Parti e omicidi di Murata Sayaka. Sessualità, maternità e morte in una società futuristica
Sto prendendo confidenza con i racconti
distopici e fantascientifici giapponesi. Tutto è cominciato con l’incredibile Noia terminale (Add, 2024) di Izumi Suzuki e prosegue ora con Parti e omicidi
(Edizioni E/O, 2024) di Murata Sayaka.
Murata, già resa famosa dai romanzi La
ragazza del convenience store e I terrestri, in questa raccolta si
spinge oltre i confini delle convenzioni sociali, parlando di riproduzione,
morte e strutture familiari. Nel suo universo, la normalità è capovolta, con
immagini crude e scenari surreali che sfidano il lettore a riflettere sulle possibili
evoluzioni della società e sui relativi dilemmi etici. Parti e omicidi
mi ha coinvolto per la capacità di mettere insieme il disturbante a uno stile
all’apparenza “innocuo”.
I quattro racconti – Parti e omicidi,
Triade, Un matrimonio pulito e Ultimi momenti di vita –
declinano in modo diverso i temi della natalità, della famiglia e della morte.
Ciascun testo presenta un’idea di fondo intrigante, sviluppata attraverso la
prospettiva intima dei protagonisti.
I racconti
Parti e omicidi è il titolo
eponimo del primo racconto, il più lungo della raccolta, che ci introduce in
una Tokyo del futuro dove il governo ha istituito per l’appunto il “sistema dei
parti e omicidi”, in maniera da contrastare il drammatico calo delle nascite.
In questa società del domani, uomini e donne possono diventare “gestanti”,
ovvero portare a termine dieci gravidanze tramite uteri artificiali. In cambio,
ogni gestante che completi con successo il decimo parto ottiene per legge il
diritto di uccidere una persona a scelta: un cosiddetto “morente”.
Amore e sesso non sono più strumenti di
riproduzione e paradossalmente è l’omicidio a incentivare le nuove nascite.
Murata sviluppa questa premessa seguendo la figura di Ikuko, la quale osserva
con inquietudine la sorella minore Tamaki, una gestante che sta per ottenere la
licenza d’uccidere. Attraverso i ricordi di famiglia e le interazioni in
ufficio, il racconto svela per gradi come la società abbia normalizzato ciò che
un tempo era impensabile.
La struttura narrativa è costruita per
rivelare a poco a poco al lettore le regole di questo mondo distorto. Il testo
è intriso di un’ironia tragica, che emerge in tutta la sua potenza nel finale,
che non vi anticipo. Lo stile è asciutto e chirurgico, e non risparmia dettagli
crudi nel descrivere le scene più violente: tale approccio scioccante non è
fine a se stesso, ma costringe chi legge a chiedersi fino a che punto la
società possa spingersi nel manipolare la vita e la morte per il “bene comune”.
Triade è un racconto in
cui Murata immagina un radicale cambiamento nelle relazioni affettive: la
tradizionale coppia monogama è considerata obsoleta e superata; al suo posto,
si è diffusa e istituzionalizzata la relazione a tre, chiamata colloquialmente
“troppia” (non so ancora se la traduzione mi convinca) e che corrisponde a un
triangolo poliamoroso.
La storia segue le vicende di tre
adolescenti – Mayumi, Makoto e Keita – legati tra loro in una triade amorosa
che essi vivono come normale, mentre appare aberrante agli occhi della
generazione dei genitori. L’Autrice ci immerge nelle dinamiche quotidiane del
trio, descrivendo i momenti di tenerezza e l’intimità condivisa, tra punte di
gelosia e conflitti emotivi. L’espediente narrativo peculiare è l’introduzione
del concetto di “maus”, attorno a cui ruotano i giochi amorosi dei tre ragazzi.
È una sorta di rituale erotico inventato, per certi versi una metafora del
fragile e giocoso equilibrio della loro unione.
Il racconto inscena la collisione
intergenerazionale: la madre di Mayumi si scandalizza; la figlia legge invece
il suo legame come una liberazione dalla gabbia del matrimonio tradizionale. La
tensione esplode in un drammatico litigio familiare, intorno al quale non
rivelo altro. Il tono è quasi diaristico, perché il lettore segue i moti
interiori di Mayumi e le sue riflessioni sul significato dell’amore. Il finale
aperto amplifica – a mio parere – la portata della provocazione dell’Autrice:
leggetelo.
Un matrimonio pulito affronta il tema
del matrimonio e della procreazione immaginando un futuro in cui sesso e amore
sono completamente scissi dalla riproduzione. I protagonisti, Mizuki e
Nobuhiro, sono una coppia sposata che ha stipulato una sorta di patto coniugale
asessuato: vivono insieme in armonia, come coinquilini affiatati, ma hanno
bandito il sesso dal loro rapporto per mantenerlo “pulito” e privo di
coinvolgimento carnale. Tuttavia desiderano avere un figlio.
La trama li segue mentre cercano metodi
alternativi per procreare senza violare il loro voto di castità. Dapprima si
rivolgono a una clinica specializzata nel cosiddetto “Clean Breeding”, dove la
fecondazione avviene in modo completamente medicalizzato e asettico. I costi,
però, sono proibitivi e li costringono a valutare altre opzioni, come
l’inseminazione artificiale fai-da-te. Nel corso della storia emerge che
Nobuhiro non è stato del tutto trasparente sulla propria sessualità e ha
maturato una scissione: sterile nel rapporto coniugale; sordido in quello
extraconiugale. Mizuki, invece, reprime il disgusto e la paura verso il sesso.
La prosa di Murata rimane neutra e
misurata anche di fronte a rivelazioni scabrose, rispecchiando la personalità
razionale e controllata della protagonista. L’episodio culminante – che non vi
descrivo – è certamente quello del concepimento ridotto a procedura
impersonale. Il tema di fondo è originale: in un’ipotetica relazione del
futuro, è possibile tenere separati amore, sesso e procreazione senza
conseguenze psicologiche? Tanta fantascienza ha raccontato di futuri in cui le
nascite sono collegate a laboratori asettici, ma pochi – come Murata – hanno
ragionato sulle fasi intermedie che condurrebbero a quella soluzione.
Questo racconto, pur privo degli elementi
sanguinosi o violenti propri degli altri racconti, è disturbante su un altro
livello: con un espediente narrativo, l’Autrice spinge all’estremo tendenze già
percepibili nella società odierna (calo della libido coniugale, “relazioni
bianche”, solitudine affettiva nella coppia).
Ultimi momenti di vita conclude la
raccolta con l’ennesimo paradosso. La morte naturale è stata debellata dai
progressi medici: da quasi cent’anni nessuno muore più né di vecchiaia, né per
malattia o per incidenti. Nonostante questa conquista, c’è chi desidera
comunque morire: la protagonista del racconto è una donna di trentasei anni che
sente di aver vissuto abbastanza e matura la decisione di porre fine alla
propria esistenza. Il suicidio pianificato è l’unico modo per morire davvero, e
viene persino regolamentato. Murata si figura l’esistenza di manuali illustrati
che elencano tutte le modalità possibili per togliersi la vita, come se fossero
guide di viaggio verso la morte (a dirla tutta, manuali del genere esistevano
davvero nel Giappone degli anni Novanta!).
Svolta una serie di pratiche burocratiche,
seguiamo la protagonista negli ultimi momenti. Si reca in un luogo isolato tra
le montagne (un po’ come fanno i suicidi nella foresta di Aokigahara) e Murata
ci descrive l’esperienza interiore della donna, inclusa la necessità di doversi
giustificare di fronte agli altri per un atto che un tempo era naturale. Non
c’è panico nella voce narrante, anzi: scorgiamo la serenità di chi rivendica
così l’ultimo brandello di libero arbitrio. Lo spunto interessante sta proprio
qui: in questo futuro voler morire è un capriccio da giustificare e questo fa
eco alla realtà attuale, dove il suicidio è spesso stigmatizzato. Qui, però, la
società considera strano chi rifiuta l’immortalità ed è proprio lo sguardo
speculare a costringere il lettore a confrontarsi con le proprie credenze.
Altri particolari sulle tematiche e
sullo stile
Provo a tirare le somme sui contenuti di
questa raccolta. I fili conduttori tematici sono i seguenti: il collegamento
perverso tra creazione e soppressione della vita; la critica ai modelli
familiari convenzionali e la proposta di alternative (poliamore
istituzionalizzato, genitorialità surrogata di massa, dissociazione tra
genitorialità e coppia); la discussione sul ruolo della donna; le modalità con
cui la società affronta o nega la mortalità; la critica del rapporto tra ciò
che viene comunemente considerato normale o deviato.
Di fronte a questa stratificazione di
temi, Murata adotta una prosa volutamente scarna e piana, quasi clinica. Questo
rende la lettura scorrevole e avvicina il lettore ai personaggi come se tutto
fosse normale, amplificando in realtà il senso di straniamento. Murata non si
concede mai lirismi o perifrasi: quando tratta di argomenti disturbanti il suo
tono è pacato e privo di giudizi morali. Lo stile perturbante di Murata si
avvicina così al tono dimesso di autori come Yoko Ogawa e Raymond Carver. Per
la sua minuziosità descrittiva, con caratteristiche grottesche, la scrittrice
si avvicina anche al filone della narrativa weird e al body horror letterario.
Un aspetto che ho trovato significativo è
che l’ambientazione metropolitana (una Tokyo anonima) funge da scenario
universale più che da ritratto di una specifica cultura (pur ribaltata). È così
che le storie diventano fruibili anche da un pubblico estero, perché si possono
trovare “pattern simbolici” come il sacrificio umano per garantire prosperità.
L’Autrice non è soltanto ben inserita nel
panorama letterario nipponico di oggi e del recente passato (Izumi Suzuki, Kobo
Abe, Yoko Tawada, Mieko Kawakami, etc.), ma dialoga anche con gli autori
stranieri. Viene facile fare un parallelismo con The Handmaid’s Tale di
Margaret Atwood: entrambe le opere parlano di un regime sulla fertilità, ma
mentre Atwood mostra un totalitarismo “religioso” che riduce le donne a
incubatrici viventi (in una prospettiva esplicitamente politica e femminista),
Murata immagina un futuro tecnocratico in cui la riproduzione diventa
volontaria ma mercificata (uno scenario più cinico e meno moralista).
È possibile compiere un’altra comparazione
con il racconto breve 2BR02B di Kurt Vonnegut: lì un’umanità del futuro
ha sconfitto l’invecchiamento ma controlla rigidamente la popolazione, per cui
per ogni bambino che nasce qualcuno deve per forza morire. La logica perversa è
simile e inversa a quella di Murata (in Vonnegut la nascita è il premio e la
morte il prezzo, in Murata la nascita è il prezzo da pagare per ottenere un
omicidio-premio), che si inserisce così nel filone fantascientifico sul
controllo demografico e sulla bioetica.
Se, per concludere, volessimo riassumere le tematiche di Murata in un’unica frase, direi che la scrittrice si distingue per la sua critica all’uniformità sociale giapponese (e occidentale?) e alla pressione verso la “normalità”; al contempo, propone diverse alternative, la ricerca di una personale routine di vita che aiuti l’individuo a non omologarsi e a trovare se stesso.
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