosi a loro nella
maniera di Francesco d’Assisi, e non mancò di occuparsi anche dei numerosi
pellegrini che si affidavano alla sua protezione.
[1] Nel 1064, p. es., era avvenuto un pellegrinaggio tedesco, che contava forse fino a dodicimila persone. I pellegrini, ricchi e poveri, furono guidati dal vescovo Gunther: dopo lunghe peripezie, alcuni Arabi li massacrarono in gran numero, ma le autorità islamiche riuscirono a riportare la calma e i superstiti raggiunsero Gerusalemme. In questo caso il brigantaggio e l’odio (religioso? etnico?) furono presenti, ed erano fenomeni legati all’incapacità di controllare il territorio da parte delle autorità locali.
[2] C. Tyerman, Le guerre di Dio, Einaudi, Torino, 2012, p. 257.
[3] Ivi.
[4] N. Ohler, Vita pericolosa dei pellegrini nel Medioevo, Piemme, Casale Monferrato, 1996, pp. 97-98.
[5] C. Tyerman, Le guerre di Dio…, op. cit., p. 72.
[6] Ibidem.
[7] Il codice di diritto canonico vieta tutt’oggi il commercio delle reliquie, che è in rapida e preoccupante espansione anche attraverso la rete. Cfr. I. Ingrao, Il business delle reliquie, in “Panorama”, 12 febbraio 2014, p. 68; o il sito di www.panorama.it, con lo stesso titolo.
[8] N. Ohler, Vita pericolosa…, op. cit., p. 272. Si dovette aspettare il 1299 perché la Chiesa si occupasse direttamente della questione dello smembramento del corpo dei nobili morti durante le crociate. In quell’anno, papa Bonifacio VIII promulgò la bolla De sepulturis, che vietò la pratica.
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