Baldassarre Longhena e la cattedrale di Chioggia



Poco prima di dedicarsi alla sua opera maggiore – la basilica di Santa Maria della Salute – il giovane Baldassare Longhena si dedicò alla ricostruzione della cattedrale di Chioggia (1).
A quel tempo, l’architetto aveva meno di trent’anni e la sua carriera era ancora agli esordi: formato inizialmente nella bottega del padre Melchisedech, intrattenne in seguito rapporti con personalità come Vincenzo Scamozzi e membri della famiglia Contarini.
Quando Longhena fu incaricato di occuparsi della cattedrale di Chioggia, la città stava vivendo una breve parentesi di “rinascita”, favorita in particolare dal riavvicinamento della Repubblica di Venezia alla Chiesa di Roma. Nota come la “Piccola Venezia”, Chioggia si trova in un punto centrale al confine tra la laguna veneta, il mare Adriatico e le foci dell’Adige e del Po. Prima di questa breve fase di restauro e ricostruzione, la città aveva vissuto una forte crescita a partire dal 1110, quando accolse la sede vescovile, trasferita da Malamocco (2), insieme alle reliquie dei santi martiri Felice e Fortunato, destinate a risiedere proprio nella cattedrale. Nel corso della metà del XII secolo, infine, Venezia impose il suo dominio attraverso la figura di un podestà e la città si allineò sempre più, anche a livello architettonico, con i modelli lagunari (3).

Fu un evento catastrofico a portare alla ricostruzione della cattedrale intitolata a Santa Maria Assunta. Nella notte tra Natale e Santo Stefano del 1623, scoppiò infatti un incendio, che devastò in larga parte l’edificio. La struttura precedente risaliva forse alla fine dell’XI secolo, sebbene sembra che le fondamenta siano dell’VIII secolo.
Inizialmente, i cittadini più in vista di Chioggia avevano pensato di costruire la nuova chiesa su un altro sito poco distante, ma Longhena insistette affinché si costruisse sopra le vecchie fondamenta. La scelta del sito doveva inoltre tenere conto degli edifici circostanti e soprattutto del campanile adiacente, non toccato dall’incendio, risalente al 1347, costruito in sostituzione di una precedente torre del X secolo. Sul suo portale, un bassorilievo raffigurava la Vergine seduta col Bambino, circondata dai santi patroni, riprendendo il filo conduttore a livello iconografico tra chiesa e campanile. Soprannominata “Madonna del riposo”, in ricordo del presunto soggiorno del pontefice Alessandro III in fuga verso Venezia, questa tradizione cittadina ribadiva il rapporto stretto con la Santa Sede in un momento storico di riavvicinamento con la Repubblica.

La delibera ufficiale per la ricostruzione giunse solo il 14 settembre 1629 (4): Longhena aveva poco più di trent’anni e andò incontro anche allo scetticismo del podestà, Pietro Contarini di Alvise (1627-29), che vedeva la fabbrica come un progetto troppo vasto e faticoso da portare avanti e la definì

concetto così vasto e pesante, che stancherà assai nel condurlo innanzi, sendo, a dir il vero, stata decretata alla sola spetiosa apparenza del modelo. (5)

La Repubblica di Venezia aveva tuttavia già intessuto buoni rapporti diplomatici con la Santa Sede, tanto che aveva richiesto un contributo economico direttamente al pontefice, che non tardò a rispondere: Urbano VIII concesse duemila scudi annui per dieci anni sulle rendite che erano già state dei Gesuiti del Veneto. Il pontefice, in cambio, chiese solamente che la soprintendenza laica della fabbrica potesse divenire mista, con l’aggiunta del vescovo.
Longhena si trovò inserito in questo clima favorevole, «nell’intreccio delle vicende relative al ristabilimento dei buoni rapporti tra la repubblica e il Vaticano» (6), con una copertura economica (estranea alle casse statali) sufficiente a placare i malumori e le incertezze.

La principale influenza di Longhena provenne da Andrea Palladio, sul modello della chiesa di San Giorgio, mediato nella basilica di San Pietro di Castello (per la quale Longhena ideò l’altare maggiore nel 1649 e sistemò la Cappella Vendramin, di poco successiva), che «gli offriva un suggerimento immediato e la certezza di non deludere i committenti con la sua prima opera importante» (7).
Si trattava dunque di un tipo architettonico episcopale vicino alle forme della tradizione del Cinquecento, tranne per la copertura della navata:

[…] solo la copertura della navata principale, a vele impostate su rettangoli e serrate da successivi archi che, con incalzanti contrazioni, invitano a compiere il percorso, ed il motivo alla base delle finestre termali accennante ad un’apertura in ovato, indicano una variazione rispetto al gusto del Cinquecento; […]. (8)

D’altra parte, la facciata rimase incompleta e solo l’interno riprese in effetti una struttura ritmica tratta dalla tradizione cinquecentesca; un ritmo «sottolineato dalla policromia e dallo scatto degli archi cui egli dà risalto» (9) e che si ripresenterà, per esempio, proprio nella progettazione della Cappella Vendramin a San Pietro di Castello, dove però gli effetti chiaroscurali saranno più accentuati e di tipo barocco, in un equilibrio tra sontuosità ed effetto drammatico.

Per avere un’idea delle tempistiche (10), i lavori iniziarono con la posa della prima pietra da parte del canonico Pietro Morari il 15 agosto 1624. La struttura esterna fu realizzata in tre anni; la prima messa fu celebrata già il 21 settembre 1627, a cantiere ancora aperto, ma la benedizione e l’apertura effettiva al culto avvennero solo nel 1648 (la consacrazione definitiva si svolse il 27 maggio 1674).
Dal 1627 al 1671, fu curato l’interno, con la costruzione degli altari e la realizzazione delle tele. A decorare gli interni, contribuirono anche cinquantuno lapidi verticali e trentaquattro iscrizioni tombali orizzontali.
Tra il 1675 e il 1725 furono completate la pavimentazione e la decorazione delle cappelle laterali e dell’imponente coro ligneo del presbiterio. Il battistero fu anch’esso successivo a Longhena (1708). Nel 1988-92, fu infine ristrutturata la volta della navata sinistra, che era crollata, e la chiusura permise inoltre di pulire e tinteggiare tutto l’interno.

La cattedrale presenta una pianta basilicale, con la divisione interna in tre navate e la navata centrale molto più alta rispetto a quelle laterali. Essa è di forma rettangolare e termina in un quadrato e in un’abside semicircolare delle stesse dimensioni della larghezza della navata. Le navate laterali terminano invece con cori minori di forma rettangolare, della stessa larghezza delle navate. Sei finestre a mezzaluna sono collocate al di sopra degli altari laterali.
Poco prima dei cori delle absidi è presente un transetto, di altezza maggiore rispetto a quella delle navate laterali, pur non uscendo dalla sagoma longitudinale. Colonne e semicolonne, corinzie e ioniche, sorreggono la navata centrale e terminano in un cornicione superiore, dal quale partono le campate a crociera della volta.

La separazione tra le navate realizzata dalle semicolonne è piuttosto netta, ma gli ordini ionico e corinzio sono alternati in modo tale da armonizzare tale separazione. Inoltre, le pareti stesse sono scandite da semicolonne in stile corinzio addossate a grandi pilastri ionici.
L’abside semicircolare, in cui si aprono due grandi finestre ad arco intervallate da lesene corinzie, ospita l’altare maggiore, opera di Alessandro Tremignon: le figure di putti si alternano a scene istoriate della vita della Madonna e dei patroni Felice e Fortunato, in marmi policromi con intarsi e sculture.
Quattro altari sono distribuiti nelle due navate laterali (due per navata) e sono arricchiti da pale d’altare di artisti diversi, tra cui Jacopo Palma il Giovane e Francesco Rosa.
Sul lato sinistro, la cappella dedicata ai patroni affianca il presbiterio e in un’urna sono conservate le reliquie dei due martiri, mentre sul lato destro si trova la cappella del Santissimo Sacramento. Il pulpito fu invece scolpito da Bartolomeo Cavalieri nel 1677.
L’organo attualmente presente, situato nella cantoria, in controfacciata, presenta ancora la cassa barocca in legno dipinto a finto marmo, con una semicolonna corinzia per lato e un frontone triangolare.

L’esterno si presenta invece piuttosto semplice, con un paramento murario in mattoni a vista, che si riconnette senza bruschi cambiamenti con il campanile in stile romanico. L’intera muratura perimetrale esterna è inoltre caratterizzata dalla presenza di fori da ponte, fenditure che erano utilizzate per inserire i pali dei “ponti”, ovvero delle impalcature.
Furono realizzati tre ingressi: il principale è situato ad est, mentre gli altri due accessi secondari si trovano sui lati nord e sud.
Una delle prime azioni dell’architetto veneziano consistette proprio nell’inversione dell’orientamento della chiesa (da occidente ad oriente) rispetto all’edificio medievale:

Meglio conveni(va) di voltar la faccia di questa chiesa verso la Piazza, come a ponto è stato arricordato dal Signor Baldissera quondam Melchisedec proto. (11)

L’orientamento ad oriente era ormai divenuta una prassi per ragioni simboliche (è la direzione in cui sorge il sole) e teologiche (ad oriente si trova la Terra Santa), ma poteva capitare che per scelta dell’architetto o per ragioni pratiche l’orientamento fosse mantenuto in altre direzioni.
In secondo luogo, Longhena era mosso da motivazioni pratiche: nella prospettiva di una “riqualificazione” del centro storico, l’inversione rendeva la facciata prospiciente la piazza. La cattedrale riacquistava concretamente la sua centralità, accentuata dal nuovo aspetto maestoso della facciata e dal fatto che i lavori resero l’edificio il più alto della città.

La facciata è tripartita, con due corpi laterali ribassati, che ospitano le statue dei martiri Felice e Fortunato all’interno di due nicchie voltate a botte (12), e uno centrale cuspidato, che accoglie il portale in pietra d’Istria e una grande finestra termale.
Il portale centrale presenta una decorazione a bassorilievo del XIV secolo, raffigurante la Vergine con Gesù Bambino e i Santi Patroni.
Lo stile della facciata è romanico ed è anch’essa interamente realizzata in mattoni a vista. Si tratta di una facciata a salienti, che presenta sporgenze ad altezze diverse, suggerendo gli ambienti interni. Proprio il corpo centrale cuspidato è in evidenza rispetto ai corpi laterali, che risultano leggermente arretrati.
Se al centro domina la grande finestra termale, nella parte inferiore si trova un basamento di trachite euganea (i “masegni”), alto circa quaranta centimetri. Questa fascia ha una doppia funzione: funge infatti da fondamenta della chiesa ed evita la risalita dell’umidità nella muratura.

Un altro elemento che mise in risalto l’edificio fu il portale d’ingresso monumentale: il portone in legno massiccio ha un’altezza di circa sei metri ed è rivestito in pietra d’Istria. Ad arricchirlo, lesene in stile ionico e capitelli spezzati a metà sui fianchi, che sorreggono a loro volta un architrave dentellato. Al di sopra dell’architrave, è presente un attico con una lapide commemorativa in marmo, che termina a sua volta in un timpano centinato. Al culmine, la figura in rilievo di un leone, simbolo della Repubblica (13).
La scelta, di poco successiva, di affidare a Longhena la realizzazione della basilica di Santa Maria della Salute segnalava un rinnovato favore per la figura dell’architetto «identificato come l’autore di un segno architettonico della composizione dei contrasti con la Santa Sede» (14).



Bibliografia


Bassi E., Architettura del Sei e Settecento a Venezia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1962

Concina E., Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo, Electa, Milano, 1995

Hopkins A., Baldassarre Longhena 1597-1682, Electa, Milano, 2006

Hopkins A., Longhena Before Salute: The Cathedral at Chioggia, in Journal of the Society of Architectural Historians, University of California Press, Vol. 53, No. 2 (Jun., 1994)

Roca De Amicis A., Il primo Seicento e l’architettura dei proti, in Roca De Amicis A. (a cura di), Storia dell’architettura nel Veneto. Il Seicento, Marsilio, Venezia, 2009





(1) Prima del 1624 (data del suo arrivo a Chioggia), poco più che ventenne, aveva curato i rifacimenti di Palazzo Malipiero (1621-22) e aveva ristrutturato radicalmente Palazzo Giustinian Lolin (1623).
(2) A quel tempo capitale della Repubblica, finì a poco a poco sommersa dalle acque per una serie di catastrofici eventi naturali.
(3) «Built according to the Ravennate model of tripartite basilical plan, the Church followed examples at Venice and Aquileia and was contemporary with the cathedrals of Grado, Torcello, and Murano.» in A. Hopkins, Longhena Before Salute: The Cathedral at Chioggia, in Journal of the Society of Architectural Historians, University of California Press, Vol. 53, No. 2 (Jun., 1994), p. 199.
(4) Come scrive A. Hopkins, tuttavia, Longhena fu portato da Venezia a Chioggia già nel 1624, su invito del patrizio veneziano Nicolò Picolo, che agiva a nome del Consiglio cittadino, «which had requested that an architect be chosen from the capital and entrusted with the task of building a new cathedral». Cit. in A. Hopkins, op. cit., p. 199.
(5) Cit. in E. Concina, Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo, Electa, Milano, 1995, p. 243.
L’Autore utilizza come fonte: A.S.V., Senato, III, Secreta, filza 92, Roma, P. Contarini, 1.3.1625; ivi, Collegio, V, Secreta, Rel., b. 39, n. 16, Chioggia – P. Contarini.
(6) Ibidem.
(7) E. Bassi, Architettura del Sei e Settecento a Venezia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1962, p. 85.
(8) Ibidem.
(9) E. Bassi, op. cit., p. 114.
(10) La cronologia è rintracciabile con ulteriori dettagli sul sito della Diocesi di Chioggia: www.cattedralechioggia.it.
(11) Cit. in E. Concina, op. cit., p. 243.
(12) Le due statue marmoree erano prima ospitate al santuario della Beata Vergine della Navicella, nella vicina Sottomarina. In facciata, Felice si trova a sinistra; Fortunato a destra.
(13) E non solo. La data di fondazione di Chioggia è incerta, tanto da aver prodotto una leggenda che richiama persino Clodio, uno dei compagni di viaggio di Enea, che in fuga da Troia si separò poi da quest’ultimo per fondare appunto Clodia, ovvero Chioggia. Egli, in ricordo della propria città natale, adottò il simbolo di un leone rosso rampante su sfondo argentato, divenuto in seguito simbolo della città.
(14) E. Concina, op. cit., p. 243.

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