Tensione e spregiudicatezza de Lo squalo di Peter Benchley
Il 1974, anno di uscita de Lo squalo
(Jaws) di Peter Benchley, era un periodo di profonde trasformazioni per
gli Stati Uniti; erano gli anni successivi alla guerra del Vietnam e allo
scandalo Watergate, eventi che avevano minato la fiducia del pubblico nelle
istituzioni e alimentato un diffuso clima di cinismo. La società statunitense
attraversava una fase di incertezza; l’economia era in difficoltà, con un’alta
disoccupazione e l’inflazione; si registrava un aumento dei divorzi e il
disincanto verso le autorità.
In questo contesto, la vicenda di una
comunità minacciata da un pericolo invisibile e mortale risuonò in maniera
inedita: un piccolo governo locale più preoccupato degli affari che della
sicurezza dei cittadini ricordava fin troppo bene i recenti imbrogli politici,
e la paura irrazionale scatenata dallo squalo sembrava canalizzare un sentimento
strisciante e condiviso. Benchley seppe cogliere questi stati d’animo (in
fondo, aveva a che fare in modo indiretto con la politica, avendo scritto
alcuni discorsi per il presidente Lyndon Johnson negli anni Sessanta),
incanalandoli in una storia che parla di paure primordiali.
Bisogna ricordare anche che nei primi anni
Settanta la sensibilità ambientale di massa era appena agli inizi. Come notò
l’Autore anni dopo, all’epoca l’unico squalo buono era quello morto. Erano
creature poco conosciute e ancor meno comprese dal grande pubblico. Il romanzo
cavalcò questo timore di qualcosa di ignoto, presentando un predatore marino
inarrestabile e letale.
Fin dalla scena iniziale, con l’attacco
brutale a una bagnante solitaria di notte, il lettore viene posto di fronte a
un pericolo che proviene dagli abissi marini. Lo squalo qui non è solo un
animale; accanto alle descrizioni zoologiche, esso rappresenta un “mostro”
implacabile che incarna un male impersonale e inarrestabile. Benchley dedica
grande attenzione a delinearne la presenza minacciosa, con dettagli anatomici e
comportamentali che accrescono il senso di minaccia e di invincibilità. Chi mai
prima aveva pensato a uno squalo in termini tanto mostruosi?
Gli abitanti di Amity sperimentano
l’angoscia di non sentirsi più al sicuro e il panico erode un tessuto sociale
già sfibrato. Il terrore di essere preda è il motore della trama e della
tensione narrativa. Lo squalo rappresenta la forza della natura selvaggia,
indifferente alla morale e alle regole; l’essere umano scopre così di non
essere il dominatore incontrastato del suo ambiente. Questo conflitto tra uomo
e natura echeggia, nella cultura letteraria americana, il tema di Moby Dick:
il personaggio di Quint, il cacciatore di squali, è facilmente accostabile al
capitano Ahab per la sua ossessione nel dare la caccia al grande squalo bianco.
D’altra parte, quest’ultimo uccide per fame e per istinto, non per un’innata
malvagità; è semmai l’essere umano a invadere il suo territorio.
Un elemento chiave nel romanzo è poi la
tensione tra interessi economici e sicurezza pubblica. La località immaginaria
di Amity vive di turismo estivo, ed è dipendente dalle spiagge aperte e dai
visitatori. Quando avvengono i primi attacchi, il capo della polizia Martin
Brody propende per la chiusura degli stabilimenti, ma si scontra con un muro di
negazione e di ostilità da parte delle autorità locali e degli operatori
turistici. Il sindaco Larry Vaughn incarna questo conflitto: teme che la
notizia degli attacchi rovini l’afflusso dei vacanzieri e per questo minimizza
il pericolo. Se lo squalo è qui un mostro, certo l’avidità e l’omertà
costituiscono un moloch molto più minaccioso. Secondo un lettore inaspettato,
Fidel Castro, Lo squalo può essere letto come una metafora della
corruzione del capitalismo. Solo di fronte a una violenza innegabile le
autorità sono costrette a intervenire, ma ormai il danno è fatto.
Nel tratteggiare la crisi della cittadina,
Benchley include una riflessione sul ruolo dei media, dall’iniziale
insabbiamento a fattore di ulteriore caos, quando i giornalisti corrono per
l’isola in cerca di scoop e i turisti fanno a gara per avvistare la creatura.
Il romanzo mostra quindi due facce dei media: da un lato la tentazione di
manipolare o sopprimere l’informazione per interessi (qui la stampa locale),
dall’altro l’inevitabile amplificazione emotiva che accompagna la copertura
sensazionalistica di eventi tragici (portata avanti dalla stampa nazionale). La
presenza delle telecamere trasforma la tragedia in uno spettacolo per il resto
del Paese, acuendo il senso di assedio per gli abitanti. Benchley, che oltre a
romanziere era stato anche giornalista, tratteggia una verità amara quando
rammenta che la gestione di un’emergenza incontra pericoli tanto nel silenzio
quanto nel clamore.
Benchley popola Lo squalo di
personaggi umani imperfetti e sfaccettati, spesso in conflitto tra loro oltre
che con il predatore marino. I tre protagonisti maschili – Martin Brody, Matt
Hooper e Quint – formano un trio eterogeneo per carattere, classe sociale e
visioni del mondo. Ognuno di loro, a modo suo, vive un percorso narrativo nel
confrontarsi con lo squalo e con le proprie paure interne. Il romanzo infatti
dedica ampio spazio alle dinamiche interpersonali tra questi individui
costretti a collaborare, mettendone in luce evoluzioni e debolezze.
Brody è un uomo comune, un capo della
polizia ligio al dovere, posto fin da sùbito di fronte a un dilemma morale, risolto
per così dire dalla sua impotenza forzata (deve cedere all’ordine del sindaco,
nonostante i suoi timori). Sul piano personale, egli attraversa una crisi
matrimoniale latente e il tormento emotivo lo logora quasi quanto la caccia
allo squalo, rivelando le insicurezze dell’uomo dietro la divisa. In seguito,
la sua figura evolve in quella dell’eroe riluttante, mosso fondamentalmente dal
senso di colpa e dal desiderio di riscatto.
Matt Hooper è un giovane biologo marino
che proviene da una famiglia benestante e porta con sé un mix di competenza e
spavalderia giovanile. Nel corso degli eventi, tuttavia, la sua sicurezza viene
scossa: pur fornendo conoscenze preziose (sua l’idea di una gabbia subacquea
per affrontare lo squalo), Hooper commette anche errori di valutazione,
sottostimando la ferocia e l’astuzia dell’animale. La tensione tra lui e Quint
rappresenta lo scontro simbolico tra scienza moderna e saggezza pratica “da
vecchio lupo di mare”. Egli in qualche modo pecca di hybris, mescolando
arroganza scientifica e leggerezza morale (si pensi alla liaison con Ellen), e
soccombe in maniera tragica.
Il vecchio Quint ha invece un’aura
leggendaria; vive di pesca d’altura, è temuto e rispettato in paese, e attorno
al suo passato circolano storie al confine tra realtà e mito. È una figura
(almeno all’apparenza) cinica e spregiudicata, che nutre comunque un certo rispetto
per il pescecane quale degno avversario. Durante i giorni a bordo dell’Orca, la
dinamica tra Quint, Brody e Hooper è tesa e affascinante: Quint tratta gli
altri due con aperto disprezzo (Brody è un cittadino incompetente e Hooper un
fricchettone viziato). Ciò dà luogo a scontri verbali, ma anche a momenti di
cameratismo grezzo quando l’azione incalza. In Quint arde un fuoco interiore,
che ne rivela il coinvolgimento personale sempre più forte, ossessivo, che lo
rende così un eroe tragico.
Lo squalo è prima di tutto
un thriller d’intrattenimento, ma negli anni – complice certamente l’uscita del
film di Spielberg – ha dato vita a numerose riletture, come con
l’interpretazione suggerita in apertura a questa analisi, che farebbe dello
squalo una metafora che riassume i timori di un’epoca. Per quanto legittime
siano le ulteriori interpretazioni che si fanno di un’opera, è bene
sottolineare che Benchley non intendeva caricare il romanzo di significati
allegorici complessi: Lo squalo nacque dal suo interesse per gli squali
e dalla domanda su che cosa sarebbe accaduto se uno squalo avesse attaccato una
comunità turistica. Un soggetto chiaro e genuino (dopotutto non è da queste
idee “semplici” che nascono le buone opere?).
Le letture simboliche vanno dunque prese
con misura, come spunti di riflessione sulla base delle suggestioni offerte dal
testo. L’opera funziona prima di tutto come racconto di suspense, ma il
contesto in cui esplose il suo successo e la sua struttura (la comunità in
crisi, le autorità inaffidabili, l’eroe riluttante) offrono terreno fertile per
le interpretazioni sociologiche, pur con il giusto senso della misura.
Nel 1975, appena un anno dopo la
pubblicazione, Lo squalo approdò sul grande schermo con il celebre film
diretto da Steven Spielberg. Potete trovare molti articoli sulle analogie e
sulle differenze tra film e romanzo, e sull’impatto culturale che ebbe la
pellicola, ma qui preferisco concentrarmi sulla genesi del libro, forse meno
conosciuta.
Come accennato, la scintilla per questo
suo primo romanzo venne a Benchley dalla passione per gli squali: egli rimase
affascinato dalla storia di un pescatore di Montauk, New York, un certo Frank
Mundus, che nel 1964 catturò un gigantesco squalo bianco di oltre due
tonnellate. Inoltre, conosceva gli episodi leggendari degli attacchi di squali
del Jersey Shore del 1916 (citati nel romanzo), quando una serie di aggressioni
mortali seminò panico tra i bagnanti. Questi elementi si fusero
nell’immaginazione dell’Autore e si figurò una cittadina assediata alla vigilia
del fine settimana del 4 luglio. Nel 1971, propose l’idea all’editore
Doubleday, che fiutò il potenziale e gli commissionò il romanzo, che uscì nel
febbraio del 1974.
In principio né l’Autore né l’editore si
aspettavano il fenomeno che ne sarebbe derivato, perché si trattava dopotutto
di un’opera prima. Eppure, complice anche un’abile campagna di marketing, il
libro decollò e rimase in classifica sul New York Times per ben quarantaquattro
settimane consecutive. Quando uscì l’edizione economica tascabile nel 1975, in
contemporanea strategica con il lancio del film, le vendite impennarono
ulteriormente, con milioni di lettori che resero il romanzo un best seller
globale. Si stima che Lo squalo abbia venduto nel complesso oltre venti
milioni di copie, entrando così nell’immaginario collettivo.
Va detto che la critica letteraria accolse
il romanzo con recensioni miste. Molti riconobbero all’Autore il merito di aver
scritto una storia di suspense efficacissima; altri però giudicarono lo stile e
i personaggi in maniera meno lusinghiera, al punto che il Time Magazine bollò
l’opera come a tratti banale e con dialoghi poco credibili, paragonando il
finale a una versione in vasca da bagno di Moby Dick.
Insomma, Lo squalo non è non vuole
essere grande letteratura, ma è un’opera perfetta da leggere in estate, nonché
un thriller a tinte horror valido per tutte le stagioni e un libro seminale
degli anni Settanta.
A suo tempo, il successo del romanzo portò con sé anche controversie e conseguenze inattese. Da un lato, scatenò una sorta di fobia collettiva per gli squali e – si narra – molte località balneari registrarono un calo nelle presenze in acqua e si diffusero storie di avvistamenti a non finire. Contestualmente, aumentò la caccia sportiva ai grandi squali, praticata non solo da professionisti ma anche da pescatori dilettanti in cerca di “mostri marini” da uccidere. Con il passare degli anni, Benchley si rese conto con un certo rimorso di aver involontariamente alimentato nell’opinione pubblica l’idea dello squalo come incarnazione del male. A tre decenni di distanza, prese posizioni molto nette, divenendo attivista per la conservazione marina e sfruttando la propria notorietà per educare la gente sul fatto che gli squali reali non siano i mangiatori d’uomini dipinti dal suo romanzo. Forse si può pensare al romanzo sotto una luce meno critica: Lo squalo nasce da un’autentica fascinazione per queste creature e se è vero che ha terrorizzato generazioni di lettori e di spettatori, alla fine ha anche contribuito a far nascere un dibattito sulla tutela di specie fondamentali per l’ecosistema marino.
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