In fuga dagli zombie con Rick DuFer
Seneca tra gli zombie (Feltrinelli, 2022)
di Rick DuFer, creatore del canale Daily Cogito, è una lettura filosofica in
chiave pop, aspetto che la rende accessibile a tutti, pur non rinunciando a una
complessità di contenuti. Molti i temi affrontati, strettamente connessi al
mondo in cui viviamo: alla radice del discorso, c’è la volontà di stimolare un
risveglio della coscienza. Nulla di trascendentale: l’attività dell’Autore si
concentra proprio sulla demolizione sistematica del cosiddetto “gurismo”.
Ognuno di noi ha delle preferenze, dei gusti o delle
specifiche idee sul mondo: qualcuno le definisce sovrastrutture; per i più si
tratta di un condizionamento inevitabile, che ci renderebbe in qualche modo
schiavi. Questa però rischia di diventare una scusa per alimentare la nostra
pigrizia intellettuale: «La mia fede calcistica o la simpatia politica
potrebbero essere una manipolazione mentale del marketing o di un bravo
imbonitore, ma la possibilità di mettere in discussione la mia fede e le mie
simpatie non può che essere reale, concreta e vera.»
In termini generali, noi occidentali viviamo vite migliori
rispetto a chi ci ha preceduto solo un secolo fa, tendiamo però a sostare in
una bolla di benessere in cui si alimenta una noia stantia e un disimpegno nei
confronti di se stessi e della società. Come sottolinea DuFer, riempiamo il
nostro tempo con liste di cose da fare o da comprare, «composte non perché
abbiamo cose da fare, ma perché dobbiamo trovare cose da fare.» E così, vicino
a ciò che è utile, aggiungiamo una marea di sciocchezze che diventano il
pretesto per ritardare quello che davvero conta.
Questo aspetto, che riguarda il singolo, si estende ai social
e ai media: il fenomeno dell’infodemia – l’eccessiva circolazione di
informazioni – dilaga, crea in noi desideri che presto ci vengono a noia;
subiamo in modo passivo la somministrazione di libri, serie tv e canzoni senza
che la nostra intenzione di fruirne prenda le redini della volontà.
In questo discorso, ho trovato la critica
allo storytelling molto vicina al mio approccio alla scrittura: non basta
accumulare informazioni e rielaborarle per dire di aver acquisito un concetto in
modo critico. La capacità di analisi e comprensione passa attraverso metodo,
competenza e dialogo tra i saperi specialistici. L’idea del guru o
dell’influencer, che opera come un sacerdote, non dovrebbe ottenere tanto
consenso, in un mondo che è talmente strutturato da rendere vana la pretesa del
tuttologo di turno. Questo almeno in teoria.
D’altra parte, gli influencer ottengono tanto successo
perché, oltre alle strategie di marketing, vanno a colmare i vuoti delle
persone. Ora, noi pensiamo che quel senso di disagio interiore sia qualcosa che
appartenga alla nostra epoca, ma in realtà non ne abbiamo l’esclusiva. Quel
vuoto è l’antica spinta del genere umano a trovare risposte alle grandi domande
sul significato dell’esistenza.
Quando qualcun altro copre quel silenzio,
in certi casi anche un dolore, rinunciamo a cercare una risposta che sia, in
coscienza, nostra: in questa prospettiva, il «supermercato delle identità è il
business del secolo, perché colpisce il vuoto che ogni essere umano sente
dentro di sé, ma invece di riempirlo concretamente lo amplia ancora di più.»
L’Autore riconosce l’odiosità delle
strette gerarchie del passato, che avevano comunque il pregio di creare
stabilità nella vita del soggetto: al contrario, oggi «l’elasticità sociale è
sufficiente da permetterci di diventare quello che vogliamo, ma ciò porta molti
a diventare tantissime cose in pochissimo tempo, a trasformarsi ogni volta in
cui l’ebbrezza del nuovo si trasforma nella noia dell’usato. Se la trappola di
ieri era la gerarchia, quella di oggi è la soddisfazione immediata, lo stimolo
delle serotonine.»
E allora che cos’è lo zombie citato nel titolo? Secondo
DuFer, un tempo era colui che accettava, in maniera acritica, il ruolo che la
società gli imponeva; oggi è chi si convince che qualcosa sia buono sulla base
della soddisfazione immediata che ne riceve, rifiutandosi di uscire dalla
propria comfort zone.
Nella bolla rassicurante che le persone si creano, il
sarcasmo è imperante e mira a distruggere chiunque insinui il minimo dubbio
sulle proprie convinzioni. L’autocritica è abolita e quindi l’ironia stessa
latita: così il sarcasmo e i meme provocano un’ilarità fine a se stessa. Uno
strumento che potrebbe aiutare a scoprire quando “il re è nudo” diviene allora
l’ennesimo “velo di Maya”, un modo per mascherare la realtà e porsi al riparo
da un’autoanalisi.
Insieme all’eccessivo sarcasmo, oggi è
diffuso il vittimismo, che contribuisce allo stesso meccanismo di
mascheramento: «Questa è la tirannia dell’offeso: la tua opinione è sbagliata
perché mi offende, indipendentemente da ciò che mi dici, dal fatto che sia
sorretta da studi clinici, dati scientifici e così via. La dichiarazione di
ritenersi offesi diventa la prova dell’inopportunità di una parola, di un’opinione.
L’individuo offeso è la vittima che, in quanto tale, si ritrova politicamente
dalla parte della ragione.»
È il problema del politicamente corretto,
per cui il soggetto parte dal presupposto della propria infallibilità, non
contemplando minimamente la possibilità di cambiare idea.
Riprendendo il motto di Kant – Sapere aude! – DuFer
sottolinea l’importanza di riappropriarsi della capacità di discernimento con
la ricerca e l’esercizio della curiosità.
In questo percorso, è importante
suddividere i problemi in due categorie: circoscritti e illimitati. I primi possono
essere risolti e affrontati con le opportune competenze, e per questo sono
contemplati anche dalla scienza; i secondi sono il pane quotidiano della
filosofia, ci riguardano in prima persona e richiedono di applicare un «dubbio
metodico.»
Tutto questo richiede un notevole sforzo e
la consapevolezza che il traguardo non sarà mai, davvero, raggiunto. È però un
cammino che bisogna intraprendere: l’alternativa è affidarci a quei finti
sapienti che, anziché mostrare la fragilità e le contraddizioni del processo
cognitivo, offrono al pubblico un senso di sicurezza e di infallibilità. Che
certo rassicura, ma è aleatorio: è flatus vocis votato all’audience.
DuFer cita la protagonista di Kill Bill, Beatrix
Kiddo, che nonostante i soprusi del maestro Pai Mei insiste per diventarne
allieva: oggi si tende invece a voltare la faccia all’idolo che afferma
qualcosa di appena diverso dalle proprie aspettative: «Questa è la condanna
dello zombie odierno: chiudere per sempre la porta al dubbio per aprirsi a un
mondo nel quale troverà senza alcuna fatica, senza spigoli di sorta, la voce
accomodante che lo fa sentire al sicuro e che trasforma l’ignoto in una serie
di problemi circoscritti, fornendo le risposte che già, in cuor suo, credeva
vere e preferibili.»
L’Autore cerca una soluzione a questo
stato di cose in un atteggiamento specifico, che definisce intraprudenza, e che
consiste in un equilibrio tra un’eccessiva convinzione intorno a un’idea e tra
un esagerato esercizio del dubbio, che vanifica ogni azione. Ignorare i
problemi non agendo è «un modo autodistruttivo di vivere», perché rende inutile
il dolore provato: bisogna esporsi a piccoli passi, provare il disagio
dell’imbarazzo e prepararsi così ai dolori più grandi.
In chiusura, DuFer riprende due filosofi stoici, Marco Aurelio e Seneca, e indica in loro un esempio positivo per uscire dallo status di zombie, per riconoscere l’inevitabilità della morte e tornare a «vivere con intenzione» e attiva presenza.
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