Da Crichton a Spielberg. Jurassic Park
Il mio Io-bambino, dopo tanti anni, ha
sentito l’esigenza di andare alla Fonte del soggetto Jurassic Park, e
così ho letto il romanzo di Michael Crichton uscito nel 1990. Dopo alcuni
capitoli abbastanza familiari, la storia ha preso una piega abbastanza diversa
rispetto alla ben nota pellicola di Spielberg del 1993. E di questo volevo
scrivere quest’oggi, in maniera non sistematica e così come mi guida la memoria
(per gli elenchi puntati, rivolgersi a Wikipedia e alle chatbot).
Crichton offre al lettore una narrazione
decisamente più tecnica e dettagliata rispetto al film. Qualcuno potrebbe
pensare al tema della clonazione, ma no: più che discutere di questi
particolari, l’Autore è coinvolto in tutta una serie di tecnicismi informatici,
tanto da riportare sulla pagina una serie di comandi, che all’epoca –
soprattutto a un pubblico di massa – dovevano apparire ancora più
fantascientifici dei dinosauri clonati dalla InGen sull’Isla Nublar.
Davvero, questa attenzione mi ha sorpreso,
a tal punto che i dettagli tecnici della clonazione passano in secondo piano e
vengono accennati solo quando comportano delle conseguenze all’interno della
trama (i dinosauri sono tutti femmine ma si riproducono; i codici genetici dei
dinosauri vengono “completati” con codici di altri animali; etc.).
Poi abbiamo il personaggio di John
Hammond. Nel film è un nonnetto affettuoso e idealista, interpretato da Richard
Attenborough, con quello sguardo vispo del furbacchione che, tuttavia, non
farebbe male a una mosca. Di proposito, almeno.
Ecco, nel libro Hammond è uno spietato
imprenditore, ossessionato dal profitto in una maniera da fare schifo e i toni
più cupi del romanzo lo mettono in evidenza: lo stesso parco non è che una
«piattaforma di lancio di tutta una serie di iniziative», come racconta al
genetista Henry Wu: «Abbiamo già affittato un enorme appezzamento nelle
Azzorre, per il Jurassic Park europeo. E sai, abbiamo ottenuto tempo fa
un’isola vicino a Guam per il Jurassic Park giapponese. […] Non vedo perché
dovremmo preoccuparci degli animali di compagnia dei bambini, che Lew Dodgson
crede siano nei nostri programmi.»
Dodgson è lo scienziato che corrompe
l’informatico Dennis Nedry affinché rubi gli embrioni del parco e che si figura
dei dinosauri nani come animali da compagnia. Un’idea in realtà ripresa dallo
stesso Wu, che se li immagina come animali domestici che possano mangiare solo
scatolette prodotte dalla InGen. In altre parole, i dinosauri non vengono
considerati come esseri viventi, ma come brevetti. Su questo punto, investitori
e scienziati sono tutti d’accordo.
È tra Wu e Hammond che vi sono sottili
differenze. Lo scienziato propone di migliorare i dinosauri, ovvero di
modificarne il codice genetico per addomesticarli, ma il magnate afferma che le
persone si aspettino «l’articolo genuino». Wu tenta invano di rimuovere il
disincanto di Hammond: «Qui non abbiamo ricreato il passato. Il passato è
svanito e non può essere ricreato. Non esiste più. Noi qui abbiamo ricostruito
il passato. E sto solo dicendo che possiamo farne una versione migliore.»
Ma Hammond si prende gioco dello
scienziato, strappato a suo dire a una misera carriera accademica, con scarsi
fondi e poche possibilità di fare la differenza. In particolare, in un dialogo
con lui mostra apertamente la sua natura: «Se tu dovessi avviare una società di
bioingegneria, Henry, che faresti? Fabbricheresti prodotti per aiutare il
genere umano, per combattere infermità e malattie? Ahimè, no. Questa è un’idea
terribile. Proprio terribile. Un uso assai povero della nuova tecnologia.»
Hammond è una figura che calpesterebbe
chiunque, parenti inclusi, e infatti si tiene alla larga dai nipoti in tutti i
modi e non sembra molto dispiaciuto quando questi finiscono tra i dispersi.
Sono solo l’ennesima seccatura da risolvere.
A proposito dei due, nel romanzo Tim è il
fratello maggiore nonché appassionato di computer, e svolge un ruolo importante
verso la fine, mentre Lex non si capisca bene che funzione abbia, a parte
ripetere nei momenti meno opportuni il suo mantra: «Ho fame.» Se proprio
volessi essere meno cattivo, si potrebbe dire che Lex contribuisca a rendere
Tim meno introverso, un po’ stuzzicandolo e un po’ parlando apertamente dei
problemi familiari, tema che Tim sembra voler evitare.
Il rapporto tra personaggi che ho
apprezzato di più è però quello tra Hammond e Ian Malcolm. Malcolm è un
matematico esperto di teoria del caos, e il romanzo stesso è costruito anche
come una dimostrazione narrativa di quella teoria. Ogni parte del libro si apre
con una cosiddetta “iterazione”: nel contesto della teoria del caos è la
ripetizione di un calcolo, che parte da un valore iniziale e lo rielabora
ciclicamente. Le iterazioni del libro servono a mostrare come piccoli
cambiamenti iniziali possano produrre risultati imprevedibili, anche in sistemi
apparentemente controllati come quello del Jurassic Park. È il famoso “effetto
farfalla” e ogni iterazione mostra come il sistema-parco abbia compiuto un
salto verso la destabilizzazione. I capitoli ambientati nella sala di controllo
dovrebbero fungere da contraltare alle iterazioni e invece non fanno che
confermarne l’assunto.
Un ulteriore sviluppo narrativo è dato
dalle iterazioni con grafici a spirale, che si riferiscono al concetto di
attrattori strani nella teoria del caos e indicano che il sistema ha una forma
sottostante, ma non è prevedibile nei dettagli. In pratica: c’è ordine nel
caos, ma non è dominabile.
Secondo Malcolm, per secoli la scienza è
stata un’impresa nobile: «Gli scienziati hanno sempre ignorato i confini
nazionali, tenendosi al di sopra delle transitorie questioni politiche e
perfino delle guerre. Si sono sempre ribellati alla segretezza della ricerca e
hanno persino sollevato obiezioni all’idea di brevettare le loro scoperte
giacché consideravano la loro opera come un servigio reso all’umanità tutta.»
I veri scienziati si tenevano lontani
dalle logiche del denaro, della politica e della proprietà intellettuale.
Lavoravano per l’umanità e non per i dividendi. In passato, c’era persino un
certo snobismo nei confronti dell’industria: la ricerca pura era considerata
superiore, un’attività di pensiero, di contemplazione del reale.
Ma oggi quel muro è crollato e la scienza
è intimamente collegata all’economia e all’ambizione personale. L’industria ha
assorbito il sapere, lo ha brevettato e commercializzato. E il potere che ne
deriva è stato distribuito senza disciplina e senza maturazione morale. È un
potere ereditato che non ti plasma e di cui si finisce per abusare: «La maggior
parte dei poteri richiede un sostanziale sacrificio da chiunque li voglia. C’è
un apprendistato, una disciplina che dura molti anni. Qualsiasi tipo di potere
tu voglia. […] Una volta che l’hai ottenuto, è il tuo potere. Non può
venire trasmesso: risiede in te. È letteralmente il risultato della tua
disciplina. […] La disciplina necessaria per ottenerlo ti cambia al punto che
non ne abuserai. Ma il potere scientifico è come una ricchezza ereditata:
ottenuta senza disciplina.»
La scienza procede invece per
accumulazione e, prima ancora di capire ciò che si è scoperto, si sta già
pensando a brevettarlo e a venderlo. Eppure, ogni scoperta non è mai neutra: «Anche
la pura scoperta scientifica è un atto aggressivo, penetrante. Richiede grandi
attrezzature e cambia letteralmente il mondo. Gli acceleratori di particelle
feriscono la terra e lasciano scorie radioattive. Gli astronauti lasciano
rifiuti sulla Luna. C’è sempre qualche prova che gli scienziati erano là, a
fare le loro scoperte. La scoperta è sempre uno stupro del mondo naturale.
Sempre.»
Malcolm nega che vi sia stato un progresso,
ma solo un accumulo di sapere privo di saggezza. Potere senza responsabilità,
come esemplificato dalla clonazione dei dinosauri.
Appurata la filosofia sottesa all’opera, vengo
ora al discorso sulla violenza. Il romanzo riserva al lettore non poche scene
crude, del tutto assenti nel film. Penso per esempio all’uccisione di Wu da
parte dei velociraptor (già, la backstory sullo scienziato doppiogiochista è
tutta cinematografica), ma che dire della scena iniziale in cui la bambina
viene attaccata dai procompsognathus (scena ripresa nel secondo film), oppure
dei neonati uccisi nelle culle? Brani come: «Con un pigolio appena udibile un
lucertolone si chinò e, con un rapido movimento del capo, strappò un brandello
di carne dal neonato.»
Non sono meno cruenti gli arti amputati,
le sanguisughe e le prede sedate e mangiate vive dal dilophosaurus.
Dopodiché ci sono varie sequenze nel
romanzo che non trovano corrispondenza nel film. Una di queste è la fuga di
Grant, Tim e Lex su una zattera, inseguiti da un T-Rex: qualcuno direbbe che
nel film è assente per la difficoltà dell’epoca di ricreare la scenografia e
portare avanti le riprese, ma sinceramente stiamo parlando dello stesso regista
di perle d’azione come Indiana Jones, per cui la realtà è che fu una
scelta dettata dallo script e dalla distribuzione del budget.
Quella scena mi è rimasta impressa anche
perché Crichton ci fornisce una serie di dettagli realistici e quasi buffi che
sono assenti nella drammatizzazione di Spielberg. Penso a quando il terzetto
cerca di mettersi in salvo sulla zattera nella maniera più silenziosa
possibile, perché il T-Rex sta dormendo. E leggiamo descrizioni del genere:
«Grant si drizzò, pronto a correre, ma l’animale spostò la sua mole poderosa,
si riaggiustò contro il tronco dell’albero e fece un lungo rutto ringhioso.» E,
poco più avanti: «Il tirannosauro sbadigliò pigramente, si grattò dietro
l’orecchio con la zampa posteriore, proprio come un cane. Sbadigliò di nuovo.
Era intontito dopo il grande pasto e si svegliò lentamente.»
In altre parti del libro, Crichton ci
tiene a rimarcare la vicinanza genetica tra dinosauri, uccelli e anfibi. Penso
alla descrizione dell’adrosauro dalla testa che «si affusolava in una bocca
piatta sagomata come il becco di un’anatra. Gli occhi, sporgenti sopra il becco
piatto, erano gentili e mansueti come quelli di una mucca.» Aspetti più
naturalistici che forse si trovano maggiormente caratterizzati in Jurassic
World (2015).
Da ricordare infine la conclusione delle
due opere, completamente diversa. Nel libro, infatti, l’isola viene bombardata
con il napalm dal governo costaricano per eliminare i dinosauri e i
sopravvissuti – tra cui non compare, per esempio, Malcolm! – vengono trattenuti
nel Paese in una vera e propria impasse diplomatica con gli Stati Uniti. Al
contempo, la parabola personale dei dinosauri si risolve nell’inserimento (e
nell’adattamento) in un nuovo ecosistema, tale per cui il finale del romanzo Jurassic
Park è già Jurassic World.
Per riassumere, la pellicola di Spielberg
offre un’esperienza cinematografica incentrata sull’avventura,
sull’intrattenimento e sullo stupore, mentre il romanzo è una sapiente miscela
di thriller e fantascienza rivolta a un pubblico non di genere, con l’inserimento
di una serie di tematiche scientifiche e morali.
Sotto questo punto di vista, Crichton propone una riflessione più profonda sulle conseguenze alle quali possiamo giungere quando gli strumenti tecnologici vengono applicati con il solo scopo del profitto o per tracotanza.
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