Carrie. Che cosa cambia nei remake horror
Remake del celebre film diretto da Brian De Palma, tratto
dal primo romanzo di Stephen King. Le premesse ci sono tutte, ma il risultato non
è dei migliori. Premetto: il film si salva, andatevelo a vedere, ma solo se
avete idea di chi sia Carrie White.
C’è una serie di elementi negativi che contribuiscono a
minare la riuscita del film: il principale, forse, è la mancanza di
originalità. Questo film sembra la copia “rimodernata” del film del 1976. Una riproposta
passiva e priva di mordente, con l’unica aggiunta di smartphone e portatili,
sulla scia – per intenderci – della serie televisiva Hannibal.
Su questo aspetto vale la pena fare una riflessione.
Esiste un gruppo di persone che afferma che il film sia qualcosa d’altro
rispetto al libro, e che quindi si possano accettare delle forzature di
carattere temporale. Esiste poi un altro gruppo di persone – come me – che pensano
che questo genere di forzatura vada oltre la semplice attualizzazione, dal
momento che cambia l’intero modo di relazionarsi dei personaggi. Ne cambia la
storia, le emozioni. È inutile negare che la comunicazione di quarant’anni fa
sia diversa da quella di oggi e che le relazioni stesse corrano su linee
diverse.
Detto questo, telefonini e portatili sono stati dosati
nel modo giusto, senza spingersi troppo oltre. Ma, mi viene da dire, tanto valeva
non farne uso. A meno che non si sia voluto avvicinare a tutti i costi un
pubblico che ha sempre più bisogno di sentirsi a suo agio di fronte a un
horror, piuttosto che privo di certezze.
Se poi aggiungiamo alla mancanza di originalità, il fatto
che le scene violente non erano niente di più di ciò che può offrirci una
puntata media di CSI, allora la situazione diventa critica.
Bisogna chiedersi dove si trovi l’orrore, persino che cosa sia. Ho letto e sentito molti commenti a
questo proposito: persone che affermano che lo splatter nel film è banale, che a parte il finale sembra di guardare una
commedia romantica, e via dicendo. Il commento più traumatizzante è stato: la
storia ha una trama ridicola. Stephen King, come rispondiamo?
Io rispondo salvando questo film sotto due aspetti. Il primo:
le ottime interpretazioni di Julianne Moore, versione acqua e sapone, e Chloë Grace
Moretz, che non è affatto nuova ai remake horror. Per quanto mi riguarda, il
film merita di essere visto solo per l’interpretazione di Grace Moretz. Che non
ha niente da spartire con Sissy Spacek (interprete di Carrie nel 1976), proprio
perché parlano del personaggio da due punti di vista diversi, ma complementari.
Sissy Spacek mostra la vera rabbia, l’odio,
la miseria umana altrui: Sissy Spacek la guardi nel film… e fa paura.
Chloë Grace Moretz, al contrario,
fa tenerezza. Mentre nella versione di Brian De Palma tifi per Carrie, ma,
forse, con delle riserve, in quest’ultimo adattamento, invece, tifi per Carrie
senza alcun dubbio. Da un lato perché le espressioni dell’attrice sono
perfette, ti immedesimi in lei; dall’altro perché ormai viviamo in un tempo in
cui la maggior parte delle persone non si fa problemi ad odiare e a vendicarsi
quando questo sembra giusto. O comporta un avanzamento sociale.
E questo ci porta al secondo aspetto positivo del film. Il
personaggio stesso. E con lei il significato di horror. A chi critica il film perché
non fa paura rispondo che sì, sono d’accordo che la resa del film sia alquanto
discutibile, ma che non lo è affatto l’essenza della storia. Perché? Per i temi
trattati, che vanno “banalmente” dal bullismo all’esclusione del diverso. E non
è forse questo uno dei temi eternamente attuali, ben oltre il semplice utilizzo
di tecnologie più moderne?
Forse l’unico aspetto veramente superato, o non più
sentito, è quello religioso. Guardando la madre di Carrie ci si chiede solo
perché non sia rinchiusa in un manicomio, invece di renderci conto che nel
contesto storico del romanzo quella figura aveva una sua controparte nella vita
reale. Ecco allora dov’è insito l’orrore: mai in Carrie, la vittima sacrificale
che diventa carnefice senza volerlo, la ragazza della porta accanto nella quale
vogliamo riconoscerci… l’emblema della diversità di ogni epoca.
No, l’orrore è da tutt’altra parte, è nei compagni di
scuola, nei falsi amici, nelle persone che pensano di fare il nostro bene,
condannandoci a crimini ben peggiori.
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