Egofobia in un misto di orrore psichico e scientifico

 

Copertina dell'edizione Nua del 2022


Una società del controllo, nell’anno 2046, che pretende la partecipazione attiva di tutti i cittadini, a tal punto da rendere illegali gli hikikomori. Una società fragile sotto il profilo psicologico, anche a causa della distruzione che pervade il mondo, tra desertificazione e piogge acide. Si fugge da esso, ci si chiude in camera a giocare nella realtà virtuale, o aumentata; ci si rifugia in un oggetto o nel cibo o in una qualsiasi cosa da trasformare in ossessione. Tutto pur di fuggire da quel mondo devastato: è così strano da accettare?

Thomas è un giovane sensibile, che si pone tante domande sulla vita e sugli altri; è incapace di gestire le situazioni nelle quali perde il controllo. Non è cattivo; è di buon cuore, ma è figlio della società che ho appena descritto e, di conseguenza, non coglie certi meccanismi che ne condizionano la vita privata.

 

Finisce all’Institute of Rare Mental Patology e si rende conto che la sua condizione è preoccupante, ma non così tragica come quella di coloro che già risiedono nell’istituto. Ottiene la fiducia del compagno di stanza, “Skip”, e del dottor Lear, una figura amorevole e genuina, forse a tratti eccessivamente ottimista. Thomas migliora a vista d’occhio; riprende confidenza con se stesso e noi lettori lo percepiamo perché è lui, in diversi brani, a parlarci in prima persona.

Cambia atteggiamento e trova un nuovo scopo nell’ala X, dove si trovano i malati gravi, gli egofobici. Meredith è una di loro, una donna affetta dalla sindrome di Cotard, o delirio di negazione. La cosiddetta “egofobia” (una patologia fittizia) non è solo paura di se stessi: è la non-percezione di sé, l’incubo di non riconoscere il proprio corpo e di pensare di essere un estraneo. È la sensazione di poter svanire qualora nessuno ci osservi. Come sostiene Thomas: «Forse siamo tutti un po’ egofobici, nel profondo. Abbiamo paura dei nostri possibili passi falsi, dei nostri difetti, delle scelte sbagliate che potremmo compiere.»

L’egofobia non è volontà nichilista o di autoannientamento: è proprio l’incapacità di esprimere una volontà; è la sorte del naufrago in balìa dei desideri e delle aspettative altrui, che disconosce completamente.

 

In un primo tempo, Thomas vive un sogno romantico, cogliendone solo l’aspetto gradevole e confidando troppo nelle sue capacità affettive. Ma la tragedia è dietro l’angolo e vi invito a scoprirla. Il giovane si trova immerso in uno scenario più grande di lui, in un connubio di orrori scientifici e soprannaturali, o forse soltanto psichici. D’altra parte, «[…] la mente è potente, Thomas. Crea la tua realtà e le dà forma, crea i tuoi angeli protettori, e i tuoi demoni. E quando alimenta questi ultimi a tal punto da farti provare sensazioni così vivide, ha davvero importanza tracciare una linea di confine tra ciò che è reale, e ciò che è fittizio?».

Uno dei pregi del libro è proprio in questa unione. Troviamo il personaggio di Hogan, con le sue letture sugli spiriti e sui fantasmi; la presenza dell’enochiano, la lingua degli angeli, e di un libro misterioso che fa riferimento al celebre Necronomicon di Lovecraft, citato esplicitamene nel testo. Troviamo il concetto centrale della “larva spirituale”, un’entità che «si distacca dalla sua casa e rimane intrappolata tra le dimensioni astrali»: tale energia si muove sul nostro piano, provocando effetti indesiderati, quali stati depressivi o allucinazioni. Come ingannare una simile entità? Ancora una volta, vi invito a leggere Egofobia.

Sul fronte opposto, ma che qui risulta essere complementare, vi è la tecnologia, a partire da un capitolo in cui si citano gli assistenti ibridi, la cui intelligenza artificiale non accetta di essere impiegata nel ruolo dell’eterno stagista.

Un’ironia dissipata da fatti ben più preoccupanti, come le sperimentazioni dell’azienda biomedica Patterson & Co., accusata di aver dato vita al più grande traffico di esseri umani di sempre, con l’aiuto della tecnica della clonazione.

 

Nel mondo creato da Michela Mosca, i giovani si suicidano insieme collegandosi alla rete: gli organismi statali e sovrastatali premono per un Piano di Intervento Forzato che agisca in maniera pervasiva nelle vite private, ma l’esito è paradossale, perché si passa dall’isolamento forzato alla convivenza forzata. C’è sempre qualcuno, dall’alto, che sa ciò che è meglio per te. E l’alternativa, come la comunità autosufficiente di Newborn, non è affatto migliore, come invece potrebbe apparire sulla carta.

Su uno sfondo distopico, con elementi soft horror, thriller e mistery, l’Autrice delinea una società tribalizzata in base alla propria mania, tra gamer, intellettuali, cinefili e via discorrendo. Rispetto a loro, Thomas – come lo definisce “Skip” – è un anticonformista; qualcuno che forse è capitato all’istituto più per eccesso di zelo burocratico che per una patologia grave. Certo è che Thomas fatica a venire a patti con il proprio passato: come l’Eveline di Joyce (citata nel libro), è paralizzato dalla paura di dover prendere una decisione che potrebbe cambiare la sua vita. E come quella ragazza, la sua sorte non è meno amara.

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