Il destino umano attraverso l'acqua. Ecoceanica di Future Fiction

 


Il destino dell’umanità è scritto nelle maree. Gli oceani, che per millenni hanno nutrito e ispirato l’immaginazione umana, oggi si ergono a testimoni e giudici di un futuro incerto. In un’epoca segnata dall’accelerazione dello scioglimento delle calotte polari e dall’innalzamento delle acque, la narrativa scientifica si fa strumento di esplorazione, denuncia e speranza. È in questo contesto che nasce Ecoceanica (2024, Future Fiction), un’antologia che raccoglie voci dal Sud del mondo per raccontare futuri possibili oltre il collasso ecologico.

Curata da Tarun K. Saint e da Francesco Verso, la raccolta si distacca dal sensazionalismo hollywoodiano per offrire storie che non si limitano a immaginare la catastrofe, ma cercano soluzioni, prospettive alternative, visioni capaci di ridefinire il nostro rapporto con l’oceano e con il pianeta. La selezione non è casuale: il volume contiene contributi da regioni spesso marginalizzate nel dibattito fantascientifico globale; territori che già oggi vivono sulla propria pelle le conseguenze più drammatiche del cambiamento climatico.

 

Le tematiche affrontate in Ecoceanica spaziano dalla resistenza indigena alla critica delle economie estrattive, dalla sperimentazione scientifica alla ricerca di nuovi modelli di convivenza con l’oceano. D’altra parte, il volume è accostabile al movimento solarpunk, rifiutando la rassegnazione e puntando su scenari che, pur tra le infinite difficoltà, lasciano spazio alla speranza.

In un panorama spesso dominato da narrazioni eurocentriche, la raccolta ci invita a cambiare prospettiva, a guardare il futuro dalla riva opposta del mondo, laddove l’oceano non è solo un confine, ma un elemento da rispettare e da conoscere molto più a fondo.

Per la presentazione delle autrici e degli autori mi affido all’introduzione al volume scritta da Tarun K. Saint e intitolata Southern Blues. Tutti i testi sono stati tradotti alternativamente da Rosa Ricciardi, Francesca Secci e Alda Teodorani. La copertina, in perfetto stile Future Fiction, è di Esther Cambria.

 

Kaiser Haq, poeta e professore del Bangladesh, apre la raccolta con La nuova frontiera, un’amara riflessione sulle trasformazioni ambientali e geopolitiche che minacciano i popoli del Sud globale. Soham Guha, autore bengalese, ci porta invece nelle fragili regioni delle Sunderbans con Mare Tranquillitatis, una storia che intreccia bioingegneria e resistenza umana. Chinaza Eziaghighala, medico e scrittrice nigeriana, dipinge scenari di sopravvivenza in Speranza alla fine del mondo, mentre l’australiana-tanzaniana Eugen Bacon, con La cercatrice d’acqua, affronta le devastanti conseguenze dell’imperialismo idrico.

La sudafricana Sam Beckbessinger ci guida nei labirinti della malacologia e dell’oceanografia in Flussi e deflussi, esplorando il rapporto tra conoscenza scientifica e adattamento sociale. Il peruviano César Santivañez denuncia lo sfruttamento delle risorse in Parlo con mille voci, incentrato sulla contaminazione del fiume Marañón da parte delle compagnie petrolifere. Vajra Chandrasekera, dello Sri Lanka, firma Città erose, un’opera poetica sulle mutazioni dell’umanità di fronte alla crisi climatica. Priya Sarukkai Chabria, autrice indiana, fonde mito e fantascienza in I Had a Dream, mentre l’australiana Thoraiya Dyer ci regala La coltre e la luna, una storia che esplora i confini tra biologia, catastrofe e rinascita.

L’antologia si chiude con Il nome del mondo è Oceano di Vandana Singh, un racconto lungo che rielabora l’eredità di Ursula K. Le Guin per raccontare un mondo sommerso, abitato da umani adattati alla vita marina, riflesso speculativo delle crisi terrestri.

 

Prima di salutarci, voglio fornirvi un ulteriore sguardo ai racconti, non tanto per spiegarvi trame e contenuti, quanto per suscitare il vostro interesse e invitarvi alla lettura della raccolta!

 

La nuova frontiera. Haq esplora il tema dell’Artico come nuova frontiera geopolitica ed ecologica. Il testo intreccia la crisi climatica con il neocolonialismo delle potenze mondiali, che vedono lo scioglimento dei ghiacci come un’opportunità economica. Con una certa ironia, mescolata a brani più lirici, il protagonista osserva da outsider il cinismo dell’Occidente. Se volete approfondire il tema di partenza, vi suggerisco due saggi: Artico. La battaglia per il grande Nord (Neri Pozza, 2018) e Guerra bianca. Sul fronte artico del conflitto mondiale (Neri Pozza, 2022), entrambi di Marzio G. Mian.

 

Mare Tranquillitatis. Collasso ecologico e transumanesimo con una vena lirica e cyber-distopica. La protagonista, Rai, incarna il conflitto tra progresso e devastazione: le sue api meccaniche, nate per salvare il pianeta, diventano strumenti di oppressione. L’oceano, minacciato dall’uomo, si risveglia come forza vendicatrice dell’arroganza umana.

 

«Sono nata in un mondo di mari in aumento e di paesaggi esauriti.»

 

Speranza alla fine del mondo. Anche qui, il gioco è spartito tra distopia e speranza, tra collasso climatico, etica della tecnologia e peso del passato. La narrazione, dal ritmo incalzante e carica di emotività, segue la lotta di una madre tra scetticismo e fede nel cambiamento. L’ambientazione e certe descrizioni mi hanno ricordato alcuni aspetti del romanzo Make Room! Make Room! (1966) di Harry Harrison.

 

La cercatrice d’acqua. Una storia cupa e poetica, in cui la sete è metafora di desiderio, sacrificio e sopravvivenza. Il linguaggio evocativo definisce un mondo arido, dominato da crediti, robot e corpi sfruttati. Colonialismo e schiavitù riaffiorano nei miti dell’oceano scomparso, mentre il sogno di Nuova Dodoma si scontra con la realtà brutale dell’estrazione. Il finale sospeso amplifica il senso di tragedia imminente.

 

«La tecnologia aveva migliorato la maggior parte delle cose, tranne gli alloggi, la povertà, l’ingiustizia sociale, il clima, la disuguaglianza delle donne e la scarsità d’acqua.»

 

Flussi e deflussi. Il racconto oscilla tra idealismo e compromesso, intrecciando ecologia e capitalismo. Olivia, determinata a reinventare il mare come risorsa economica, si scontra con Jorge, scienziato interessato a preservare la fauna marina. Lo stile è limpido e immersivo e lascia aperto il dilemma tra progresso e impiego delle risorse.

 

«La conservazione non è sufficiente, Jorge. Abbiamo già ingegnerizzato il pianeta. La razza umana non torna indietro. Dobbiamo creare un nuovo mondo in cui vivere.»

 

Parlo con mille voci. La denuncia sociale passa attraverso una vena di misticismo. La devastazione ambientale si intreccia con il trauma personale e collettivo: Mayu incarna il dissidio tra scienza e spiritualità, fuga e ritorno alle proprie radici. Lo stile è viscerale, in certi punti poetico, e la narrazione passa dal realismo iniziale alla visione, prima di un ritorno cruento alla realtà.

 

«Sarebbe meraviglioso tornare al governo naturale degli esseri insieme alla terra e non a discapito di essa.»

 

Città erose. Un’apocalisse liquida, in cui il cambiamento climatico viene esplorato attraverso le barriere di classe. Il mare non sommerge i ricchi, che rimangono immuni, ma solo i poveri, costretti a mutare per sopravvivere. Lo stile poetico, ripetitivo come un’onda, è vicino alla prosa di Ballard (Il mondo sommerso): la selezione darwiniana è qui imposta dal capitale, con un’incalzante e amara ironia.

 

«I nostri scienziati studiarono quel confine, quella differenza. Dissero che la curvatura dei mari era un effetto della densa concentrazione di ricchezza.»

 

Had a Dream. Racconto onirico e mistico che fonde mito, ecologia e critica sociale. Il Seminatore di Sonno è un’entità primordiale che modella i sogni dell’umanità, ma l’Antropocene lo sta spegnendo. Il clima cambia, l’acqua sale e l’incubo prende il sopravvento. Il marcato lirismo del testo suona come un inno all’immaginazione che può trasformarsi in un atto politico-spirituale. È il testo con cui inizia il trittico di racconti finali della raccolta, accomunati da elementi della prosa poetica.

 

«È il tempo della Distruzione, di modelli climatici violenti che riecheggiano la Creazione. Al contrario. Estinzione segue estinzione segue estinzione finché l’unica vita rimasta sono i tenaci discendenti dei solfobatteri e dei cianobatteri, i primi a evolversi circa tre miliardi di anni fa. Si aggrappano ai bordi di sorgenti calde, riproducendosi e producendo l’elisir dell’ossigeno. Vedo la vita evolversi di nuovo in forme troppo strane persino in sogno.»

 

La coltre e la luna. Narrazione stratificata tra ispirazioni poetiche, tematiche ecologiche e conflittualità umana. La storia alterna la prospettiva umana – Hazem e Kylie, scienziati divisi da opposti ideali – e quella corallina, dove Coltre e Cervello combattono e si trasformano. Il cambiamento climatico è il motore del dramma, tra guerre per il grano e tsunami che cancellano intere famiglie. Lo stile è ricco di descrizioni immersive e immagini potenti, con un finale che richiama l’inevitabile necessità adattiva.

 

«Sapevano che le emissioni di gas serra erano una minaccia esistenziale, ma non era stata abbastanza veloce da far pompare adrenalina.»

 

Il nome del mondo è Oceano. È certamente il racconto più filosofico e impegnativo della raccolta, ma anche quello che offre maggiori soddisfazioni al lettore. Attraverso la voce di Nissa, unica nativa di Samudra, Singh costruisce un mondo in fibrillazione, con un ecosistema complesso e interazioni tra diverse specie intelligenti che tendono a cooperare, ma in modo non sempre facile. Il tema del colonialismo si manifesta nel contrasto tra la Comunità e Shard, l’arrogante esploratore. L’uso della narrazione come strumento di sopravvivenza richiama invece le strutture tipiche della mitologia e dei cosiddetti “Filosofi Analogici”.

 

«Le aurore hanno le loro stagioni; cambiano e mutano con gli umori magnetici del nostro pianeta genitore e della nostra stella. Il pianeta Roon ha trenta lune: Samudra è la più grande, ma i nostri cieli sono illuminati dai globi e dalle falci delle nostre lune sorelle. Poi ci sono gli anelli di Roon, milioni di minuscoli pezzi di ghiaccio e minerali che risplendono alla luce della nostra stella, Aatish. C’è da meravigliarsi se possiamo stare seduti in silenzio per ore, dondolando sulla nostra casa isola di canne, semplicemente guardando il cielo?»

Commenti

Post popolari in questo blog

Qual è l'album più compiuto di Fabrizio De André?

Arnolfo di Cambio e il ritratto di Carlo I d'Angiò

La Gipsoteca di Possagno secondo Carlo Scarpa