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Vita e destino di Alexander Sand

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  Genova è diventata Genuaua, l’uggiolio lamentoso di una città abitata da ombre di persone, i genuesis. Si combattono in una lotta fratricida, si impongono gli uni sugli altri, in una dissoluzione anonima e basata sulla forza o sull’inerzia. Il protagonista de Le fortune di Alexander Sand (Zona42, 2023) si racconta in prima persona. Ci riferisce sùbito che la sua storia non è una storia, ma, proseguendo la lettura, mi è rimasto il dubbio che egli, in fondo, rimpianga di non poterne avere una, a dispetto di una certa ritrosia. Nelle prime pagine, si delinea una fragile trama, tra elementi noir e distopici. Sandro è (o vorrebbe essere) un investigatore che ha lavorato per il “mafioso” Giuseppe Bonaparte, emblema del potere corrotto e prevaricatore. Si trova incastrato in una situazione scomoda, con la morte della figlia di Bonaparte, e cerca di sopravvivere con la speranza – l’ultima – di poter raggiungere la madre Luisa in Argentina.   Sandro è inseguito da uomini che cercano

Egofobia in un misto di orrore psichico e scientifico

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  Copertina dell'edizione Nua del 2022 Una società del controllo, nell’anno 2046, che pretende la partecipazione attiva di tutti i cittadini, a tal punto da rendere illegali gli hikikomori. Una società fragile sotto il profilo psicologico, anche a causa della distruzione che pervade il mondo, tra desertificazione e piogge acide. Si fugge da esso, ci si chiude in camera a giocare nella realtà virtuale, o aumentata; ci si rifugia in un oggetto o nel cibo o in una qualsiasi cosa da trasformare in ossessione. Tutto pur di fuggire da quel mondo devastato: è così strano da accettare? Thomas è un giovane sensibile, che si pone tante domande sulla vita e sugli altri; è incapace di gestire le situazioni nelle quali perde il controllo. Non è cattivo; è di buon cuore, ma è figlio della società che ho appena descritto e, di conseguenza, non coglie certi meccanismi che ne condizionano la vita privata.   Finisce all’Institute of Rare Mental Patology e si rende conto che la sua condizione è

L'incubo del grande Nord in Gérard Prévot

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  Gérard Prévot riveste un ruolo peculiare nella cosiddetta “triade del fantastico belga”, in cui compaiono anche i nomi di Jean Ray e di Thomas Owen. Nato nel 1921, si avvicinò al genere soltanto negli anni Settanta, avendo maturato, nel frattempo, una ricca cultura letteraria (Poe, etc.), musicale (Bach, Mozart, Schubert e molti altri) e artistica (Modignani, etc.), che torna spesso nei suoi racconti. Lo scrittore e editore Jean Baptiste Baronian, nume tutelare della casa editrice Marabout, notò sùbito lo stile elegante, la proprietà di linguaggio e «quella sua visione post-romantica». Per Prévot, il fantastico non è un espediente per parlare d’altro o, al contrario, per fuggire dalla realtà: è anzi la continuazione della realtà stessa su un piano più sottile, mai del tutto separato da quello spazio-tempo che siamo abituati a vivere. Nei suoi racconti, come ho già analizzato per la raccolta Il demone di febbraio , il fantastico si pone spesso in continuità con la scienza e con la

Un remake che funziona. Terrore dallo spazio profondo

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  Nel classico del 1956, L’invasione degli ultracorpi diretto da Don Siegel, ispirato all’omonimo romanzo di Jack Finney, la critica aveva intravisto tanto una metafora anticomunista che antimaccartista, in linea con il clima politico americano degli anni Cinquanta. Il pregio del remake del 1978, diretto da Philip Kaufman, è di trovare un punto di incontro tra queste due critiche, concentrandosi sul tema del conformismo. Tra gli interpreti, un Donald Sutherland in stato di grazia, il buon Leonard Nimoy (chiamato anche qui a un ruolo da raziocinante puro), un giovanissimo Jeff Goldblum e Brooke Adams, la quale – per quanto mi riguarda – avrebbe meritato una carriera con molte più interpretazioni.   Il film del 1978 è forse ancora più cupo della prima trasposizione. Ambientata in una San Francisco apparentemente normale, la pellicola esplora la sottile discesa della società in un incubo distopico. Uno degli aspetti più inquietanti è la lenta presa di coscienza dei protagonisti; la

Parole, memoria, divergenza nel Fahrenheit 451 di François Truffaut

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  «L’unico modo per sentirci felici è essere tutti uguali.» È il concetto espresso dal capitano dei vigili del fuoco, rivolgendosi al protagonista Montag. Bisogna diventare tutti ignoranti, ripudiare la lettura, perché essa fa sentire il lettore superiore agli altri e ciò crea disarmonia nella società. È necessario che i libri si consumino tra le fiamme, sostiene il capitano con in mano una copia del famigerato volume scritto dall’imbianchino austriaco (curiosa ironia della sorte per l’opera di uno dei più famosi distruttori di libri della storia!). Nella società ideata da Bradbury (citato nel film con le sue Cronache marziane ), e qui interpretata da uno dei maestri nella nouvelle vague, sono le parole a spaventare nel loro complesso. In particolare, le parole che conducono alle lacrime, anche se per la commozione di fronte a qualcosa di terribile e sublime. Le parole risvegliano emozioni che scuotono da dentro: le amiche della moglie di Montag non vogliono ascoltare la lettur

Miguel Serrano e il Cordone dorato. La mitizzazione dell'hitlerismo

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  Tenetevi forte, perché questo sarà un viaggio davvero mirabolante, tra centri esoterici tibetani e teoria della terra cava, passando attraverso il templarismo e la tradizione tantrica. Al centro di questo cammino, troviamo il cileno Miguel Serrano, che può essere considerato l’iniziatore del nazismo esoterico, o quantomeno colui che ha contribuito, nel secondo Novecento, a definirlo. Diplomatico, esoterista e dichiarato nazionalsocialista, Serrano è una figura che ha cercato di mettere insieme tradizioni molto distanti, riconducendole alla mitologia degli Iperborei. Egli conobbe di persona figure come Carl Gustav Jung e Hermann Hesse: proprio a cena da quest’ultimo, sostenne di essere stato introdotto nel cosiddetto “Cerchio Ermetico”, o magico.   In questa analisi delle sue teorie, prenderò in esame soprattutto il libro intitolato Il cordone dorato , edito nel 1978 e dedicato a Rudolf Hess, considerato da Serrano “imam” del nazismo esoterico. Il titolo rimanda alla Catena Au

Parliamo della Premio Nobel per la letteratura 2024: Han Kang

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Avevate letto qualcosa della scrittrice sudcoreana Han Kang prima che ottenesse il Premio Nobel? Io l’ho scoperta con Convalescenza (Adelphi, 2019), una raccolta di due racconti: quello che dà il titolo all’edizione italiana e Il frutto della mia donna , rispettivamente del 2013 e del 1997. Premetto che questo non è un articolo per discutere dello spinoso tema dei premi letterari, nazionali e internazionali: specifico soltanto che, per quanto mi riguarda, pur apprezzando alcuni elementi della scrittura di Han Kang, non penso che meritasse il Nobel più di altri scrittori viventi o scomparsi di recente ( Cormac McCarthy , etc.). Qui mi limiterò a raccontare i suoi libri, con ciò che mi hanno lasciato.   Convalescenza ; Il frutto della mia donna   Nel racconto Convalescenza , la scrittrice impiega l’insolita seconda persona singolare: si rivolge alla protagonista Jeong, ma l’artificio letterario tende a infondere al lettore una maggiore empatia per il personaggio. Jeon rima