Il pellegrinaggio nel Medioevo. Parte II

 

Per la prima parte, si veda qui.


Anonimo, San Giacomo il pellegrino (metà del XIX secolo)


Le fonti bibliche del pellegrinaggio e l’esperienza del pellegrino

 

Come ho accennato nella prima parte, nell’Antico Testamento è possibile individuare dei modelli archetipici di pellegrinaggio, sebbene il fenomeno ebbe una particolare eco nel contesto cristiano-neotestamentario. Il primo modello è dato da Abramo, che si mosse da Ur fino alla regione di Canaan:

 

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria / e dalla casa di tuo padre, / verso il paese che io ti indicherò. / Farò di te un grande popolo / e ti benedirò, / renderò grande il tuo nome / e diventerai una benedizione. / Benedirò coloro che ti benediranno / e coloro che ti malediranno maledirò / e in te si diranno benedette / tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. [1]

 

In realtà, Dio costrinse prima Caino ad abbandonare la propria terra, per aver ucciso il fratello Abele, ma il concetto di viaggio penitenziale non è presente [2] e in questo caso si tratta di una maledizione di Dio, anziché di una promessa: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra» [3].

Altri archetipi veterotestamentari del pellegrinaggio furono Mosè, che guidò gli Ebrei d’Egitto attraverso il deserto, e tre festività ebraiche (Shalosh Regalim), collegate a quel periodo: la Pasqua (Pesach), la festa delle settimane (Shavuot) e la festa delle capanne (Sukkot), nelle quali bisognava raggiungere il Tempio di Gerusalemme.

Nel Nuovo Testamento, invece, i re Magi costituirono il primo esempio di pellegrinaggio “cristiano”, tanto da divenire patroni dei pellegrini. Gesù stesso fu in un certo senso un pellegrino: la sua vita si svolse all’insegna di continui spostamenti, sebbene egli non avesse bisogno di cercare la Verità, bensì di rivelarla. Nel suo itinerario, arricchì spiritualmente le persone che incontrava e che sceglievano di seguirlo, anche se per un breve tragitto: egli mise in moto quelle persone, nel corpo e nello spirito, e le spinse a superare i propri limiti nel nome di un amore universale. Così i primi cristiani si recarono spesso nei luoghi in cui Cristo aveva vissuto, per riviverne lo spirito e ricercare documenti che ne attestassero la predicazione. E un santo come Girolamo, Padre della Chiesa, per quanto criticasse i pellegrinaggi (predicò infatti il regno di Dio che è dentro ognuno di noi [4]), trascorse la sua vita in viaggio, alla continua ricerca di una fede più profonda.

Probabilmente il problema non era tanto che i fedeli avessero bisogno di segni tangibili della potenza di Dio (in fondo lo stesso apostolo Tommaso fu “accontentato” dal Cristo risorto), ma la preoccupazione di Gesù era che la fede non si trasformasse in pura apparenza: «Questo popolo mi onora con le labbra / ma il suo cuore è lontano da me. / Invano essi mi rendono culto, / insegnando dottrine che sono precetti di uomini» [5].

Ma fu nel IV secolo che comparve il pellegrinaggio cristiano in senso stretto: da quel momento furono scritte varie memorie di viaggio all’insegna della fede. Sulla lunga distanza si trattò inizialmente di viaggi riservati a persone facoltose, che potevano permettersi le spese e univano all’aspetto spirituale quello culturale o – per meglio dire – conoscitivo.

Sulla breve distanza, invece, i pellegrinaggi mossero persone di ogni provenienza sociale, accomunate dal desiderio di conoscere Dio e di ottenere da lui (o attraverso i suoi emissari) una certa grazia. Per questo motivo le prime forme di culto delle reliquie riguardarono santi locali o divenuti tali e solo in seguito, con il crescente fascino dell’Oriente e con uno sviluppo delle comunicazioni, il culto delle reliquie e dei Luoghi Santi attirò persone molto distanti da quelle terre.

Così, in un testo degli inizi del V secolo, l’Itinerarium Egeriae [6], l’autrice – forse una nobildonna romana – raccontò del suo viaggio dalla Gallia a Gerusalemme. Viaggiò per circa un anno, fermandosi per ben tre anni nella Città Santa (381-384) e alle descrizioni inerenti la fede cristiana affiancò quelle riferite ai costumi locali. Ancora prima, nel 333-334, fu scritto l’Itinerarium burdigalense (o Hierosolymitanum), che racconta del viaggio di un pellegrino da Bordeaux a Gerusalemme. Il percorso procedeva per la Gallia lungo la via Domizia, attraversava le Alpi e passava l’Italia settentrionale lungo la via Postumia, fino ad Aquileia. Si prendeva poi la via per la valle del Danubio, in direzione di Costantinopoli; da lì si attraversava la penisola anatolica e la Siria, per giungere infine a Costantinopoli.

Il ritorno era diverso: attraverso la via Egnatia si arrivava a Valona; si prendeva quindi la via del mare, sbarcando ad Otranto; si proseguiva sulla via Traiana Calabra e la via Appia fino a Roma. Il viaggio si concludeva passando ancora per la via Flaminia e la via Emilia, che portava a Milano: da lì si ritornava in Gallia. Questo fu peraltro uno dei molti percorsi affrontati da crociati e pellegrini nel corso delle crociate, ad indicare da un lato che le strade romane avevano ancora la loro funzionalità e dall’altro che le infrastrutture stradali erano in continuo sviluppo.

«Comune denominatore di ogni forma di santità è il requisito, che appare ormai imprescindibile, del miracolo: è la prova della perfezione del defunto venerato e risponde alle attese dei fedeli che visitano un santuario» [7]. Così dopo il Mille ebbero ampia diffusione i libelli miraculorum, con l’intento di attirare sempre più fedeli presso i monasteri e gli altri luoghi di culto. Altri testi contribuirono ad affermare il culto dei santi e l’agiografia ebbe un tale sviluppo da richiedere una sintesi nella Legenda Aurea (1298) di Jacopo da Varagine.

I pellegrini vedevano in questi santi gli eroi, di quelli che vincono le tenebre e salvano corpi e spiriti: i modelli da imitare per un’esperienza profonda della vita religiosa. «Concretamente, possiamo dire che, dal momento che noi non abbiamo la fede che produce la salute o la salvezza, anche altre persone non possono averla avuta? Non potrebbe la forza della fede aver cambiato anche la realtà sociale in una forma superiore e misteriosa che a noi resta assolutamente incomprensibile?» [8].

Queste due domande, solo parzialmente retoriche, offrono la misura di quanto profonda sia la differenza tra l’umanità di oggi e quella del Medioevo, nonostante le affinità, le radici comuni, la continuità dei processi evolutivi e involutivi. Costa grande fatica immedesimarsi nel pensiero di questi uomini e di queste donne, pronti a credere senza remore al soprannaturale, all’invisibile, talvolta – è inutile nasconderlo – cadendo in facili tranelli. Ma certamente la loro forza interiore è tutt’oggi invidiabile, per quanto sembra che il materialismo abbia ricoperto ogni coscienza spirituale in nome di una nuova fede, che fa dell’esteriorità il suo emblema. Oggi si venerano molte più reliquie rispetto al Medioevo e dietro a un’espressione marxiana, il “feticismo delle merci”, si nasconde per così dire il nuovo culto della superficialità e della “fede per contatto”.

In qualche modo, la degenerazione materialista si insinuò anche nella Chiesa. Dal VI secolo si sviluppò il sistema dei tariffari per organizzare le penitenze, elenchi in cui ad ogni peccato corrispondeva una penitenza, tra cui il pellegrinaggio, previsto in riparazione di un peccato pubblico.

Solo a partire dal secolo XII si attuò una riforma riguardante le penitenze che rimuoveva i tariffari, per cui alla confessione seguiva direttamente l’assoluzione: ad ogni modo, il pellegrinaggio rimase come penitenza imposta dal vescovo per alcuni peccati di rilevanza pubblica. Con indulgenza, invece, si intese una diminuzione (parziale) o una cancellazione (plenaria) della pena maturata dal cristiano con il peccato, sia pure assolto in confessione: l’indulgenza si sviluppò con l’affermazione della dottrina del Purgatorio, ma nei decenni portò ad abusi legati ai commerci della Chiesa.

Dal XVI secolo il pellegrinaggio entrò in crisi, anche a fronte degli abusi della Chiesa e delle critiche mosse dagli esponenti rinascimentali e dai protestanti. Prese forma un certo scetticismo sull’autenticità delle reliquie, inoltre l’etica protestante favorì un nuovo linguaggio del lavoro, ostacolato dal pellegrinaggio, che tendeva invece a uscire dalla logica sistemica per un universalismo non solo di spirito, bensì di fatto.

Ma quali erano i principali itinerari e le strade più celebri del Medioevo? Prima di tutto, il ben noto Cammino di Santiago, per giungere a Santiago de Compostela, che ancora oggi attira schiere di pellegrini e di amanti dei viaggi; la via Francigena; la via Michelita; i luoghi francescani (in particolare Assisi, la Verna, la Valle Santa di Rieti); i luoghi mariani (ricordiamo almeno Loreto [9] e Guadalupe [10]); Roma, dove il presbitero san Filippo Neri indicò un pellegrinaggio per sette chiese; la Terra Santa (in particolare Gerusalemme, Betlemme, Nazareth, il Giordano).

Questi itinerari erano importanti non solo per le mete a cui conducevano, ma soprattutto per il fatto che il viaggio ha sempre avuto per l’uomo un valore trascendente. E il viaggio di pellegrinaggio non fu diverso da questo principio: i pellegrini affrontarono liberamente le fatiche e i pericoli, riscoprendo le origini dell’ascetismo. Spesso lavoravano ed erano sfruttati nei luoghi attraversati, per potersi pagare la tratta successiva; altri ricorrevano all’elemosina o si organizzavano per partire in gruppi, in modo tale da sostenersi a vicenda. Tutte queste azioni erano valide e interpretavano il messaggio evangelico all’insegna dell’amore fraterno, della povertà e del dolore del lavoro, che è destinato a portare frutti a chi si affida a Dio. Ma dietro alle forme concrete del pellegrinaggio si trovava un vero e proprio cammino esistenziale, che i poemi allegorici interpretarono: così la Divina Commedia è l’emblema di questo viaggio interiore, ma molto importante fu allora anche il Romanzo della Rosa. I tre pellegrinaggi di Guillaume de Deguileville.

Il Cristianesimo si appropriò anche dei cicli cavallereschi e inerenti al Graal e li reinterpretò nell’ottica di questa ricerca. Il cavaliere Galahad fu uno dei cavalieri del ciclo arturiano ad accedere al Graal, in virtù della sua purezza: furono forse i monaci cistercensi a rileggere la cerca del Graal in chiave cristiana, riunendo l’ideale monastico e quello guerriero, proprio in un momento storico in cui quella sintesi si stava realizzando. Allo stesso modo, il pellegrino era in viaggio, ricercava qualcosa: in alcune illustrazioni medievali, la Grazia di Dio (come Beatrice per Dante) guidava il pellegrino e gli indicava come difendersi dalle tentazioni. Riprendendo Paolo di Tarso: vestendo «l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» [11].

 

Ma quali erano di preciso le motivazioni che spingevano queste persone a muoversi così lontano? E quali erano le condizioni di vita a cui andavano incontro?

Il motore ispiratore del pellegrinaggio era evidentemente la fede in Dio e nel potere dei santi. Vi era persino chi mandava in viaggio un pellegrino al proprio posto, perché aveva impegni inderogabili o era in punto di morte [12]. In altri casi i delinquenti potevano essere graziati e inviati a un determinato luogo di culto. Se non morivano lungo il tragitto, giunti alla meta avevano l’obbligo di lavorare per un certo periodo: il risultato era che molti di loro sceglievano di fermarsi in quelle terre e la comunità di origine aveva così un “pregiudicato” in meno di cui preoccuparsi. Questo sistema aveva in sé anche dei difetti: il colpevole era costretto a incamminarsi senza un soldo e se non sceglieva di praticare l’elemosina allora non gli rimaneva che dedicarsi al brigantaggio.

Tuttavia la fede in Dio non fu l’unico motivo che spinse i pellegrini a mettersi in cammino. I nobili – come anticipato – ricercavano la gloria e il prestigio, se non la riabilitazione a seguito di una colpa, ma i poveri e in generale i lavoratori erano in cerca di fortuna. Considerando le conoscenze geografiche di quel periodo, il mondo non era altro che l’Europa, il Nord Africa, il Medio Oriente e una remota terra al di là degli Urali e del Mar Caspio. Certo, si conoscevano storie a proposito degli abitanti dell’Alto Egitto, dell’Arabia e persino della Cina, ma tutto era avvolto dal mistero e per i meno istruiti anche le terre troppo a Nord, come quelle di Scozia e Norvegia, erano luoghi impervi, luoghi di confine da cui stare alla larga.

La Terra Santa, invece, con la sua tradizione religiosa, le grandi ricchezze e le prospettive che offriva, rappresentò per gli uomini del Medioevo ciò che il Nuovo Mondo fu per i Padri Pellegrini: una terra di rinnovamento, di reazione, di redenzione. In entrambi i casi, grandi masse si spostarono da un luogo ad un altro curando la propria interiorità e trovando un significato più profondo alla vita. Il loro fu un pellegrinaggio spirituale [13] anche quando i motivi concreti trovarono ampio spazio nelle menti dei singoli. Come disse Seneca: Animum debes mutare non caelum [14], ovvero “devi mutare l’animo, non il cielo”. In questo senso si comprende meglio un altro genere di pellegrinaggio spirituale, che non avveniva attraverso un lungo spostamento e che è attestato per esempio a Strasburgo. Se infatti non si era in grado di partire per la Terra Santa o per altre mete, era previsto un viaggio interiore, che utilizzasse i luoghi sacri del territorio.

Il pellegrino si confessava e prendeva la comunione; ogni mattina andava a messa e durante la giornata pregava ad ore stabilite; digiunava e rifiutava i piaceri. Dopo ventuno giorni il pellegrino “giungeva” a Roma, visitava le sette chiese indicate dal presbitero Filippo Neri (in realtà pregava per sette giorni in sette chiese locali) e poi seguivano altri ventuno giorni di ritorno. Il predicatore Geiler von Kraisersberg (1445-1510) aggiunse: «Se colui che compie il “pellegrinaggio” è ricco deve dare in elemosina ogni giorno ai poveri l’equivalente di ciò che avrebbe speso «per il suo sostentamento» durante il viaggio a Roma. Se si tratta di un povero, deve mostrare compassione per i bisognosi o adoperarsi presso i ricchi in loro favore» [15].

Decisamente diverso in quanto a difficoltà era il pellegrinaggio propriamente detto. Dopo la cerimonia di investitura con bastone e bisaccia, il pellegrino poteva mettersi in viaggio. La bisaccia serviva a contenere i vestiti, le suole di ricambio, una ciotola con almeno cucchiaio e coltello, possibilmente una pietra focaia o una lenza per pescare. Era certamente preferibile partire in primavera, quando la natura rendeva la strada più accessibile e in generale tutta la società si metteva in movimento per i propri affari, dalla guerra ai commerci, all’agricoltura e via dicendo.

Di solito l’ambiente europeo favoriva gli spostamenti, grazie ai numerosi corsi d’acqua, a un clima mite e alle infrastrutture stradali, non di rado di origine romana. Al principio, i viaggi per mare erano evitati a causa della pericolosità: tempeste, pirateria e l’iniziale impreparazione ad accogliere masse di viaggiatori ridussero al minimo i pellegrinaggi per mare, destinati però ad affermarsi gradualmente a partire dalla fine del XII secolo.

Tra i pellegrini la percentuale di donne era piuttosto alta, nonostante se ne parli poco: secondo Ohler la cifra era intorno al 35% del totale, forse addirittura al 50% [16]. Erano loro ad occuparsi dei bambini e spesso invocavano il nome di un santo per poter guarire i propri figli, facendo voto di visitare la sua tomba o un santuario dedicato.

Muovendosi, i pellegrini resero l’economia più dinamica (pernottamenti, consumazioni, riparazioni) e non era raro che le fiere accompagnassero i loro spostamenti. Talvolta, però, i viaggiatori più fortunati potevano ottenere delle lettere di immunità, indirizzate a specifiche persone o istituzioni, come ospizi e monasteri: esse permettevano di ridurre il bagaglio e di affidarsi alle cure e ai mezzi degli ospitanti. In aggiunta, le lettere di immunità erano sicure, perché prive di valore per i ladri e consegnate a persone in grado di essere riconosciute. Non mancavano infatti gli abusi e chi poteva approfittarne provava a prendere l’identità di un pellegrino, anche semplicemente per ottenere maggiore favore da mendicante.

I pericoli del viaggio erano di vario tipo: malattie, pericoli naturali e umani, non ultima la noia: per questo motivo si raccomandava di viaggiare in gruppo, per sostenersi a vicenda e respingere con più forza le tentazioni della carne. Dopotutto, anche i mercanti si raccoglievano in gilde per affrontare i viaggi e i relativi costi. Nonostante questo i percorsi risultavano faticosi, ma questo aspetto era parte della penitenza ed escludere la fatica significava fare un viaggio di piacere più che un pellegrinaggio. Così i pellegrini sul cammino di Santiago potevano portare pietre e altri materiali per contribuire alla costruzione della basilica di san Giacomo: chi tornava a casa poteva affermare di aver partecipato a qualcosa di importante; entrava a tutti gli effetti a far parte di un club esclusivo, di una comunità cristiana accomunata da un vincolo importante [17].

In altri casi, le parti più difficili riguardavano l’attraversamento dei passi di montagna e le aree poco abitate. Poteva però capitare che i sentieri fossero ben tenuti e che nelle zone più impensabili monaci o eremiti aiutassero i penitenti in difficoltà, favorendone il passaggio. Il sistema di vita monastico, ormai all’apogeo, contribuì non poco all’accoglienza dei viaggiatori. Dalla Regola di Basilio fino a quella benedettina (e alle regole ad essa ispirate), ogni monastero doveva occuparsi dell’accoglienza dei bisognosi. Non poteva quindi mancare lo xenodochio [18], l’ospizio o comunque un’area riservata a tale scopo: di solito, a un dormitorio si affiancavano almeno la cucina e una piccola cappella (per non disturbare la regolare attività dei monaci). Ma potevano esserci anche altre strutture come stalle e fienili, o dormitori separati. Gli ospizi non erano limitati ai monasteri fuori città, ma erano presenti anche nei centri urbani e accoglievano bisognosi di ogni genere, non solo pellegrini, ma anche poveri e malati [19].

Accanto allo sviluppo degli ospizi crebbero anche gli ospedali: se nell’Alto Medioevo la cura dei malati era appannaggio dei monasteri, nel corso del Basso Medioevo nacquero gli ospedali cittadini, sotto il controllo dei comuni o delle autorità locali. In questi edifici la pietà religiosa non era mai assente, per cui si trovava una cappella e un sacerdote addetto al conforto e all’estrema unzione. D’altra parte, alcune città fornirono gli ospedali di personale specializzato e stipendiato. In questo contesto, Ospitalieri e Templari fecero scuola e furono probabilmente il ponte che collegò la solidarietà cristiana a quella laica [20].

Ma non sempre i pellegrini sceglievano di fermarsi in un ospizio e se avevano abbastanza denaro da parte sostavano in taverne e locande. I racconti parlano di osti spesso prepotenti, ma bisognerebbe poter distinguere tra voci e fatti (si tende infatti a ricordare l’episodio spiacevole piuttosto che la normalità). Ad ogni modo, gli albergatori cercavano sempre nuovi modi per alleggerire le tasche delle persone di passaggio. Così potevano mandare delle false guide, che attiravano i malcapitati nelle proprie taverne; nei casi più gravi, l’oste avvelenava i pellegrini per poi derubarli, oppure fingeva un furto per farli condannare e ottenere un compenso maggiore. Altri individui si fingevano sacerdoti o persone indigenti, in modo tale da muovere a pietà le vittime designate.

Anche per queste ragioni, nel Basso Medioevo, in alcune aree il diritto si concentrò sulla condizione dei pellegrini: alcuni luoghi – come chiese e monasteri – divennero inviolabili [21] e nuove leggi garantirono la sicurezza di pellegrini, se non nello specifico di donne, bambini e uomini di Chiesa. Il precedente della “pace di Dio” fu fondamentale e nel XII secolo esso portò a “paci pubbliche”, che oltre ai beni della Chiesa garantiva sicurezza ai campi, ai mulini e agli insediamenti rurali. In poche parole, la questione di come gestire questi flussi di pellegrini contribuì alla nascita del diritto internazionale. Non solo, i pellegrinaggi consentirono una crescita economica e sociale dei luoghi attraversati, perché oltre a beni materiali, i pellegrini portarono con sé idee e conoscenze particolari, che confluirono in una rete più ampia a formare una nuova coscienza collettiva, europea e non solo.

I pellegrini uscirono dal loro limitato contesto di vita e secondo un ancestrale stimolo interiore si misero in viaggio. Lungo il cammino si trovarono spesso di fronte ad imprevisti, non ultimo quello del linguaggio; così nel XII secolo questo stimolò per esempio la realizzazione di una Guida del pellegrino, che tra le altre cose riportava alcuni vocaboli baschi. E un certo Breydenbach, canonico della cattedrale di Magonza, riportò persino un elenco di termini arabi con la relativa traduzione in tedesco.

In merito poi alla questione dei pedaggi, bisogna ridimensionarne il peso: se è vero che in certi luoghi (come il passaggio su imbarcazioni) le tariffe potevano essere alte, è pur certo che le persone molto povere trovarono il modo di passare, per esempio lavorando sul posto, magari con una tariffa regolata in base alla situazione del singolo individuo. Via terra e a piedi, un pellegrino poteva compiere una media giornaliera di venti-quaranta chilometri, con una velocità tra i tre e i sei chilometri orari, a seconda del fisico e del tipo di terreno. Ohler riporta un’utile tabella con tutti questi dati, fino a considerare la media massima giornaliera a duecento chilometri, con una galea molto veloce [22].

A proposito delle navi, esse erano gestite da un armatore o da un comandante della nave: ci si doveva occupare dell’equipaggiamento, della sicurezza e della formazione di un equipaggio. Sulla nave i pellegrini non avevano vita facile: erano previste delle pene per chi importunava i viaggiatori e in casi gravi si provvedeva a far scendere a terra il colpevole. Nel tardo Medioevo le navi veneziane e genovesi previdero la presenza di ben due giudici a bordo e si incominciarono a stipulare contratti sempre più dettagliati tra viaggiatori e compagnie. Ma il vero problema furono sempre le condizioni igieniche estremamente precarie: le descrizioni di questi viaggi sono aberranti e uno degli elementi più ricorrenti era la presenza di feci e il problema del loro smaltimento. Se poi scoppiava un’epidemia la situazione si faceva davvero seria e in alcuni casi le autorità portuali potevano impedire lo sbarco all’equipaggio e ai passeggeri o rinchiuderli per settimane (la cosiddetta “quarantena”) in grandi capannoni, in cui le malattie rischiavano di propagarsi ulteriormente o di nascere sul posto.

Un altro pericolo, che poteva sopravvenire tanto per terra quanto per mare, era quello di cadere prigionieri di briganti, pirati e Saraceni. A quel punto il pellegrino poteva essere giustiziato, finire i suoi giorni come schiavo, farsi riscattare o convertirsi all’Islām. Tanta era la preoccupazione che i cristiani rinnegassero la fede, che nacquero degli ordini preposti a risolvere il problema. Così l’Ordine dei Trinitari e l’Ordine di Santa Maria della Mercede liberarono, «secondo una tradizione ritenuta degna di fede da un esperto in materia, rispettivamente 900.000 e 70.000 prigionieri» [23]. I Mercedari adempivano ai tre voti consueti per i monaci, con l’aggiunta di un quarto voto: «Voglio restare anche ostaggio in potere dei saraceni se dovesse essere necessario per la liberazione dei fedeli» [24].

Ma nonostante le immani fatiche, i pellegrini non dovettero vedere il loro viaggio nel modo fortemente negativo con cui lo interpretiamo oggi:

 

Anche per questo non si devono dimenticare gli aspetti positivi che potevano allietare il lungo viaggio di un pellegrino. C’erano certamente le gioie della tavola, come sottolinea ripetutamente senza falsi pudori la Guida del pellegrino, ma c’erano anche stimolanti conversazioni, piacevoli sorprese negli ostelli, soccorsi inattesi per l’attraversamento di fiumi e montagne. Non è possibile dire in che misura i pellegrini abbiano provato gioia di fronte ai prodigi della creazione, a un paesaggio maestoso, ai meravigliosi colori di una farfalla o di un fiore mai visto. [25]

 

A differenza di oggi, nel Medioevo capitava spesso di meravigliarsi per un particolare o per le sorprese offerte da luoghi altrimenti inconoscibili. E al termine del viaggio di andata vi era la meraviglia più attesa: il pellegrino giungeva nel luogo sacro e finalmente poteva entrare in contatto con le reliquie, che gli avrebbero dato la grazia da lungo agognata. Il divino si manifestava attraverso i sensi, diveniva reale e donava nuove energie per rimettersi sul cammino della vita.

 

Nota: per la prima parte di questo articolo si veda qui. Su questo blog si trovano anche altri articoli di storia medievale, p. es. Oriente e Occidente (qui), Effetti e sviluppi delle crociate (qui), Il monachesimo e gli ordini cavallereschi in Friuli (qui).


Bibliografia

 

° AA.VV., Pellegrinaggi, Mondadori Electa, Milano, 2011

° La Sacra Bibbia, Edizione ufficiale della CEI, Roma, 1983

° Ohler N., Vita pericolosa dei pellegrini nel Medioevo, Piemme, Casale Monferrato, 1996

° Tyerman C., Le guerre di Dio, Einaudi, Torino, 2012



[1] Gn 12, 1-4.

[2] È lo stesso Caino a dire: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!» (Gn 4, 13).

[3] Gn 4, 10-12.

[4] Egli considerava Gerusalemme un luogo vizioso, non diverso da molte altre grandi città.

[5] Mt 15, 8-9. Qui Gesù cita Is 29, 13-14: «Poiché questo popolo / si avvicina a me solo a parole / e mi onora con le labbra, / mentre il suo cuore è lontano da me / e il culto che mi rendono / è un imparaticcio di usi umani, / perciò, eccomi, continuerò / a operare meraviglie e prodigi con questo popolo; / perirà la sapienza dei suoi sapienti / e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti».

[6] Anche noto come Peregrinatio Aetheriae.

[7] AA.VV., Pellegrinaggi, Mondadori Electa, Milano, 2011, p. 182.

[8] N. Ohler, Vita pericolosa dei pellegrini nel Medioevo, Piemme, Casale Monferrato, 1996, p. 285.

[9] Nel 1291, quando ormai la Terra Santa era perduta, la tradizione vuole che alcuni angeli prelevarono la Santa Casa di Nazareth (in cui era vissuto Gesù e la Madonna aveva ricevuto l’annuncio angelico), per portarla nella penisola italica, fino all’odierna città di Loreto.

[10] Cittadina spagnola situata nella Sierra de Altamira; l’origine della chiesa è incerta, ma una tradizione la vuole costruita dai Templari.

[11] Ef 6, 13.

[12] D’altronde questo tipo di delega spirituale non era estranea nemmeno a confraternite come l’Ordine del Tempio, i cui cavalieri (perlomeno i dignitari) potevano delegare a un sacerdote della casa il compito di recitare l’ufficio divino, in quanto gravati dai compiti assegnatigli.

[13] Il pellegrinaggio è (o dovrebbe essere) tale, ma il rafforzamento del termine indica che nonostante i problemi materiali, le persone tendono a non cercare soltanto soluzioni immediate, ma a realizzare uno scopo, che passo dopo passo diviene più grande e assume i contorni della ricerca di una ragione esistenziale. Questa è la natura umana, che il dato storico fatica ad individuare, ma che rimane una costante dell’umanità al di là dei particolarismi spazio-temporali.

[14] Ep. a Lucilio XXVIII, 1.

[15] N. Ohler, Vita pericolosa…, op. cit., pp. 72-73.

[16] Ivi, p. 37.

[17] Inoltre, chi tornava a casa portava con sé una testimonianza scritta del proprio viaggio spirituale e un simbolo noto a tutti del luogo raggiunto; nel caso di Santiago de Compostela, p. es., era (ed è) la conchiglia.

[18] Dall’unione di due termini greci per “ospite” e “ricevo”: lo xenodochio era l’equivalente orientale (ma il termine era utilizzato anche in Occidente) dell’ospizio gratuito per i forestieri.

[19] In ogni caso, se l’ospite non dava segni di volersene andare, si cercava di allontanarlo con porzioni di cibo ridotte e altri stratagemmi.

[20] In particolare, i malati avevano diritto alla carne per tre volte alla settimana e ad attenzioni pari a quelle date ai nobili. Molte erano le attività caritatevoli dei Templari, ma gli Ospitalieri, per esempio, regalavano ogni anno mille pelli di pecore; accoglievano ed educavano gli orfani; regalavano ai poveri sposi due scodelle o le porzioni di due fratelli.

[21] P. es., con il primo concilio Lateranense (1123) Roma e tutti i santuari della cristianità furono protetti dalla Chiesa, pena la scomunica. Con il secondo concilio Lateranense tra i protetti ci furono anche monaci, pellegrini, contadini e persino i loro animali.

[22] N. Ohler, Vita pericolosa…, op. cit., p. 143.

[23] Ivi, p. 207.

[24] Ibidem.

[25] N. Ohler, Vita pericolosa…, op. cit., pp. 148-149.

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