Tredici. Un commento alla seconda stagione
Prima di tutto un presupposto. Era necessario proseguire la vicenda di Tredici? La risposta è no. Ma dal momento che nel mondo dell’intrattenimento e dell’arte le necessità si possano creare, analizzeremo la seconda stagione, che in fin dei conti consente di integrare quanto era stato lasciato in sospeso o raccontato solo in modo parziale.
L’inizio della seconda stagione di Tredici è piuttosto lento e chiaramente legato al finale della prima stagione e alla necessità di riprenderne il discorso. Ma fin dal primo episodio cominciamo a scoprire gli altri punti di vista, a loro volta spesso esasperati, come lo erano alcuni pensieri formulati da Hannah. Nel mezzo, forse, la possibilità di costruire una verità. Ma solo di costruire, perché la realtà in esame è stata modificata dai protagonisti a un livello tale da aver perduto per sempre l’effettiva verità dei fatti. E questo è quello che riaffiora episodio dopo episodio: l’impossibilità, spesso, di dividere in modo netto buoni e cattivi; non perché non esistano, ma perché la realtà li rende a volte buoni e a volte cattivi, e per i più svariati motivi.
Cresce nel frattempo il desiderio di vendicarsi, frutto di un rimorso tardivo e dei nuovi atti di bullismo all’interno della scuola. Così la serie si concede alcuni voli pindarici e mette a nudo una violenza talvolta troppo diffusa per essere credibile. Nel complesso, ad ogni modo, la stagione esprime con crudo realismo quel genere di realtà e pur uscendo dagli schemi realistici che si è posta (il counselor violento, la proiezione mentale/fantasma di Hannah, solo per citare due aspetti poco convincenti) convince in questo senso.
Tuttavia dobbiamo parlare delle visioni di Clay: necessarie – d’accordo – ma esagerate nella messa in scena, utili solo a portare Katherine Langford sullo schermo. Inoltre, questo aspetto incentiva l’illusione che la serie invece vorrebbe smascherare: perché se è vero che le persone scomparse lasciano qualcosa in chi continua a vivere, Tredici ribadisce più volte che nonostante tutto Hannah non può più parlare, non può dare spiegazioni, difendersi o fregarsene. Non può e basta. E forse puntare ancora di più su questo aspetto sarebbe servito ad arricchire l’aspetto più drammatico della vicenda, le conseguenze di un annullamento totale e definitivo.
Lo ribadiamo: è tutto esagerato. Che non significa affatto che non sia vero, ma che in quel contesto, per come è stato rappresentato, è appunto tale. Ciò non toglie che Tredici porti avanti tematiche che nessuno affronta in modo così ampio e diretto, tanto meno in una serie tv. Uno dei temi che è stato descritto meglio è il rapporto genitori-figli, con i primi che non conoscono ma tentano di capire. Ma l’incomprensione è più estesa e riguarda anche le amicizie: in generale si dimostra quanto sia illusoria la pretesa di conoscere qualcuno per davvero.
Per non parlare di un altro tema, quello del processo. Dal punto di vista umano è facile affermare che sia colpa della scuola e che quindi questa debba pagare, ma come si lega questo in àmbito giuridico, dove a rigor di logica la colpa risiede tanto nella scuola quanto nella famiglia, negli amici e nella società stessa? Chi dovrebbe pagare effettivamente? Di sicuro la risposta non può essere “nessuno” solo perché non si è in grado di individuare tutti i colpevoli. Di certo, una cosa non esclude l’altra e la serie intende metterlo in rilievo, rinunciando al più facile lieto fine.
Per dare un giudizio complessivo, Tredici si conferma una serie tv a “circuito chiuso”, valida a trecentosessanta gradi solo per chi vive quel mondo oppure possiede una particolare empatia. Questo però non è un pregio, perché il vero pregio sarebbe stato riuscire a comunicare un dato tema ad un pubblico più ampio. D’altra parte, la serie si rivolge agli adolescenti e questo è il suo target primario. Per tale ragione, nel suo “sistema” la seconda stagione di Tredici è una storia solida, che si ripete raramente pur affrontando temi molto simili e che è in grado di rielaborare i concetti in vari modi.
Ci sono poi scene durissime (sopra a tutte la tortura dell’ultimo episodio), ma anche scene distensive e persino catartiche, come la “mega rissa” per il corridoio della scuola, che segna uno spartiacque significativo per la coscienza personale e collettiva delle vittime. Ciò nonostante, il finale si potrebbe persino definire inutile. Dall’inizio della stagione, infatti, chiunque comprende che tutto si concluderà con le armi, che quello è l’altro grande tema di cui bisogna parlare. Tutto però si sarebbe potuto concludere prima dell’episodio finale e il ballo tra Clay e i suoi amici avrebbe potuto degnamente concludere questa serie. Perché non dubitiamo che questi temi debbano essere ancora dibattuti a lungo affinché abbiano un peso sempre maggiore nella società, tuttavia riteniamo che questa particolare narrazione abbia compiuto la propria parabola.
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