Maze Runner e Divergent. Due storie di una società tradizionale post-apocalittica
Le saghe di Maze Runner e di Divergent descrivono due diverse distopie, questo perlomeno a
livello schematico. Si tratta – a ben guardare – di due esempi di società
post-apocalittiche suddivise in caste.
Non si vuole dire che gli
scrittori delle due saghe abbiano voluto intendere questo, ma che nel genere
post-apocalittico (tanto in voga negli ultimi decenni) la prospettiva di una
divisione in caste va oltre l’idea odierna di limitazione della libertà e
risponde, se non altro, a ragioni pratiche e funzionali. Descriveremo
rapidamente queste due trilogie, per poi approfondire il rapporto tra esseri
umani in una società post-apocalittica che sceglie di suddividersi in diversi
gruppi sociali.
La saga cinematografica di Maze Runner cominciava nel 2014,
basandosi sul romanzo The Maze Runner
(2009) di James Dashner. Un gruppo di ragazzi, definiti “Radurai”, si ritrova
privo di memoria all’interno di una radura, circondata da un labirinto. Da anni
tentano invano di trovare un’uscita e la maggior parte di loro si è rassegnata
a vivere in quello spazio. Qui i ragazzi si sono organizzati in piccoli gruppi,
in base alle proprie capacità: troviamo così chi si occupa delle coltivazioni,
dell’artigianato, della medicina e dell’esplorazione del labirinto.
Alla fine i Radurai riescono a
fuggire dal labirinto e scoprono qualcosa di terribile. Gli scienziati di
un’organizzazione chiamata W.I.C.K.E.D. li avevano osservati per tutto il
tempo, con l’obiettivo di favorire una sorta di selezione naturale. Le prove a
cui erano stati sottoposti servivano per cercare una cura alla malattia che
stava decimando l’umanità. Dopo varie peripezie raccontate attraverso la
trilogia di Dashner, i ragazzi ottengono la libertà e fondano una nuova società
in un luogo incontaminato.
Anche la saga cinematografica
di Divergent nasce nel 2014,
basandosi sul romanzo Divergent
(2011) di Veronica Roth. La storia è ambientata in un indefinito futuro
post-apocalittico e racconta di come l’umanità abbia trovato il modo di
convivere pacificamente attraverso la divisione in fazioni. Ogni fazione svolge
i mestieri più adatti alle proprie capacità: l’appartenenza ad una fazione è
segnata dalla nascita, ma raggiunta la maggiore età i giovani possono scegliere
liberamente a quale fazione appartenere. In questa scelta bisogna però riporre
molta attenzione, dal momento che non è possibile cambiarla in futuro.
Veronica Roth ha completato la
storia in una trilogia, a nostro parere in maniera piuttosto dispersiva. Si
passa infatti da un’ottima storia post-apocalittica, densa di interessanti tematiche,
a parlare di genetica e di manipolazione mentale, in un modo francamente poco
omogeneo. Questo però non riguarda il nostro discorso. Ci concentreremo invece
su alcuni spunti di riflessione contenuti in Divergent, al fine di comprendere meglio come operi una società di
questo genere.
Qui, infatti, siamo di fronte
ad una società ben definita. Gli Eruditi si occupano della ricerca e della
conoscenza; sono scienziati, intellettuali, educatori. I Candidi sono i più
onesti, si dedicano alla legge e alla giustizia (il loro motto è “Che la verità
ti renda libero”). Gli Intrepidi sono i difensori, coloro che grazie al loro
coraggio garantiscono l’ordine e la sicurezza. Gli Abneganti vivono in modo
spartano; sono altruisti e virtuosi e per queste caratteristiche governano la
città. I Pacifici producono gli alimenti per la società; sono contro ogni
conflitto e perseguono l’armonia e la felicità. Infine, fuori dalle cinque
fazioni, ci sono gli Esclusi, coloro che non hanno superato le prove della
fazione scelta e che quindi sono stati emarginati dalla società (entrano in
contatto solo con gli Abneganti, che gli danno gli avanzi del mangiare e del
vestiario).
Questo equilibrio è coadiuvato
dalla scienza: attraverso un test attitudinale e ad alcuni sieri che portano a
risultati quasi sempre inequivocabili. Quasi, certo, perché poi ci sono i
Divergenti. I Divergenti si possono assimilare in qualche modo ai Liberi
Pensatori: sono coloro che al test attitudinale non corrispondono a nessuna
fazione, condividendo una parte di ognuna di esse. Agiscono fuori dagli schemi
consueti e sono per questo potenzialmente avvantaggiati in ogni campo.
Ovviamente questo genera
pregiudizi e paure nella maggior parte della popolazione e soprattutto in chi
governa: i Divergenti vengono perseguitati e l’unico modo che hanno di
sopravvivere è conformandosi, agendo contro la loro natura, che è fatta di buon
senso, logica e umanità.
Nel primo film viene detto
esplicitamente, durante la cerimonia della scelta: «Il futuro appartiene a chi
conosce il proprio posto». E nel corso dell’addestramento degli Intrepidi, uno
dei capi afferma: «Noi addestriamo soldati, non ribelli».
Dopodiché gli Eruditi
strappano il potere dalle mani degli Abneganti, manipolando con la scienza gli
Intrepidi e facendone il loro braccio armato. Scopo degli Eruditi diviene
dunque l’eliminazione della natura umana, ritenuta essenzialmente violenta, per
una società pacifica e felice. I Divergenti si trasformano in un facile capro
espiatorio, costituendo una minaccia: se infatti ogni fazione risponde ad un
carattere dominante, il Divergente è colui che trova l’equilibrio tra questi
caratteri. Nella logica sterile degli Eruditi, questa variabile è inspiegabile
e quindi minacciosa.
Il secondo film si apre con la
leader degli Eruditi che sostiene la necessità di recuperare il senso morale in
una società sotto assedio. Viene mostrata una scatola, che contiene un
messaggio degli Antenati qualora il sistema delle fazioni fosse entrato in
crisi. Per aprirla bisogna affrontare tutte le prove di ogni fazione, che solo
un Divergente può superare. Alla fine, infatti, la protagonista riesce ad
aprirla: gli Antenati rivelano che bisogna trascendere le fazioni e che oltre
le mura della città esistono molti sopravvissuti. La leader degli Eremiti tenta
di distruggere la scatola, senza successo: questo tentativo rappresenta il
momento in cui una società perde il proprio scopo e si cristallizza in una
forma, che il tempo farà degradare.
Ora, la domanda è se questi
due modelli di società si possano definire effettivamente “distopici”.
Piuttosto, si potrebbe definire distopico lo svolgimento della trama, che
mostra i pericoli, o meglio, le incognite di quel sistema e la degenerazione a
cui porta una fede cieca nella scienza. In Maze
Runner, addirittura, sono i “puri” ad essere perseguitati,
significativamente legati ad una giovane età, ma anche i Divergenti sono in
qualche modo puri, nel senso che contemplando un insieme di caratteri si
dimostrano esseri completi sotto tutti i punti di vista.
Certamente, il parallelismo
con le caste è funzionale, ma nella sostanza le differenze non sono poche.
Basti dire che le caste indù si fondano su una ragione di ordine spirituale,
non del tutto comprensibile ad un primo, superficiale, sguardo. Al contrario, in
Maze Runner la divisione del lavoro
nella radura risponde a capacità fisiche e in Divergent le fazioni sono determinate da un test scientifico. In
entrambi i casi, però, non si può escludere che in quelle capacità e in quelle
attitudini non vi fosse una motivazione più profonda, che certo la scienza
aveva codificato a modo proprio.
Quello delle caste è un tema
poco compreso dal mondo occidentale, che almeno dall’età moderna ha sempre
trattato il resto del mondo dall’alto di una sua presunta superiorità morale,
scientifica e talvolta persino razziale. Ma anche un grande uomo come il
Mahatma Gandhi sostenne di non essere contrario al sistema delle caste,
riconoscendo invece che la degenerazione e lo sfruttamento materialista attuato
dall’uomo moderno ne avessero stravolto l’essenza: «Io penso che le caste
abbiano salvato l’Induismo dalla disintegrazione. Ma come tutte le altre
istituzioni hanno sofferto di “escrescenze”. Io considero fondamentali,
naturali ed essenziali soltanto le quattro divisioni. Le numerosissime
sottocaste possono essere qualche volta un vantaggio, ma spesso rappresentano
un impedimento».
Nelle caste indù, Gandhi
riconobbe l’interdipendenza, prima ancora della gerarchia, ma era consapevole
che allo stato delle cose il sistema delle caste avesse perso il proprio
spirito originario, riducendosi a prevaricazione, corruzione, sottomissione e
discriminazione.
Non bisogna peraltro pensare
che il mondo occidentale sia stato tanto lontano da questo genere di
articolazione. Pensiamo per esempio alla suddivisione medievale in oratores, bellatores e laboratores.
L’avvento dell’età moderna ha solo apparentemente distrutto quel sistema, pur
avendolo fortemente modificato. L’emergente borghesia estese nei secoli il
proprio potere: in parte essa si pose in conflitto con la più antica nobiltà,
d’altra parte il sempre maggior divario tra ricchi e poveri acuì il conflitto
tra classi, sempre più circoscritte e sempre più diseguali.
In fondo, le rivoluzioni
dell’età dei Lumi furono la logica conseguenza del progressivo processo di
degenerazione del sistema medievale. Distrutto un sistema, bisognava crearne un
altro, a meno di non cadere nel caos della libertà senza confini, che a livello
di macro-sistemi è ingestibile a causa delle numerose variabili. Nacquero nuovi
stimoli spirituali (forse il primo fu il “culto della Ragione”), per esempio,
che si emanciparono dal Cristianesimo (segnatamente dal cattolicesimo), pur
rielaborandone alcune istanze nel tempo. Inoltre, si sviluppò un nuovo
concetto, il nazionalismo, per inglobare quella parte della società occidentale
legata un tempo al polo dei bellatores.
E per i laboratores, crebbero ideali
come il socialismo, con tutto ciò che questo comportò storicamente. Oratores, bellatores e laboratores
erano sopravvissuti all’interno del sistema di vita occidentale, assumendo
varie forme, suddividendosi in categorie nuove, cambiando però soprattutto su
un elemento: il dinamismo.
Divennero chiari alcuni
princìpi fondamentali, come quello per cui ogni uomo nasca uguale agli altri
uomini e che ognuno abbia il diritto a ricercare la propria felicità e la
propria realizzazione, materiale e spirituale. Certo, il principio era ad un
livello più alto della realtà materiale, costituita ancora da enormi differenze
(razziali, sociali, di genere, etc.). Compito della società post-rivoluzionaria
divenne allora la creazione di un humus
per poter rendere concreti tali princìpi.
Sviluppò quindi un nuovo
sistema di valori, che per essere più credibile si pose in netto contrasto con
il passato, puntando sulle idee di progresso infinito e di evoluzione. Questo
punto di vista bandì dalla società ogni altro discorso che cercava di trarre
dalle millenarie società antiche un valore intrinseco, non corrotto
dall’esperienza. Solamente in seguito alla seconda guerra mondiale si cominciò
a parlare in modo serio di alternative alla società moderna (e capitalista) e
di come il progresso infinito e senza limiti fosse niente meno che un’utopia.
Forse, persino una distopia.
Il discorso si riaprì. E
possiamo dire che oggi questo stia avvenendo anche ad un livello non intellettuale
(o intellettualistico). Romanzi come Maze
Runner e soprattutto Divergent
raccontano proprio di un mondo posto-apocalittico, di un sistema che ha la
necessità di ripartire da zero. Non cancellando il proprio passato, ma trovando
una soluzione di equilibrio tra ragione (rappresentata dalla scienza,
appannaggio di eruditi, intellettuali, presunti saggi) e intuizione
(rappresentata dall’umanità esclusa, dai Liberi Pensatori, dai divergenti).
Questo equilibrio passa
ovviamente per una ricalibrazione. Nella Costituzione Indiana (in vigore dal
1950) le discriminazioni di casta sono proibite, poiché «Lo Stato non può
discriminare nessun cittadino per motivi di religione, razza, casta, sesso,
luogo di nascita». Sono dunque abolite le restrizioni come l’accesso a
determinati locali e la pratica dell’intoccabilità.
È evidente che questo
cambiamento sia stato possibile solo attraverso l’apertura dell’India al resto
del mondo, all’interno di un sistema globale in cui i valori occidentali hanno
una sorta di monopolio. Quando questi valori – nuovi per la popolazione indiana
– entrarono in contatto con il disagio di un sistema per caste degradato, fu
solo questione di tempo. All’inverso, i diversi stili di vita orientali condizionarono
(e condizionano) con la loro novità l’Occidente, favorendone un duplice scambio
(culturale, spirituale, etc.).
Se ne deduce che tanto nella
parte occidentale quanto in quella orientale le rispettive soluzioni non siano
definitive. Il punto di incontro – a nostro parere – risiede proprio
nell’equilibrio tra il polo (orizzontale) della ragione scientifica e dell’etica
civile e il polo (verticale) dell’intuizione spirituale e dell’unità
trascendente.
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