L'Artù di Tolkien
Dopo aver letto le conferenze e le lezioni di Tolkien, contenute nel volume The Monsters and the Critics and Other Essays (Il Medioevo e il fantastico), ho approfondito il rapporto dell’Autore con le leggende e con la mitologia nordeuropea.
La caduta di Artù è un’opera poetica incompiuta che rilegge il ciclo arturiano attraverso una lente anglosassone. Composto nei primi anni Trenta e pubblicato postumo nel 2013, il poema propone una visione più tragica della leggenda rispetto alle versioni medievali più note, memore della lezione romantica. Al contempo, fedele a una certa tradizione, Tolkien utilizza il verso allitterativo, tipico di opere come Beowulf (tradotto peraltro da Tolkien in inglese moderno), rievocando l’atmosfera altomedievale in cui si suppone fosse vissuto l’Artù storico.
Il testo ruota intorno alla figura di
Artù, un leader militare britannico che combatte contro l’invasione dei
Sassoni, distanziandosi dalle ambientazioni cortesi e dai temi religiosi del
ciclo arturiano basso-medievale. Lo scenario è sùbito presentato come apocalittico,
da fine di un’era: «Wild blow the winds of war in Britain! | York is leaguered, yielded Lincoln; | unto Kent
kindled the coast blazeth.» E poco più avanti: «the ancient world to its end
falling, | and the tides of time turned against him.»
Il poema esplora temi quali il tradimento,
il senso dell’onore e il destino. Mordred, nipote di Artù, è colui che usurpa
il trono durante l’assenza del re. Di fronte
al caos del presente («[…] Time is changing; | the West waning, a wind rising |
in the waxing East. The
world falters.»), egli si pone come l’uomo forte al potere, capace di cavalcare
le rapide, a dispetto del suo essere «False or faithful».
La figura di Ginevra è ritratta in modo
più umano e meno idealizzato rispetto ad altre versioni, ed è qui preda delle
mire politiche e matrimoniali di Mordred, alle quali lei tenta con astuzia di
sottrarsi, in un primo momento, come a voler valutare le forze in campo e chi
sarà il vincitore.
Lancillotto è invece presentato come un
cavaliere esiliato, tormentato dal suo passato e dalle conseguenze delle
proprie azioni: «He lord betrayed to love yielding, | and love forsaking lord
regained not, | by leagues of sea from love sundered.» È anche colui che cerca
una forma di redenzione (ma è come se si tenesse sempre libera una via di fuga):
«now Lancelot his lord’s battle | should fill with fire as a flame shining.»
Tolkien dà per scontata nel lettore la
conoscenza della storia che lega Ginevra a Lancillotto, e per certi versi asseconda
la damnatio memoriae a cui viene sottoposto il cavaliere, che non viene
menzionato nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth e che
viene appena citato ne Le Morte d’Arthur di Thomas Malory, insieme ai
principali cavalieri della Tavola Rotonda.
All’opposto, sir Gawain è l’ultimo grande
cavaliere rimasto fedele ad Artù, eppure è anch’egli conscio dell’imminente
caduta e delle ragioni che l’avrebbero provocata: «[…] he was for battle eager,
| in idle ease the evil seeing | that had rent asunder the Round Table.»
Ciò nonostante, brandendo l’atroce spada Galuth,
guida le schiere a difesa di Artù e dell’Occidente: «As straw from storm, as
stalks falling | before the rising sun wrathful blazing | his foemen fled. Fear o’ercame them. | From board and beam beaten fell
they, | in the sea they sank their souls losing.»
Il suo destino è in attesa (ed egli lo intuisce),
ma ugualmente Gawain non si sottrae all’azione: un amore – quello di Tolkien
per questo cavaliere – che è evidente nei testi di critica letteraria che l’Autore
ha dedicato al personaggio, per non parlare della traduzione in inglese moderno
del romanzo cavalleresco Sir Gawain and the Green Knight.
La caduta di Artù riflette infine
sulla caducità del potere e sulla fragilità delle istituzioni umane: le vicende
si alternano lasciando al lettore una sensazione di fine imminente, di tragedia,
forse persino amplificata dal finale mai scritto.
«Ever times would change and tides alter,
and o’er hills of morning hope come striding
to awake the weary, while the world lasted.
The hour he knew not, that never after
it would return in time, tempest bringing,
to war calling with the wind’s trumpet.
The tides of chance had turned backward.
their flood was passed flowing swiftly.
Death was before him, and his day setting
beyond the tides of time to return never
among waking men, while the world lasted.»
Rispetto a opere come Le Morte d’Arthur
di Malory, che enfatizzano l’ideale cavalleresco e l’elemento soprannaturale, La
caduta di Artù offre una narrazione più sobria e realistica. L’assenza di
elementi come il Santo Graal e la magia sottolinea l’intento dell’Autore di
riportare la leggenda alle sue radici storiche. Inoltre, mentre Malory presenta
un Artù circondato da cavalieri leali e nobili, Tolkien lo raffigura come un
sovrano isolato, tradito dai suoi stessi familiari.
La sua è una tragedia tutta umana, che
sembra quasi svilire l’eroe, mettendone al contempo in evidenza la dignità nell’affrontare
una sorte inesorabile. Il viaggio verso Occidente di Artù («Haste now
westward!») si colora così di tinte fosche e prelude simbolicamente alla sua
caduta.
Il poema è suddiviso in cinque canti, di
cui l’ultimo è incompleto. La narrazione inizia con la campagna militare di
Artù contro i Sassoni e si sviluppa attraverso le trame di Mordred, la fuga di
Ginevra e l’esilio di Lancillotto.
L’opera rappresenta un’interessante
variazione nella produzione letteraria di Tolkien, e offre una prospettiva inedita
sulla leggenda arturiana, filtrata attraverso la competenza filologica dell’Autore.
La sua lettura mostra anche la versatilità di Tolkien, qui più che mai capace
di mescolare la sua materia d’insegnamento alla produzione letteraria. I
commenti e le analisi di Christopher Tolkien contribuiscono poi a
contestualizzare il poema nella tradizione arturiana, per esempio gettando luce
sui rapporti tra Lancillotto e Gawain nell’intrigo legato a Ginevra, ma anche
sulla spedizione d’oltremare di Artù, mutata dal padre in una campagna per
difendere la Roma cristiana, anziché assalirla. Christopher tenta infine di
ricostruire i frammenti lasciati dal padre, provando a intuire le direzioni in
cui si sarebbe dovuto sviluppare il poema, citando ancora la tradizione. Non manca
neppure un confronto tra l’Avalon arturiana e l’Avallon (prima nota come Tol
Eressëa) del Silmarillion, “paradisi terrestri” collocati nell’oceano
occidentale.
In definitiva, La caduta di Artù non è certo un punto di partenza per chi vuole approfondire la bibliografia tolkieniana, ma è un passaggio che merita la giusta attenzione.
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