Il castello di Otranto. La consacrazione di un archetipo
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Horace Walpole ritratto da Joshua Reynolds (1756) |
Un vecchio castello infestato, il
medievalismo unito a tinte dell’orrore, drammi amorosi che oscillano tra il
teatro romano e quello shakespeariano. The Castle of Otranto fu scritto
da Horace Walpole nel 1764, durante il suo mandato come parlamentare per King’s
Lynn.
L’opera viene considerata il primo romanzo
gotico. E, come quasi tutti i primati, si tratta di una convenzione. Certo è
che l’estetica del libro di Walpole ha ispirato il nascente filone gotico
moderno, non solo in letteratura, ma anche nell’arte, nel teatro e nella
musica. Genere in voga tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, il
romanzo gotico trovò degni eredi in scrittori come William Thomas Beckford,
Clara Reeve e Ann Radcliffe.
La prima edizione del libro di Walpole
alludeva a un manoscritto immaginario, che avrebbe ispirato la storia. Un testo
redatto in italiano a Napoli nel 1529, riscoperto nella biblioteca di un’antica
famiglia cattolica nel Nord dell’Inghilterra e tradotto da tale William
Marshal. Ma già con la seconda edizione, Walpole venne allo scoperto e aggiunse
il sottotitolo A Gothic Story. In parte, gli apprezzamenti iniziali
mutarono in critica e alcuni liquidarono l’opera come bizzarra o persino
immorale.
L’Autore disse di essersi ispirato a un sogno fatto nella sua casa
in stile neogotico, Strawberry Hill House, a Twickenham, a sudovest di Londra.
Il rifacimento dell’edificio era iniziato nel 1749 e richiese diversi lustri.
Walpole era appassionato di storia medievale, ma era anche un proto-esteta:
come scrisse egli stesso, con il romanzo cercò di «fondere due tipi di romanzo,
l’antico e il moderno: il primo è tutto fantasia e inverosimiglianza; il
secondo si propone, e spesso ottiene, di rappresentare la natura.»
La frase si inseriva nel dibattito sulla funzione della
letteratura: ai poli opposti, la scrittura di fantasia e quella naturalistica.
Walpole ambientò la storia in un periodo incerto tra il 1095 e il
1243, ovvero tra la prima e l’ultima crociata. È la vicenda di Manfredi,
signore del castello di Otranto, e della sua famiglia. Il libro si apre con un
lutto, la morte dell’erede Corrado, schiacciato da un gigantesco elmo.
Manfredi vede in questa morte l’avverarsi di una profezia che
annunciava la fine della sua stirpe. La sua reazione è delirante. Non sembra
provare particolare affetto per il figlio defunto, ma è turbato dalle questioni
dinastiche. La moglie, Ippolita, non è più in grado di dargli figli e quindi il
signore si rivolge a Isabella, che era promessa in sposa a Corrado.
Allora, si mette in moto la trama vera e propria. Per certi versi,
frate Girolamo svolge un ruolo analogo a quello di Fra Cristoforo ne I
promessi sposi: tenta di convincere Manfredi a mantenere i nervi saldi e a
essere ragionevole, ma questi è sordo ai buoni consigli.
La vicenda prosegue con l’evolversi di un amore proibito tra il
contadino Teodoro e Isabella, osteggiato da Manfredi. L’arrivo di Federico,
padre della fanciulla, complica l’intreccio, perché i suoi interessi di potere
si mescolano a quelli del signore di Otranto e l’uomo mira a sposarne la
figlia, Matilda. I due sembrano trovare un accordo, ma il destino di Manfredi, sancito
dalla profezia sulla fine della stirpe, è inesorabile e assume un volto spettrale.
Un romanzo shakespeariano
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Illustrazione di Johann Wilhelm Meil, incisa da Johann Friedrich Bolt, per l'edizione stampata a Berlino nel 1794 |
Manfredi rappresenta il sovrano non illuminato, che perde lucidità
alla morte dell’erede e finisce, con le sue mani, per peggiorare la situazione.
Mostra anche tanta fragilità, pur cercando di celarla con la violenza fisica e
verbale.
La moglie Ippolita fa da contraltare: è una donna intrisa di
malinconia; devota al marito e a dio, con la sua fede riesce a sopravvivere
alla malvagità dell’uomo e al suo triste fato.
Una coppia diversa è quella costituita da Teodoro e Isabella. Il
giovane viene presentato come un personaggio secondario, costretto a patire le
ire di Manfredi, ma mostra una certa bontà d’animo e la divina provvidenza – si
potrebbe dire in termini manzoniani – lo fa ascendere a un ruolo primario.
Isabella è invece vittima di un padre e di un suocero mancato, che
la trattano alla stregua di un oggetto, il cui unico scopo è suggellare una più
solida alleanza familiare. È però nell’amore per Teodoro che essa riesce a compiere
la propria volontà, sciogliendo le catene che da sempre la tenevano imprigionata.
Walpole combina elementi fantastici divenuti peculiari
nel romanzo gotico: botole e passaggi segreti, rumori sinistri, ritratti
animati, l’archetipo della casa infestata come simbolo di decadenza o di
cambiamento epocale.
La struttura stessa del romanzo evoca la
teatralità fantastica di Shakespeare. Cinque capitoli, analoghi ai cinque atti
teatrali, che mettono in scena una vicenda costruita soprattutto sui lunghi
dialoghi carichi di enfasi retorica e melodrammatica.
È proprio Walpole, nella prefazione alla seconda
edizione, a lodare Shakespeare «come un
genio veramente originale»,
considerandolo il modello «della
libertà immaginativa». Tra
tutte le opere, risalta la vicinanza all’Amleto, nell’incontro del
protagonista e di Federico con il Fantasma, nel rapporto doloroso con
l’inevitabile fine. Ma la questione della successione dinastica riguarda anche
opere come Riccardo II e Macbeth. Nel romanzo di Walpole, è il
sangue a muovere le azioni sconsiderate di Manfredi: quello versato dal nonno
per prendere il potere, quello del figlio morto per le colpe degli antenati.
Infine, come in Shakespeare, l’atmosfera tragica è
intrisa di ironia, con punte di commedia. I servi shakespeariani trovano una
degna erede nella servitrice Bianca, figura che smorza i toni drammatici della
vicenda, infondendo umanità e naturalezza. Bianca è dunque funzionale a tenere
ancorata una storia fantastica a una realtà quantomeno plausibile.
Walpole. La sua epoca e l’eredità
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Paul Sandby, veduta di Strawberry Hill da sudest |
Nell’Inghilterra del Settecento, Horace Walpole fu
una figura che seppe distinguersi. Parlamentare, storico, collezionista,
architetto e scrittore: prima di realizzare The Castle of Otranto, aveva
pubblicato i compendi biografici Anecdotes of Painting in England
(1762-71).
Nel 1747, acquistò una piccola villa a Twickenham,
che trasformò in una tenuta con elementi gotici di ispirazione medievale. Fu a
Strawberry Hill House che sognò una gigantesca mano in un’armatura, prima fonte
d’ispirazione per il romanzo.
Figlio più giovane del primo ministro Robert
Walpole, divenne poi quarto conte di Orford. Frequentò l’Eton College, dove
conobbe Thomas Ashton, Thomas Gray e Richard West. I quattro consolidarono
l’amicizia nella cosiddetta “Quadruple Alliance”. Walpole proseguì gli studi a
Cambridge, che lasciò senza laurearsi, un anno dopo la morte della madre. Il
giovane partì allora per il Grand Tour, esplorando Francia e Italia con l’amico
Gray. Ritornato, scoprì che il padre aveva perso parte della sua influenza e riuscì
a entrare in Parlamento solo a fasi alterne.
Walpole rimase scapolo e si può considerare un
proto-dandy per la sua eccentricità e per il valore da lui attribuito al gusto
estetico. Era un uomo socievole e dotato di una vasta cultura, esemplificata
dalla sua biblioteca e dalla collezione di opere d’arte. Redigeva cataloghi,
scriveva pamphlet e opere di miscellanea: notevole il corpus delle lettere,
pubblicato un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1797.
In seguito, parte della sua collezione d’arte è stata
acquisita da diversi musei, tra cui il Metropolitan di New York e il Victoria
and Albert di Londra, ma è stata perlopiù dispersa dalla “Grande Vendita del
1842”, tenuta da George Waldegrave, erede ribelle e dissoluto.
L’amore per l’arte e per l’architettura era
condiviso col padre, che si era costruito una residenza di campagna in stile
palladiano a Houghton, nel Norfolk. I Walpole erano una famiglia della recente
aristocrazia, per cui padre e figlio contribuirono con le loro residenze ad
accrescere il prestigio familiare.
Horace si volse al passato e si riferiva a
Strawberry Hill House come la sua «nuova
vecchia casa» e «il
castello che sto costruendo dei miei antenati». I visitatori entravano a nord, attraverso una
grande porta di quercia, che apriva su un cortile recintato. Qui era fornito loro
un opuscolo, pubblicato per la prima volta nel 1884, oppure venivano guidati
dal proprietario o dalla governante, Margaret Young.
Il cortile richiama un monastero e ha la forma di
un chiostro. Entrati nella casa, ci si trova davanti a una scalinata poco
illuminata. Walpole era conscio di come gli effetti luministici e l’armonia dei
colori potessero suggestionare il visitatore.
Nonostante vi siano stanze, come la biblioteca, più
lugubri e medievaleggianti, il proprietario non volle rinunciare alle comodità
e alle raffinatezze moderne, e quindi è possibile visitare ambienti più
confortevoli. Particolare, invece, l’accesso alla galleria tramite un passaggio
stretto, utile a far apparire più ampio lo spazio successivo. Secondo le parole
di Walpole, Strawberry Hill è una «piccola
casa capricciosa, costruita per soddisfare i miei gusti e, in una certa misura,
per realizzare le mie visioni.»
Come per The Castle of Otranto, anche la
sua residenza si sviluppò a partire da un elemento fantasioso. Nel descrivere
il sogno che aveva dato vita al romanzo, Walpole disse che era naturale, per
una persona immersa nelle atmosfere gotiche, fare certe fantasie. Ai tempi di
Walpole, il termine gotico era già stratificato a livello culturale. Nel
Medioevo non erano mancate storie di fantasmi e tragedie come Amleto
erano pervase dallo spirito gotico. Un precursore del romanzo e del racconto
del genere era stato William Baldwin, con Beware the Cat (1550). E nel
Settecento, prima di Walpole, ci furono The Adventures of Ferdinand, Count
Fathom (1753) di Tobias Smollet e Longsword (1762) di Thomas Leland,
che presentavano elementi soprannaturali e terrificanti.
Walpole, tuttavia, riuscì a imporre il proprio
modello e a rompere con l’ordine razionalista che aveva dominato il Settecento,
aprendo al mondo soprannaturale e alla disgregazione inevitabile. Da Ann
Radcliffe a Bram Stoker, da Clara Reeve a Edgar Allan Poe, sono tutti in
qualche modo debitori della formula elaborata da questo nobile, eclettico
inglese.
Bibliografia e consigli di lettura
° Bracken H., The Castle of Otranto, Britannica.it, 21.11.2021
° Conway Morris R., The Gothic Pioneer Horace Walpole Finally Gets His Due, The New York Times, 22.03.2011
° Missing S., The Castle of Otranto by Horace Walpole, The Guardian, 14.03.2010
° Redazione, Analysis of Walpole’s ‘The Castle of Otranto’, UK Essays, 11.08.2021
° Tearle O., A Summary and Analysis of Horace Walpole’s The Castle of Otranto, Interesting Literature, 12.08.2020
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